LONDRA

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Stava male, troppo male.
L'unica cosa che sentiva era dolore e delle volte non sentiva neanche quello.
Le sue giornate erano un continuo susseguirsi di vuoti incolmabili, messaggi non inviati e lacrime trattenute.
Non sapeva da quanto tempo si trovava in quello stato, non gli interessava neanche a dire il vero. L'unica cosa di cui gli importava, anzi l'unica persona, non era più sua da ormai troppo tempo.
Si erano persi, quella volta definitivamente, e lui non aveva più le forze di lottare da solo contro corrente.
Era in un oblio da cui non riusciva a venire fuori ed in quel momento, pensava fosse meglio sentire dolore, che non sentire più niente.

Le lacrime solcarono il suo viso quella volta, i suoi occhi azzurro ghiaccio diventarono acquosi, pieni di sentimenti trattenuti per troppo tempo.
Guardava quella foto come se volesse entrarci per prendere a pugni il ragazzo che vi era all'interno.
Voleva picchiarlo, farlo stare male tanto quanto stava male lui.
Voleva fargli sentire il suo dolore.
Voleva toccare la sua pelle, sentire il suo odore, guardarlo negli occhi per urlagli addosso ciò che si sentiva dentro al cuore.
Lo voleva lì, vicino a lui, per poi farlo allontanare di nuovo e andarlo a riprendere quando tutto sarebbe sembrato inutile.
Avrebbe voluto fare tante cose, dire tante cose, ma l'unica cosa che riusciva a fare era stare lì, immobile sul divano a guardare quella foto sfocata da giornale di gossip, che ritraeva un ragazzo dagli occhi verdi con una giovane attaccata al braccio.
Quei dannati occhi gli davano alla testa.

Fece leva sul braccio, puntando il gomito sul materasso per riuscire a poggiare il viso sul palmo aperto e osservare rapito l'altro ragazzo, che inarcò un sopracciglio confuso.
"I tuoi occhi mi confondono." Gli sussurrò, scostandogli dolcemente una ciocca riccia dal volto. Glielo sussurrò con quanta più naturalezza possedesse, perché con lui non aveva mai sentito il bisogno di usare filtri.
"E cosa dovrei fare? Non guardarti più?" Domandò ridacchiando quando il più grande si sporse a baciargli il naso e lui lo arricciò come era solito fare.
"No, non devi smettere mai di guardarmi in quel modo."

Sbatté freneticamente le palpebre scacciando quelle immagini che gli rendevano impossibile respirare. Gli sembrava di soffocare, mentre il suo pianto silenzioso si interrompeva. Era il ritratto del nulla, mentre quei ricordi scavavano un buco profondo al centro del suo petto, strappandogli il cuore.
Era diventato un involucro vuoto, privo di qualunque sensazione. Oppure, forse, ne aveva talmente troppe che non riusciva più a gestirle.
Si alzò dal divano con le gambe tremanti, il cuore pesante e i pensieri che vorticavano dentro la sua testa come vento in tempesta.
Sprazzi di immagini di loro due si susseguivano senza sosta nella sua mente, facendolo barcollare pericolosamente mentre si dirigeva verso la porta del bagno.
Riuscì a malapena ad arrivare al wc prima di rimettere tutto quello che aveva mangiato la sera prima.

Quando i conati finalmente cessarono, si tirò su a fatica, mentre il suo cellulare iniziò a squillare perforandogli il cervello. Non riusciva a sopportare più niente.
Arrivò al bancone della cucina sorreggendosi malamente al ripiano, i muscoli che tremavano per la stanchezza.
Sullo schermo il nome del suo migliore amico lampeggiava in bella mostra e ci pensò qualche secondo prima di decidersi a rispondere.
"Ehi?"
"Louis! Lou come stai?" La voce di Liam era affannata, probabilmente aveva corso o stava correndo.
Sentiva un fruscio di sottofondo, ma non capiva cosa fosse.
"Dimmi Li." Sussurrò il più grande, appoggiandosi allo sgabello della penisola accanto a lui.
Liam alzò gli occhi al cielo, odiava quando faceva finta di niente. "Sei a casa? Sto arrivando."

Louis rimase zitto alcuni secondi, il cellulare in una mano ed il cuore che gli crollava nel petto.
Lui sapeva, tutti sapevano.
"Lou ci sei ancora?"
"S-si. Dove sei?"
Aprì l'anta del frigorifero, tirando fuori una birra e stappandola malamente con un accendino.
"Per le scale, apri la porta." I suoi occhi si sbarrarono all'istante nel sentire quelle parole, sapeva di aver bisogno di qualcuno a cui appoggiarsi in quel momento, ma dall'altra parte non aveva per nulla voglia di parlare ancora di quell'argomento. Avrebbe voluto chiudersi in casa per settimane se fosse stato necessario, senza vedere anima viva ed evitare quel discorso che ancora gli faceva male. Ogni volta che sentiva quel nome era come se un coltello gli si conficcasse nel petto.

Sweet creature, kill my mind || Larry Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora