Addio o vita...

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La nostra storia inizia in un freddo febbraio del 1630 nella cittadina di Shiganshina, era là che abitavo con mio padre. Fin da piccolo mi accorsi di una cosa: io non avevo mai avuto un carattere tipico del genere maschile; infatti tutti notavano il fatto che io avessi un'indole femminile. questa affermazione poteva all'apparenza sembrare innocua, ma si rivelò la mia condanna; difatti crescendo con gli anni divenni vittima di scherni come "frocio", "puttanella di satana", "troietta a tre gambe", etc...
Dunque inizialmente non ci facevo caso, ma con il passare degli anni non solo iniziai ad odiare tutte le persone che mi circondavano, ma iniziai ad odiare me stesso. Quindi molto spesso quando tornavo a casa dai miei studi, mi chiudevo nella mia camera prendevo il coltello che mi aveva regalato mio nonno e iniziavo a passarlo sulle mie braccia, incidendoci tutti gli insulti che mi rivolgevano, ed erano molti. Inoltre odiavo tutto di me: il mio naso, la mia bocca, i miei fianchi, le mie gambe, la mia voce, i miei piedi, persino il mio cazzo; infatti era proprio per l'odio che provavo nei confronti del mio corpo, oltre che per nascondere i tagli che mi facevo, il motivo per cui mi vestito con abiti molto lunghi e coprenti, per far in modo che neanche una piega del mio orribile corpo si potesse notare. Dunque mi chiudevo in casa per giorni a piangere sul mio morbido cuscino ormai bagnato delle mie inutili lacrime e tra un pianto e l'altro facevo pensieri che passavano da "io sono un granello di sabbia in una strada asfaltata, infatti come il granello di sabbia io sono fuori posto, nessuno mi nota, se non ci fossi a nessuno fregherebbe; a "la psiche umana non può e non potrà mai accettare degli errori come me, infatti la mia esistenza porta solo male alla specie umana. Dunque devo morire". quindi un giorno in preda alla massima disperazione decisi che non ce la potevo più fare... presi quel famoso coltello che per tante volte aveva assaggio il putrido sangue del mio corpo, decisi che avrei voluto farla finita nel luogo più bello che potevo raggiungere, quasi come se quel posto fosse il mio personale premio di consolazione per la mia inutile vita. Dunque salii su un monte nei dintorni di casa mia, arrivai su una rupe che terminava a precipizio verso l'ignoto e rivolgendo lo sguardo verso a tutto ciò che mi circondava iniziai a dire: "addio o ruscello che da pargolo mi lavavi con la tu acqua cristallina;

addio o bosco che con l'ombra delle tue fronde mi rinfrescavi nei caldi pomeriggi estivi;

addio o animali del bosco che con i vostri versi coprivate il triste suono del mio pianto;

addio o casa che con le tue mura mi fornivi conforto dal crudele abbraccio della vita;

addio o genti che con il vostro criticare mi avete portato a porre fine alla mia esistenza;

addio o astri celesti che con sapienza mi osservavate dall'alto;

addio o vita che come una corda mi tenevi stretto per soffocarmi;

e addio me stesso che ti sei fatto rovinare fino all'osso. dunque ora meriti di morire".

Quindi iniziai ad avvicinarmi la lama del coltello al braccio, quando vedendo con la coda dell'occhio quel convento di monache che si scorgeva dalla finestra di casa mia, mi balenò in testa un pensiero: FORSE POTEVO ANCORA CAMBIARE LA MIA VITA! l'idea a prima impressione sembrava sciocca, ma io avevo intenzione di rendermi felice! e per essere felice dovevo diventare una di quelle monache che si sbarrano in un convento per vivere ai margini della società insieme alle loro consorelle. io sapevo bene che questo era ciò che volevo diventare!

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 02, 2021 ⏰

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