Cloè

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Capitolo 10

*Se vi va, leggete il capitolo con la musica di sottofondo 🎧

Chi era?
Corri, corri, voltati, respira.
Erano lì, stesi per terra e c'era sangue, una pozza di sangue.
Corri, corri, voltati, respira.
Saranno ancora vivi, vedrai.
Corri, corri, voltati, respira.
Non respiravano, il loro petto non si muoveva.
Corri, piangi, voltati e grida.
Magari qualcuno ti sentirà.
Corri, grida e voltati.
Non ti sentiranno.
Grida, corri, voltati e respira.
Cloé, ricordati di farlo cavolo!

Tum, tum, tum. Batte forte l'orologio della vita, troppo. Me lo sento fin in gola.
Dolce cuore, dove vuoi andare?
Tic, tac, tic, tac, il tempo sta scadendo.
Devo uscire di qui.
Corro, corro, mi volto, dov'è?

Dov'è? Non c'è più.

L'aria umida e putrida del sottopassaggio si scontrava tagliente contro il suo viso. I capelli svolazzavano per aria, i piedini scalzi toccavano lo sporco pavimento seminando impronte di sangue.
Le facevano male, sentiva le schegge di vetro calpestate poco prima infilarlesi ancora più in profondità nella carne.
Sembrava un angelo, lei con il suo faccino delicato, un angelo vestito di bianco.
Solo che ora era insanguinato e puzzava.
Puzzava di morte, profumava di paura o magari di tutte e due.
L'unica cosa che sapeva era che lasciava dietro di se un buon odore.
Che fosse di bambina, di morte o paura non gli importava.
A lui piacevano tutti.
E così la inseguiva, avido di quell'odore di cui non riusciva più a fare a meno, desideroso di raggiungere l'obbiettivo, di compiere il piano.

Erano mesi che ormai la pedinava.
Sapeva tutto di lei, dei suoi genitori, la scuola che frequentava, dove viveva, ogni cosa.
E quella notte era arrivato finalmente il suo momento.

Aveva aspettato il giorno perfetto, aveva aspettato il suo compleanno. Dalla finestra del salotto l'aveva vista scartare i regali con i suoi genitori, protagonista di una felicità troppo perfetta per essere vera, sorridere e mangiare la fetta di torta più grande che le era stata tagliata, ma adesso era arrivato il suo turno, o meglio, quello del suo regalo.
Ed era lui. Lui era il suo regalo per lei e nulla avrebbe potuto impedirlo, purtroppo per lei, per fortuna per lui.

Correva a perdi fiato e il peggio non era essere stanca, ma che non sapeva minimamente dove stesse andando e se ci fosse un uscita dal quel lungo tunnel sotterraneo.

L'avrebbe presa, questo però lo sapeva, così come era riuscito a prendere gli altri bambini.

Che fine avrebbe fatto? Questo invece non lo poteva sapere.

Gli altri erano semplicemente scomparsi nel nulla, per cui lei, per logica, sarebbe dovuta andare incontro allo stesso destino.

I suoi genitori glielo avevano raccontato, raccomandandole che avrebbe dovuto fare attenzione fuori scuola, o il pomeriggio al parco, mettendola in guardia da un certo predatore non ancora catturato, che agiva indisturbato. Allora lei gli aveva domandato con estrema ingenuità, o probabilmente solo quella che competerebbe ad una bambina qualsiasi, cos'è che fosse un predatore e la mamma, sgranando gli occhi e scuotendo la testa, quasi fosse posseduta, le aveva risposto che si trattava di un ruba bambini.
E le era venuto da ridere, tanto che si era beccata uno schiaffetto sulla manina, ma non riusciva proprio ad immaginarselo, un ruba bambini. Perché rubarli quando potevano diventare semplicemente amici? Magari era di questo che aveva bisogno, di compagnia. Era solo e soffriva, tutto qui.

Ma adesso capiva di essersi sbagliata.
Per quanto si può essere soli, ci si può quantomeno sforzare di trovare compagnia e non di certo fare della propria solitudine uno scudo o, ancora peggio, una scusante.

Gli aveva uccisi. Aveva ucciso i suoi genitori, rendendo sola anche lei. E non era giusto.

E adesso? Cosa sarebbe successo?

