Inizia sempre così. Una manciata di parole prese troppo sul serio, la presa di coscienza, la scoperta della possibilità di poter migliorare. Poi la discesa. La precipitosa, rovinosa, fatale caduta. L'insoddisfabile desiderio di essere sufficientemente perfetta, la sconsolante sensazione di non essere mai abbastanza, nonostante gli sforzi e i sacrifici. Consegnai la mia sorte alla bilancia: era lei a decidere i giorni buoni e i giorni cattivi. Come? Il mio cervello era sedato dai numeri e stordito dall'acqua ghiacciata e si lasciava assuefare, docile e mansueto, dalle parole della belva, tanto belle quanto bugiarde. Precipitavo, quando tutto quello che volevo era spiccare il volo per riuscire a camminare in punta di piedi sopra le nuvole. Ho capito che la felicità non ha un peso quando ho toccato il fondo, così, senza farmi troppe domande, mi sono raccolta e sono andata a cercarla.