Parte I

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La prima cosa che Louis Tomlinson pensò non appena aprì gli occhi, fu che avrebbe dovuto ridipingere la stanza. Non aveva alcuna intenzione di muovere il corpo, così il suo sguardo era ricaduto sulle pareti della sua camera da letto.
Seconda cosa che Louis Tomlinson pensò, fu che quella sarebbe stata l'ultima sbornia della sua vita. Terza cosa: impossibile.
Strinse i pugni e si mise a sedere. Pessima idea. Il mondo parve girare più velocemente per un millesimo di secondo, finché tutto non ritornò come prima. Si voltò lentamente, constatando che accanto a lui non c'era nessuno. Tanto meglio, non era finito a letto con un perfetto sconosciuto. Forse non aveva nemmeno sniffato. Si alzò in piedi, barcollò per un attimo, e si diresse a fatica verso il bagno. Doveva avere un alito pestilenziale, puzzava di sudore e i capelli erano scomposti sulla fronte, appena appena appiattiti. Due grosse occhiaie adornavano sapientemente i suoi occhi azzurri, conferendogli un aspetto più smorto di quanto già non avesse di solito. La cosa peggiore di tutta quella situazione, era che si sarebbe dovuto trovare a lavoro già da dieci minuti, ed era ancora lì, sporco e depresso.
Si spogliò degli abiti, macchiati di qualcosa di cui non era sicuro di voler sapere la provenienza, si infilò sotto la doccia e si addossò alle piastrelle bianche. Grazie all'acqua calda, si sentì quasi rinsavire, benché il mal di testa non gli desse tregua. Si lavò bene i capelli, il corpo, il cazzo. Dopo nottate così, non si poteva mai sapere.
Conosceva bene i rischi che correva all'ubriacarsi in quel modo, rischiando di fare sesso col primo che capitava, non abbastanza lucido per imporsi di mettere il preservativo. Dal canto suo, era sano come un pesce. Ma gli altri?
Sospirò, uscendo dalla doccia e avvolgendosi nell'accappatoio. Ora il suo viso sembrava un po' più morbido. Avrebbe dovuto farsi la barba, constatò, passandosi due dita lungo la guancia; poco importava, era di fretta. Si poteva ancora tenere.
Nudo, si diresse in camera, dove si vestì velocemente, recuperò la sua macchina fotografica e un paio di aspirine. Aveva la nausea, ma una fame incredibile; dal momento che non aveva altro che patatine e pizza fredda in casa, sarebbe dovuto passare al bar. Tanto ormai era in elegante ritardo. Prese le chiavi della macchina e di casa e uscì velocemente. Fece per premere il pulsante per chiamare l'ascensore, ma si ricordò immediatamente che era inutilizzabile da più di un mese. Chissà quando sarebbero venuti a ripararlo. Probabilmente mai. Fece di corsa le scale, cercando di ricordarsi dove avesse parcheggiato l'ultima volta. Forse davanti a casa, o in seconda fila.
Quel giorno sarebbe stato uno di quelli dove tutto va bene, uno di quelli nei quali non importa quanto ci si impegni a farlo andare male. La macchina era proprio davanti al portone - in seconda fila, ma senza multa. Salì immediatamente e mise in moto. Guidò fino ad un McDrive, dove si rifornì per la colazione. Il suo tenore di vita non era dei più salutari, si abbuffava fino allo sfinimento e poi si ammazzava in palestra. Era un giovane di ventidue anni, quell'andamento sarebbe andato bene per un po' di tempo. I suoi amici gli ripetevano di cominciare uno stile di vita più sano, perché in futuro avrebbe avuto seri problemi di salute. Lui rimandava, come ogni cosa.
Azzannando una ciambella, guidò fino al suo studio. Parcheggiò, lanciando imprecazioni varie, nel tentativo di non far cadere il pezzo di cioccolato che aveva in bocca e di non rovesciare il caffè.
Quando finalmente riuscì a spegnere l'auto, entrò di tutta fretta nell'edificio. In realtà, avrebbe anche potuto prendersela più comoda, era lui il capo. Be', non esattamente, però era il fotografo migliore di tutta Londra, chi avrebbe potuto contestare sul suo ritardo? Avevano bisogno di lui.
Il posto dove lavorare era gremito di nuovi impiegati che andavano e venivano, bisognosi di farsi approvare dal grande capo. Lui, ovviamente, no. Non si stavano nemmeno simpatici, da sempre vi era una forte rivalità. Ma, finché fosse stato il migliore sulla piazza, non aveva nulla da temere.