Si era chiesta molte volte cosa si provasse ad essere rubati, quali emozioni fossero nate in quei bambini, e adesso lo capiva, capiva tutto, solo che era inutile e che, al momento, avrebbe di gran lunga preferito non provare niente.
Avrebbe voluto correre come una tigre, una di quelle che vedeva nel suo cartone animato preferito, senza stancarsi mai. Avrebbe voluto essere presa in braccio dal suo papà e ricevere dalla mamma un bel bacio sulla fronte così da tranquillizzarsi, affinché quel brutto mostro nero sparisse. Ma sperare era troppo poco, e così correre come stava facendo, allora prese a pregare, come le era stato insegnato, proprio come faceva ogni domenica e ogni sera prima di coricarsi, ma forse Dio, in quel momento, aveva i tappi, perché non la ascoltava, o magari era impegnato in qualche opera misericordiosa verso qualcuno che ne aveva bisogno meno di lei.

Fatto sta che era sola e certamente troppo piccola per esserlo.

Aveva visto tutto.
Aveva visto come li sgozzava all'in piedi con un coltello dalla lunga lama affilata, osservato il sangue colare come decorazione di un macabro affresco dalle profonde ferite. Gli aveva visti annaspare, lasciar cadere i bicchieri di vetro per terra, sgranare gli occhi e poi chiuderli per sempre, senza che la bocca pronunciasse un addio, senza che pronunciasse neppure un ultimo ciao, ma non aveva gridato, no, neppure una parola strozzata. Poco prima lui le aveva detto di non farlo.
Aveva solo pianto. Le lacrime, quelle non le era riuscite a trattenere.
Era entrato dalla porta sul retro, forse scassinandola o magari perché era stata distrattamente lasciata aperta e poi, a passi felpati, si era appostato dietro la colonna al centro del salotto.
Lei lo aveva visto subito, era l'unica ad essergli di fronte d'altronde, e allora lui, portandosi l'indice alle labbra, le aveva fatto segno di fare silenzio e lei aveva ubbidito.
Che sia una sorpresa per mamma e papà? Un collega o un nuovo amico passato a salutarli? Aveva pensato.

Certo, il corriere della loro morte.

Adesso non sapeva dove fosse finita.
Quando aveva capito cosa fosse successo, quando la paura le aveva incominciato a solleticare il petto, aveva preso a correre, calpestato il sangue e i cocci con i piedini, era uscita in strada, aveva percorso al massimo un chilometro ed era entrata in un sottopassaggio che l'aveva portata in un corridoio sotterraneo.

Cominciava a farsi sempre più buio e non vedeva un'uscita.
Non lo sentiva più dietro di se però, e incominciava a pensare di potersi fermare un attimo per riprendere fiato.

Che l'avesse seminato? Che avesse deciso di lasciarla andare?
Non lo credeva molto probabile, ma si fermò comunque.
Magari perché nutriva ancora qualche speranza, magari perché era stanca di correre senza sapere per cosa.

Si piegò sulle ginocchia, tentando di normalizzare il respiro, ma non passò nemmeno qualche secondo che le si gelò il sangue nelle vene.
Un dito le aveva picchiettato la spalla destra.
-Cloè – L'aveva chiamata per nome e le aveva picchiettato la spalla di nuovo, con più insistenza.
Due grosse mani le si erano appoggiate sulle spalle e con forza l'avano fatta girare.
-Presa! – Aveva esclamato sorridente, inclinando la testa inquietantemente, e fu in quel momento che Cloè comprese quanto la bruttezza potesse colpire più della bellezza.

Perché è inconsapevolmente al brutto che associamo la cattiveria e lui, il predatore, era brutto, o più precisamente lo era la sua maschera!
-Non mi riconosci? Sono l'uomo nero,Cloè! Proprio quello della filastrocca. -

E la sua risata rimbombò nell'oscurità perforante.
Come quella del diavolo.

SPAZIO AUTRICE

Piccolo regalino di Natale per voi!
Cosa ve ne pare?
Abbiamo visto la comparsa di un nuovo personaggio, collegarsi alla figura dell'uomo nero, le cui vicende si fanno sempre più chiare, ma quale destino gli attenderà mai e, soprattutto, qual è il destino che sarà toccato agli altri bambini rapiti?
Fatemi sapere le vostre opinioni e buone feste a tutti!

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