EPILOGO Fuori pioveva. Pioveva sul villaggio e sulle sue case di legno di quercia e i tetti di assi di abete. La taverna brulicava di gente e Maurik era seduto intorno al falò su un ceppo di legno, con vicino suo padre e sua madre. Riconosceva ogni volto: il macellaio, il fornaio con la sua famiglia, l' apprendista di papà, e molti altri, nonostante alcuni avessero ombre allungate sui loro volti, date dal fuoco posto alla loro desta o sinistra, in base a dove erano seduti, che li rendevano irriconoscibili, quasi a sembrare demoni o fantasmi. Uno solo, un solo uomo, alto, curvo in avanti sul tavolo di cedro della taverna ,maurik non conosceva, né lo aveva mai visto. Beveva una birra scura, e leggeva una pergamena. Maurik non poteva vedere il suo volto coperto dal cappuccio, ma dedusse che fosse preoccupato o, arrabbiato, perché aveva uno strano fremito alla spalla, quella che teneva la pergamena, che tremava come una foglia. Maurik vide un dettaglio che lo colpì: il simbolo della guardia reale: un' aquila nera, con il becco chiuso su una freccia dorata. La vista acuta di Maurik non lo tradiva mai, era il simbolo dei cavalieri del re. Quell' uomo, che sembrava più un vagabondo che un uomo di corte. Un cavaliere. Quello era un vero cavaliere. Maurik aveva sempre sognato di vederne uno. Certo, se lo immaginava diverso, più alto, più muscoloso, più curato, con i capelli biondi e lucenti e un' armatura scintillante d' oro, ma era pur sempre un cavaliere, un uomo che aveva sconfitto i nemici più volte, aveva ucciso uomini, cavalcato cavalli...magari ora era in incognito, oppure era.... Un boato esplose e sbricioló il muro est della taverna. Maurik cadde per terra, sbattendo la testa sulla dura pietra del pavimento, e tutto incominciò a collassare su sé stesso.
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