Capitolo 1 - Il divanetto carminio della parte più sperduta della biblioteca

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-Mamma io esco! – Penso che sia forse la cosa che dico più spesso a mia mamma in questi ultimi giorni.

Non sono propriamente una ragazza che si possa definire “socievole”, credo che “allergica al genere umano” sia più adatto.

Il motivo per cui in questi ultimi giorni esco, neanche spesso, come una persona normale, è che ultimamente in biblioteca ho trovato un divanetto leggermente nascosto che mi ispira pace. Così, per la quarta volta questo mese decido di uscire alle sette di sera con il mio impermiabile nero per andare alla biblioteca dell’università. In questi ultimi giorni la pioggia di Marzo sente il bisogno di farsi sentire, come se non bastasse anche la primavera tarda ad arrivare.

Da parte mia la pioggia di Marzo è sempre stata bella e rilassante, infilo gli stivali di gomma verdi appoggiati fuori dall’uscio e infilo la cartella a tracolla, devo essere particolarmente debole, perché la cartella oggi sembra più pesante del solito.

Le strade sono praticamente deserte a quest’ora, sono tutti a casa propria a mangiare, ma questo è solo meglio per me. “Allergica al genere umano” sento la voce della mia amica Julie risuonare per la testa, mentre l’immagine del suo sorriso e dei suoi capelli rossicci mi provoca un sorriso. Non mi ha mai criticato per questo mio ribrezzo nei confronti del “tutto”, semplicemente mi chiama “AGU” un’abbreviazione per “Allergica al genere umano”. Penso che sinceramente sia la cosa più azzeccata che qualcuno mi abbia mai detto, il che mi dà a pensare che forse dovrei cominciare a preoccuparmi.

Mentre vari pensieri percorrono il mio cervello sono già arrivata all’università, alzo gli occhi davanti all’imponente cancello nero, mi sento sempre così piccola davanti a una tale immensità. Attraverso i vialetti del cortile circondati da piante, curate giornalmente, e passo sotto i portici esterni per arrivare ad un'altra  cosa di enormi dimensioni: il portone della biblioteca.

La biblioteca dell’università è una delle più antiche del Regno Unito, risalente all’undicesimo secolo se non vado errando. Al contrario dello spinoso cancello nero, il portone della biblioteca, nonostante la sua immensità, infonde una sorta di pace e serenità. Incisa sulla porta da qualche studente in basso a destra c’è una scritta: “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”, Dante III canto dell’Inferno.

Con timidezza tiro il portone sinistro verso di me ed entro, tiro giù il cappuccio dell’impermeabile e saluto con fare impacciato la bibliotecaria. Prendo una tazza e ci verso dentro del thé, se non altro la biblioteca dell’università è anche provvista di bevande calde.

Scaffale dopo scaffale attraverso tutta la biblioteca ed ecco arrivata all’angolo più disperso: un divanetto ricoperto di velluto rosso carminio vicino ad un… cosa? Cosa ci fa quel ragazzo sul mio divanetto?! Tecnicamente non è il mio divanetto, ma è il mio posto, come ha osato.

-Ehi tu! Alzati. – dico in maniera seria e convincente, con l’aria di una che non accetta un no come risposta.

-Perché mai dovrei? – sembra intenzionato quanto me a combattere per quel posto.

-Con chi avrei il piacere di parlare? Sempre se posso sapere il tuo nome. – dico roteando gli occhi.

-Mi chiamo Andrew, Andrew Biersack. Ma puoi chiamarmi Andy. – esclama con fare affascinante.

-Andrew, gentilmente, alzi il tuo “derriere”? Quello è il mio posto. – esclamo a mia volta con fare convincente.

-Se vuoi c’è spazio anche per te. – dice con un mezzo sorriso.

Sono le sette e mezza di sera, ma sono troppo stanca per intrattenere un dibattito sulla proprietà del divanetto carminio della parte più sperduta della biblioteca, mi accomodo tra Andrew e il calorifero, rannicchio le gambe al petto e mi metto a leggere “Romeo e Giulietta”, mentre sento gli occhi azzurri del ragazzo con i capelli corvini puntati addosso.

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