Anche io voglio amare🏹

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Oikawa Tooru non era un semplice umano, anzi, di umano aveva solo la forma. Nascondeva a tutti la sua vera natura, non che non avesse pensato più volte di rivelarla, ma in fondo lui un po' se ne vergognava.

Oikawa era conosciuto dalle persone comuni con diversi nomi: Amor, Eros, ma il più famoso, quello che più gente usava per riferirsi a lui e che lui odiava di più, era Cupido.

Aveva sempre preferito Eros come nome, ma ovviamente non poteva andare in giro a urlarlo ai quattro venti, soprattutto perché molti covavano dei rancori nei suoi confronti, chi per un amore perduto, chi per tradimento o per non aver trovato affatto la propria anima gemella.

Tutti a dare la colpa al povero Eros, che poi lui le scagliava le frecce, eccome se le scagliava, ma poi gli esseri umani riuscivano sempre a creare qualche impiccio e a mandare a monte il suo duro lavoro.

All'età di sedici anni aveva smesso di compiere il proprio lavoro, aveva messo da parte arco e frecce e si era dato per vinto, si era licenziato, lasciando nelle mani dell'umanità il loro futuro d'amore o odio. A lui non importava.

Al compimento di diciotto anni, aveva ritrovato in soffitta la faretra contenente una singola freccia, l'ultima per la precisione, perché chiunque comandasse lì su aveva preso sul serio il suo licenziamento e aveva smesso di rifornirlo con le frecce atte a far scoccare l'amore.

Si era passato tra le dita quella singola freccia, un po' gli mancava il suo lavoro, più che scoccare le frecce gli mancava veder la luce negli occhi degli umani cambiare nel momento in cui lui colpiva il cuore. Era sempre una scena incredibile, indescrivibile. Il cuore che scopre di poter amare e gli occhi che si mettono all'opera per trovare la persona giusta.

Aveva riposto quella singola freccia sotto il letto, aveva deciso che l'avrebbe ritirata fuori solo il giorno di San Valentino, il giorno che più odiava per la precisione, perché era il 14 febbraio che le persone pretendevano sempre di più da lui.

Oikawa si svegliò quando i raggi caldi del sole fecero capolino nella sua stanza. Non si era ancora abituato a quella vita da essere umano. Da quando aveva rinunciato al proprio compito come Cupido, era stato punito con una vita mortale. Lui aveva smesso di essere un vero e proprio Dio ed era divenuto un essere umano a tutti gli effetti. Ovviamente, con la vita mortale sopraggiunse anche il bisogno fisico di dormire e mangiare, cosa che inizialmente lo scombussolò più di quanto si fosse aspettato.

Con i crampi allo stomaco poteva anche farci i conti, ma con la sveglia presto no, mai.

Si strofinò gli occhi con il dorso della mano e si tirò su, mettendosi seduto con il piumino sulle gambe. Si guardò intorno ed individuò il cellulare abbandonato la sera prima sul comodino. Lo accese e controllò l'orario. Però, ciò che risaltò al suo sguardo non fu l'ora, bensì la data.

Era il 14 febbraio.

Si alzò e si trascinò in bagno dove si lavò e indossò la sua uniforme scolastica. Si specchiò con circospezione, temeva ogni volta di trovarsi ingrassato, paura che non l'aveva mai sfiorato negli anni in cui era stato un Dio. Si guardò i fianchi girando su se stesso e poi si tranquillizzò, aveva mantenuto la sua figura longilinea.

Quando tornò in camera per prendere lo zaino, notò la faretra sporgere da sotto il letto. Sapeva che si era ripromesso di scoccare quell'ultima freccia proprio in quel giorno, ma non aveva deciso ancora chi si meritasse di innamorarsi grazie al suo potere. Doveva scegliere la persona giusta.

Sapeva che finché quella freccia non fosse stata scoccata lui non avrebbe potuto abbracciare completamente la vita da essere umano.

Dopo qualche secondo di ripensamenti, si piegò afferrò la faretra e si diresse verso la scuola, dove i suoi più cari amici lo stavano aspettando.

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