La mia vita scorreva su binari ben tracciati e regolari, con il sincronismo perfetto di un orologio meccanico di precisione. Ubbidiente, tranquillo, posato, studioso, responsabile, serio: questo ero io. Mai nessuna trasgressione, nessun colpo di testa, nessuna stupidaggine o ribellione, insomma un ragazzo modello. Aderire e superare le aspettative dei miei genitori, di mio padre in particolare, era il mio traguardo, ciò che mi recava gioia e orgoglio più di ogni altra cosa. La mia capacità di impormi sacrifici e rinunce per raggiungere i risultati che desideravo senza mai cedere alla tentazione di sottrarmi ai miei impegni, era una mia prerogativa, che mi rendeva diverso e a volte lontano dai miei coetanei. Quando tutto ebbe inizio la giornata era chiara e brillante, di quella luce che non riscalda più ma illumina e rende i contorni delle cose ben definiti. Il professor Smith voltato di spalle, stava scrivendo con la sua grafia rapida e secca un'equazione, facendo scricchiolare il gesso sulla lavagna in modo insopportabile. La porta si aprì e il preside entrò accompagnato da un ragazzo: Harry Edward Styles
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