Ombre sul lago

Sento ancora l'eco delle risa e della musica che finalmente davano vita alla mia vecchia casa sul lago. Da tempo in quelle stanze non si sentiva così tanto calore. Sarà per la nebbia che spesso sale dal lago e copre ogni cosa di malinconia. Sarà per il passato di tante vite racchiuse in quelle mura che a volte sembrano voler tornare a riprendersi qualcosa di dimenticato. Nonostante questo, io non potrei vivere in nessun altro posto al mondo! Amo quella casa dalle pareti screpolate, i soffitti alti, le stanze sempre un po' fredde, quel pavimento di pietra grigia, irregolare e spaccata, lo scalone di sasso che, sinuoso come un serpente, conduce alle stanze da letto. E poi il giardino! la cosa più bella di tutta la casa! Non perché sia curato e rigoglioso, al contrario. Mi piace perché è rimasto come doveva essere 500 anni fa. Tutto cresce spontaneo, quasi inesistente la presenza del lavoro dell'uomo. E così l'edera si arrampica impudica sulle pareti della casa, libera di diramarsi a suo piacimento, le rose selvatiche creano d'estate delle enormi macchie rosse, i cipressi, sul lato ovest della casa, s'innalzano immobili nella loro austerità come giannizzeri delle guardie imperiali. E il prato, non curato a dovere, è disseminato di erbe infestanti; il trifoglio si mescola al tarassaco, i botton d'oro s'inchinano alle margherite, e i non ti scordar di me restano a guardare con i loro chiari occhi azzurri.