In Dell'anima falò, Giovanna Politi ci propone una conoscenza, di noi stessi prima e poi anche del nostro prossimo, realizzata attraverso la fantasia delle sue vocali e le allitterazioni delle sue consonanti. La sua poetica è una tanica di benzina gettata sul nostro fuoco interiore. Una poetica di una sensualità estrema, estenuata eppure dolcissima, una sensualità di chi non può non amare, un continuo ardere aggrovigliato del cuore, con tanto di ventricoli e atri. Non è solo una dimensione anatomica l'atrio del cuore, ma è una dimensione autentica dello spirito, se è vero, come è vero, che un cuore umano non è mai un monolocale, ma possiede sempre molte stanze. Molte stanze senza proprietari perché, si sa, la bellezza non ammette proprietà privata. Nelle pagine che seguiranno si coglierà che l'amore è una scia chimica, un intersecarsi di olfatti. Cospicua è la reminiscenza, che da critico colgo, del Cantico dei Cantici, e in questa grande similitudine botanico-emotiva, Giovanna ci svela senza ipocrisia i suoi gusti, i suoi piaceri, le sue passioni, le sue stagioni, come quando ci racconta dell'estetica di un'estate estatica, capolavoro di solstizi perfetti ed assolati. Ma si tratta di un amore mai religioso eppur sempre spirituale, quando si tramuta nell'evocazione dell'Assoluto o nella preghiera di perdere tutti i sensi nella speranza di guarire dalla malattia dell'Amore, in realtà inguaribile perché prepotente come fiume che corre al mare. E allora ecco le irruzioni senza avviso a rovistare cuori, le navigazioni di mari inquieti, le arie salmastre di potenze divine, i cuori di vetro e le prigioni dell'anima, per questa poetica della metafora dove "mento" non è solo una parte del viso, ma anche il verbo di chi commette falsa testimonianza.