Salutò la segretaria all'entrata e si diresse velocemente dal suo assistente, Ed, un ragazzo dai capelli rossi e l'aria paffuta che gli stava sempre alle costole con le mani piene di rullini. Talvolta poteva essere irritante, soprattutto quando lo sentiva cantare dalla camera oscura. Era così intonato da dare sui nervi.
« Ricordami cosa devo fare oggi » gli chiese, lasciandogli la borsa, che il ragazzo prese subito al volo.
« Devi sviluppare delle fotografie per la rivista Life e alle undici hai un servizio fotografici con dei modelli per Dolce & Gabbana. »
« Ooh, un altro di quei noiosi servizi con quei morti viventi pieni di trucco. Mi toccherà sorbirmi qualche altro viziatello; Nick non ha niente di meglio da fare che svendersi così? »
« Siamo uno studio fotografico, Louis, che altro dovremmo fare se non foto? »
Il giovane si voltò verso il suo assistente, un sopracciglio alzato e l'espressione scettica. Gli strappò dalle mani i rullini e assunse una smorfia teatrale.
« Ci sono tante, caro Ed, tante cose molto più interessanti da fotografare che ragazzi in intimo. Be', fotografarli è assolutamente eccitante e... », si leccò le labbra con aria sorniona, « piacevole, ma in altre sedi. »
Ed Sheeran era una persona intelligente, una promessa della musica inglese e troppo povero per permettersi di sfondare in quel mondo, così aveva dovuto ripiegare su quel lavoro. Ma le sue doti erano intatte e per quanto si sforzasse di non trovare un doppiosenso nel discorso del suo superiore, non ci riusciva. Non che fosse una novità che a Louis Tomlinson piacessero i ragazzini, l'aveva trovato un sacco di volte a fare apprezzamenti sui sederi, fasciati egregiamente dai jeans di Armani, dei modelli. Ma era un artista, esattamente come lui e, come tale, era un eccentrico. Non voleva sapere cosa facesse coi suoi amanti, ma era certo che sapesse tirar fuori anche da quelle situazioni qualcosa di eccelso.
Louis Tomlinson era uno difficile, anche in fatto di ragazzi.
Il rosso sospirò, mordendosi la lingua.
« Vuoi che vada io a sviluppare quei rullini? Così puoi discutere con Liam sui modelli delle undici » propose, cercando di sviare quella situazione imbarazzante.
Louis scosse il capo.
« Vado io. Ho bisogno del silenzio di quel posto per riprendermi dal mal di testa. Anzi, portami un caffè, già che ci sei. », e con quelle parole, si dileguò con un sorrisetto, lasciandosi alle spalle un Ed inebetito.
Gli stava simpatico, era un tipo sveglio, anche se alle volte si addormentava sul posto di lavoro. Avevano bevuto anche un paio di birrette insieme.
Louis non aveva alcuna voglia di immortalare modelli per la collezione autunno-inverno di qualche strano stilista, alla fine erano sempre gli stessi capi d'abbigliamento. Non poteva nascondere la sua soddisfazione nel vedere quei ragazzi palestrati posare, ma non si era certo appassionato alla fotografia per quello. Inoltre, non lo aiutava di certo, visto che non faceva sesso da troppo tempo, tra lavoro e blocchi d'ispirazione. Non era il momento di provocarlo con dei culetti sodi.
Posò la borsa con la macchina fotografica sul tavolo e si diresse verso la camera oscura. Gli era sempre piaciuto quel posto, si sentiva protetto e al sicuro da quelle luci soffuse e poteva liberare la mente, concentrandosi completamente sul suo lavoro, cosa che non succedeva al di fuori di lì. Era il suo covo segreto, dove si rifugiava per riflettere, a discapito degli acidi che giacevano sui suoi strumenti da lavoro.
Louis era famoso per essere un artista nel suo campo, serio e professionale ma, come lo definiva Ed, eccentrico. E, da bravo eccentrico, aveva manie altrettanto eccentriche, come quella di indossare il suo berretto preferito, prima di entrare nella stanza. Era convinto gli portasse fortuna. Aveva indossato quello quando era stato ammesso alla scuola di fotografia, quando aveva dato il primo bacio, quando si era innamorato per la prima volta.
Sospirò e fece la sua entrata, i rullini in una mano e il cappello di lana nell'altra.
