Manca qualcosa, è come se mi avessero tolto il latte dal the in cui lo aggiungo sempre. Eppure il latte c'è ancora. Il the è sempre lo stesso. Pure la tazza non è cambiata, e allora cos'è che manca?
Con questo piccolo tarlo nell'orecchio mi incammino verso il lavoro, valigia in mano e cravatta al collo, non cambia niente neppure là. Anche se, ora che ci penso, la signora delle pulizie non mi ha salutato.
Tornando verso casa scorgo già alla porta il piccolo Tobias che mi aspetta, che mi continua a guardare dal ciglio dell'entrata come se mi dovesse dire qualcosa. Ma sono ancora stanco e non mi sorprendo del velo di delusione che gli passa sul viso, infatti non mi lascia neppure spiegarmi che torna dritto in camera da letto. Chissà cosa aveva fatto, chissà cosa voleva dirmi.
Casco sul divano con un leggero tonfo a fianco a mia moglie, teneva un fazzoletto in mano guardando una delle sue adorate tragedie, si commuoveva sempre tanto e anche oggi piange a dirotto. Guardando però un po' più in là dello schermo.
Allora la stringo avvolgendole un braccio sopra le spalle, facendole mettere la spalla nell'incavo del collo accarezzandole i capelli. Lei singhiozza e sospira un "Oh Edward, e ora come lo dico ai ragazzi?" scoppiando a piangere più forte di prima. "Cosa hai fatto questa volta?". Nessuna risposta.
Erano le otto, lei continua ad essere troppo triste, e decido di mettermi a cucinare il suo piatto preferito. Ma non so cucinare.
A distogliermi da quei pensieri mentre ancora le accarezzavo la guancia ci pensa Fluffy, il nostro gatto, entrando in salotto e seguito a ruota da Tobias che cercava di prenderlo.
Una scena così familiare, ma sembra come se qualcuno l'avesse adombrata un po': sembriamo troppo soli in questa stanza. E manca ancora quel qualcosa.
Poi Fluffy si ferma davanti a me, senza motivo. Non mi sposto dal divano, sappilo.
Intanto Eleanor si era calmata un po' e così si alza, con la sua solita grazia, per andare verso i fornelli.
Fluffy continua a fissarmi. Io fisso lui. Tobias fissa sia lui che me, alternando lo sguardo da uno all'altro.
Mi alzo sospirando, passando sopra il divano senza fare alcun rumore per non sorprendere Eleanor e abbracciarla da dietro. Sospira un "Oh Edward" andando a chiudere la finestra aperta mentre tagliava le cipolle.
La tavola, quando fu tutto pronto, è apparecchiata solo per due persone.
Stranito come me, Tobias dice "E papà non mangia con noi?"
"Stasera papà non verrà"
"Ma papà viene sempre!" e lo posso confermare, sono qui difronte a te Eleanor, che scherzo è questo?
La mancanza di quel qualcosa si fa assordante nel suo non esserci.
Manca qualcosa, quel qualcosa a cui siamo da sempre abituati, abituati persino ad ignorare.
Scaccio di nuovo quel pensiero. Chissà se riusciranno ancora ad ignorarmi se mi vesto in modo buffo. Magari con quello strano abito che avevo comprato quando ero ancora troppo giovane, evidentemente, per sapere qualcosa in fatto di moda. Magari, avrei rubato loro anche una risata.
In camera però il mio sguardo viene subito rapito da una lettera sul comodino a destra. Di condoglianze.
Ero morto, e quel qualcosa che non riuscivo a definire, la cui deficienza mi stava portando ad essere deficiente, era l'essere vivi.
Era respirare. Era il battito del cuore.
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Fogli volanti
Short StoryRaccolta di brevi testi che bianchi volano in una folata di tempo. (Se li trovati interessanti e li volete mettere nelle vostre storie scrivetemi.)