M’avesse preso la tisi, Nerina al posto del tuo amore quel male bianco, faticante e non quest’altro rosso sangue che mi brucia l’anima e invoca in sonno come in veglia di farmi ritornare. Sai che quando infoca la battaglia (alla baionetta, Nerina – tu sapessi – siamo come le messi al tempo di falciare!) io mi tengo vivo e fuggo il colpo mi batto, colpisco e sopravvivo e al tempo stesso vorrei farmi tomba di ciò che duole in petto di questo bene che sento vanamente. E non m’illudo, Nerina, non m’illudo! ché semmai tornassi vivo, riavuto dalle limacciose fosse nere potrei trovarti sposa a un altro e forse madre di figli non miei. E a quell’ora sì, davvero, morirei. morirei. morirei.