Mi ricordo di te

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Le nostre risate si fondono in un'unica, magnifica melodia.

Ci pieghiamo su noi stesse per impedire al corpo di frantumarsi a quell'emozione.

Condividiamo i cuori. Loro ballano un girotondo alla melodia che creiamo.

Si avvicinano sempre di più, si stanno per toccare... No. Non possono.

Troppo vicino. Troppo contatto.

Le nostre risate sono coperte, nascoste: non riusciamo più a suonare quella melodia.

I cuori rimangono distanti. Ballano una melodia di speranza, ma è troppo debole, si spegne.

Ci guardiamo. Possiamo fare solo quello. Sono gli occhi a dover esprimere la nostalgia di quell'unica, magnifica melodia scomparsa.

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3 Febbraio 2020

Non era uno dei giorni migliori: mia madre mi aveva svegliato avvisandomi che non saremmo partiti per le vacanze estive. Ma vi immaginate che noia? Tutte le mie amiche che partono per l'Italia o per l'America ed io che me ne rimango a Londra, senza nessuno con cui uscire. No grazie.

Forse non mi sono presentata nel migliore dei modi: non sono sempre così capricciosa, ma capite che per un'adolescente trascorrere le vacanze rinchiusa in casa è una tragedia.

Mentre riflettevo sul mio orrendo destino fra i corridoi di scuola, mi affiancò Grace, la mia migliore amica.

‹‹Perché hai quel muso lungo? Cioè... non che tu non ce lo abbia mai, ma oggi sembri particolarmente... mmm... irritata››. Mi chiese sapendo perfettamente che mi sarei alterata ancora di più.

Vedendo la mia faccia, scoppiò a ridere.

‹‹Vacanze estive›› bofonchiai. Fortunatamente per me, la campanella suonò e ci dirigemmo ognuna nelle proprie classi.

Prima di entrare Grace gridò: ‹‹Oggi pomeriggio alle cinque, alla nostra solita panchina››.

Feci un cenno d'assenso col capo.

Entrai in classe e proprio mentre il mio umore, pensando al pomeriggio imminente, migliorava un po', il professore disse: ‹‹Ragazzi per la prossima lezione voglio un tema sulle vostre vacanze estive ideali››.

Destino ironico.


Uscii da casa e mi diressi da Grace. La strada per arrivare in quel posto ormai la conoscevo a memoria. Era una panchina, la nostra panchina, su una riva del Tamigi, abbastanza isolata da essere sempre libera. Ci incontravamo lì ogni giorno alle cinque in punto. Mentre camminavo mi guardavo attorno per godermi la bellezza di Londra: passai davanti alla cattedrale di St Paul e a Westminster, dove imboccai una scalinata che mi portò sulla sponda del fiume. Le nuvole che coprivano il cielo oscuravano l'acqua del Tamigi. Bene, odiavo il sole ed il caldo.

La Torre dell'Orologio stava battendo le cinque del pomeriggio.

Quando mi vide arrivare tese le labbra in uno di quei sorrisi che scaldano il cuore.

Ero sicura che appena fossi arrivata lì davanti mi avesse chiesto i motivi del broncio di quella mattina, e infatti...

‹‹Quindi stamattina che avevi fatto?›› disse ridendo.

‹‹Niente vacanze estive›› spiegai con una smorfia.

‹‹Allora sono felice di annunciarti che trascorreremo l'estate insieme. Neanche io parto››.

Mi illuminai all'improvviso e la abbracciai. Ridemmo insieme e ci sedemmo sulla panchina.

Il nostro legame era magnifico: si basava su quello che gli antichi Greci chiamavano amore philos, l'amore fraterno. L'una senza l'altra non saremmo state complete; condividevamo gioie, dolori e speranze.

Parlammo tanto a lungo da perdere la cognizione del tempo e ci ritrovammo entrambe a fissare il riflesso della luna sul Tamigi.

Si fece tardi ed a malincuore ci separammo.

Quella sera chiusi gli occhi consapevole che non sarei rimasta sola. Per l'estate. Per sempre.

Che illusione crudele.

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15 Febbraio 2020

‹‹Ma cos'è questo virus di cui stanno iniziando a parlare tutti?›› chiesi a mia madre con sincera curiosità.

‹‹Quello in Cina intendi?››.

Annuii.

‹‹Ah›› mi rispose con noncuranza ‹‹Una malattia che si pensa provenga da un pipistrello. Niente di cui preoccuparsi, comunque. Qui da noi non può arrivare››.

L'immagine del pipistrello aveva qualcosa di comico. Risi tra me e me.

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3 Settembre 2020

Pioveva, come ogni giorno, quando arrivai sulla panchina.

Non so quanto tempo trascorsi lì. Ormai non aveva più importanza.

La visuale era sempre la stessa: magnifica, surreale. Westminster, il Big Ben, la grande ruota in lontananza...Tutto tranquillo. Tutto identico a prima.

Ma qualcosa in me era cambiato per sempre: dove prima c'era il mio cuore, ora c'era una voragine. Una voragine che mi toglieva il respiro.

Io ero lì, lei no. Spazzata via dal vento assassino della natura.

Pipistrello. Mi salì in gola una risata isterica.

La Torre dell'Orologio batté le cinque del pomeriggio.

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