Cammino per i corridoi a testa bassa, fissando le stringe delle scarpe slacciate che ciondolano accanto ai miei piedi stanchi ormai di reggere un peso morto. Penso a come potrebbe essere vivere in un altro mondo, in un'altra dimensione. Vivere all'interno di una storia diversa, che possiamo creare noi con mille strabilianti parole combinate nel giusto modo. Trovare la corretta proporzione tra gioia e tristezza per stare bene, per stare in pace con se stessi.
Ma più ci penso, più mi sento intrappolata in questa realtà. Come se fossi una piccola e indifesa anima chiusa all'interno di una gabbia senza serratura. E questa gabbia molto lo chiamano mondo, ma sinceramente a me pare più un incubo.
Apro la porta d'uscita delicatamente per non spezzare il delicato e insensato equilibrio tra i fantasmi e le persone.
"Dove pensi di andare sfigata?" urla Jonas da dietro l'angolo interrompendo il mio flusso continuo di pensieri.
Rimango lì ferma, immobile, quasi paralizzata. Vorrei scappare, correre via a gambe levate per trovare il mio posto sicuro, il mio punto di salvezza. Le mie gambe improvvisamente diventano gelatina e sembrano quasi cadute in uno stato di ipotermia temporaneo. Il cuore si ferma, il sangue smette di scorrere. Tutto all'interno di me tace in un odioso e rumoroso silenzio che mi terrorizza di più che quei due occhi scuri e gelidi che mi fissano. La cattiveria fa da contorno nel viso di Jason, come se non fosse quella la ragione di tanta perfidia.
"Cosa aspetti Jason?" ribatte uno dei suoi tirapiedi dietro di lui. Credo che si chiami Pietro, ma ormai vivo così fuori dalla realtà da non riuscire a ricordare i nomi di quelle quattro persone che vedo ogni singolo giorno.
Jason si fa ancora avanti e dentro di me inizia a farsi spazio l'ansia che man mano aumenta sempre di più. Il respiro inizia ad affannarsi e riesco a stento a respirare. Tutto il mio corpo trema, sopraffatto dalla paura. Ma anche quando ormai lui è a pochi centimetri dalla mi faccia, non riesco ancora a fare altri movimenti al di fuori di quel tremore costante.
"Hai paura?" chiede con tono provocatorio. Posso sentire il suo respiro caldo sul mio viso. Posso sentire le sue mani che mi afferrano il braccio e pian piano alzano la manica
"Cosa sono questi? Tagli? Sei così disperata da tagliarti" e a quelle parole segue una risata isterica che mi risuona in testa come una cantilena.
"Sei così inutile che se ti suicidi fai un favore all'umanità" continua un altro dei suoi tirapiedi che fino a quel momento era stato zitto. Poi tutti si uniscono alla risata, come un coro che canta all'unisono.
E sinceramente non credo neanche mi provochi così tanto dolore quella canzone. Ormai questa è la mia normalità, questa è la mia vita. Ogni giorno la solita storia, ogni giorno le stesse parole, gli stessi insulti, lo stesso odio. E forse hanno ragione. Forse davvero sono inutile. Forse davvero non ha senso vivere, non ha senso continuare a lottare senza senso. Non per tutti il mondo è una casa e non per tutti casa è un punto sulla mappa. Vivo in una città di carta, in una città che esiste solo nella mia testa. Una città creata solo per uno scopo, solo per un obbiettivo. E il mio obbiettivo è sempre e solo stato mettere qualcosa di mio in una vita che non apparteneva più, avere un minuscolo punto in quell'enorme cartina che fosse stato deciso da me, nel tentativo disperato di trovare un senso nella mia vita. Trovare una sola ragione per cui io mi meritavo tutto quello, per la quale io dovessi convivere con mille demoni che mi fanno impazzire. E l'unica ragione è che probabilmente loro dicono il vero. La mia vita non ha uno scopo, io non ho uno scopo. Sono solo una ragazza senza speranza, senza emozioni, senza umanità. Sto solo acquistando tempo prima del crollo finale, prima dell'ultima mossa in questo gioco che stanno vincendo loro, i miei "bulli".
E non capisco il motivo per cui portare avanti questa enorme bugia che continuo a dire a me stessa. Se facessi la finita oggi cosa cambierebbe? Tanto sono già morta dentro. E sono già morta dal primo taglio, dal primo giorno mangiato senza mangiare. Ora rimango solo un sottile foglio di carta, come la città in cui vivo.
Con un gesto brusco della mano mi liberò dalla forte stretta di Jason e corro dentro la scuola per poi salire tutte le scale ed ritrovarmi sul soffitto. Arrivo fino al bordo, guardo il cielo e in tre secondi la terra sotto i miei piedi sparisce. La città di carta brucia, i pensieri volano via e i demoni muoiono.
Dieci secondi e i miei occhi si chiudono, facendomi sprofondare in un bellissimo e tanto atteso buio.
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Città di carta
Short StoryUna battaglia. Ecco sì, credo che questo sia il termine più adatto. Una feroce battaglia contro mostri più grandi di lei, contro quelle maschere così nere da far tremare l'aria. Una battaglia che sembra essere infinita ma che in quell'esatto momento...