Gli occhi di John sono su di me, ancora lucidi e distanti a causa dell'ultimo spinello.
Mi guarda e sorride, accavallando le gambe sul tavolo.
"A cosa pensi, Richie?".
Sussulto, cercando rapidamente con gli occhi Paul e George, seduti dall'altra parte della stanza, ben distanti.
È questo che siamo diventati.
Randagi che si girano attorno, diffidenti, pronti a soffiare se l'altro si avvicina troppo.
"Non pensavo a nulla" mormoro, tamburellando le dita sul tavolo. Una
delle tante deformazioni professionali."La smetti? Dio, sto cercando di concentrarmi" mi urla Paul, tappandosi furiosamente le orecchie con le mani.
"Dovresti darti una calmata, lo sai, principessina?" attacca George, senza il reale intento di difendermi, ma solo per sfogare ancora una volta il rancore che prova verso di lui.
Paul spalanca gli occhi, all'uso di quel soprannome ormai dimenticato e messo lì apposta per ferirlo, e cerca John con gli occhi.
Una volta, John si sarebbe alzato e avrebbe detto a George di chiudere il becco, perché solo lui può permettersi di parlare a Paul in quel modo.
Ma adesso, in questa realtà che non ci appartiene più, John distoglie lo sguardo.
Gli occhi di John sono distanti, ancora, e stavolta non è colpa dell'erba.
Sono fissi su ciò che lo aspetta fuori da qui, su Yoko e le sue cosce chiare e i suoi capelli neri.
Sono fissi su un mondo che non è più il nostro, e non nota gli occhi di Paul riempirsi di lacrime di frustrazione.
"Oh, vaffanculo" ribatte debolmente lui, asciugando di nascosto l'unica lacrima che gli riga il viso.
Noi però lo abbiamo visto, tutti.
George china la testa, tormentandosi il labbro inferiore fra i denti, e so che vorrebbe chiedere scusa.
Ma non lo fa.
"Pensavo a quando vi ho conosciuti" ammetto improvvisamente, attirando l'attenzione di tutti e tre.
John si sistema gli occhiali sul naso, nonostante siano già perfettamente dritti, e sembra nervoso.
Non parliamo di quei tempi, solitamente, o almeno non più.
Non ne parliamo più, da quando abbiamo scoperto che il paragone fa davvero troppo male.
"Questa sì che è una sorpresa" mormora John, distrattamente, "Spero tu stia pensando al mio culo in quei pantaloni di pelle, almeno".
Sorrido, perché sembra piccolo e nervoso e sognatore e maledettamente insopportabile.
È di nuovo il nostro John.
"Mi siete sembrati tutti fuori di testa, a primo impatto. Mi ci è voluto il secondo per capire che avevo perfettamente ragione" confesso, e sento delle risate dietro di me, mentre Paul e George si avvicinano a noi per ascoltare.
"Mi siete piaciuti fin da subito, però. E quando mi avete offerto un posto nella band non ho neanche avuto bisogno di pensarci".
George si siede accanto a me, sul divano, e mi sorride.
Paul resta in piedi, indeciso.
"Mi dicevano che stavo facendo una stronzata, che ero già avviato verso il successo con i Rory Storm e sarei stato uno stupido a mandare tutto all'aria".