Ora, Louis era abituato a tutte le stranezze del mondo, si definiva lui stesso uno scherzo della natura, ma quello che trovò, o meglio, quello che sentì, non appena entrò, andava oltre qualunque sua supposizione. E di certo, non era ciò che avrebbe voluto udire, non era ciò che l'avrebbe aiutato a calmare il suo mal di testa.
Da qualche parte, forse dietro il grande armadio, provenivano degli ansimi soffusi, qualche risolino e due voci che sussurravano. Rimase bloccato sulla porta, indeciso sul da farsi. Possibile che qualcuno stesse davvero facendo sesso nella sua camera oscura? Si avvicinò a passo felpato, trattenendo il respiro per sentire meglio. Distinse chiaramente due voci maschile, una profonda, sensuale, resa roca da quello che stava facendo ed una molto, troppo famigliare.
« Sei così sexy... » sentì sussurrare. Il complimento venne accolto da una risata, a parere di Tomlinson, la più bella che avesse mai sentito.
« Me lo dici tutte le volte... », fu l'altro a parlare, il suono della sua voce era mozzato dai gemiti e da uno sbattere di cosce inequivocabile.
Una spinta, secca, forte, il fece gemere entrambi.
« Oh... Harry... », erano al culmine.
Louis si sporse appena e quello che vide lo lasciò senza fiato, letteralmente. Un giovane dai capelli indomabili e gli occhi di un verde innaturale, era seduto sul suo tavolo da lavoro, i pantaloni calati a scoprire le sue gambe marmoree con nientemeno che Nick Grimshaw, il suo capo di lavoro, acerrimo nemico, tra le gambe che lo fotteva a dovere, affondando in lui con violenza eccitante. I loro bacini cozzavano, il ragazzo muoveva il ventre contro il membro di Nick con sensualità disarmante, le braccia artigliate alle sue spalle nude e i denti a stringere il labbro inferiore, la testa piegata all'indietro a mettere in mostra il collo di cigno, pieno di morsi e succhiotti.
Trattenne il respiro, mentre il ragazzo - Harry?, si lasciava andare a un gemito più lungo degli altri, mentre sussurrava frasi sporche all'orecchio dell'uomo.
« Oh Nick, ce l'hai così grosso... », riuscì a distinguere. Quelle parole lo intontirono, tanto da fargli sbattere il piede sul contenitore dell'immondizia, provocando un suono sordo che fece arrestare tutti i loro movimenti. Quando Louis alzò gli occhi, la scena che gli si presentò davanti fu troppo sensuale per resistervi: Nick, i capelli spettinati e l'espressione rabbiosa, affondato a metà tra le carni del ragazzo, le mani a stringere possessivamente i suoi fianchi e il riccio, il collo ricoperto di goccioline di sudore, forse dovuto anche al calore della stanza, e le gambe in tensione, sensualmente aperte, le sue labbra spalancate, rosse come il sangue e i suoi occhi liquidi per il piacere. Rimasero immobili, a fissarlo.
L'espressione del suo capo divenne maliziosa, mentre ricominciava ad affondare nel corpo del suo amante, strappandogli un gemito.
« Nick... », lo sentì gemere, « chi è? » sussurrò con un sorrisetto, mentre l'altro gli mordeva un capezzolo con ferocia.
« Uno sfigato » rispose e il riccio scoppiò a ridere, accogliendo con dedizione il cazzo affondato tra le sue natiche. A quel punto, Louis non ce la fece. Diede loro le spalle e uscì velocemente da quel luogo, impregnato di sesso e del profumo di cocco di quel ragazzo, Harry.
Si chiuse chiudendosi la porta alle spalle, rimanendo ad ansimare da solo nel silenzio del suo studio.
Poco dopo, i due uscirono, completamente rivestiti e le espressioni dolci di chi ha appena fatto la scopata migliore della propria vita. Harry era davvero alto, lo superava di parecchi centimetri ed era incredibilmente bello, con i capelli probabilmente più scomposti del solito e le labbra infuocate, sporche agli angoli della bocca.
« Scusa, piccoletto » gli disse con voce sensuale, leccandosi i contorni delle labbra con malizia, fino a quando Nick non gli cinse i fianchi, puntando gli occhi sul suo sottoposto, che fremeva di rabbia per l'appellativo con il quale era stato chiamato.
« Louis, è davvero un peccato che tu sia arrivato in ritardo, sei intervenuto proprio nel momento sbagliato », e scoppiò a ridere, allontanandosi poi da lui, seguito dal giovane amante, al quale sentì distintamente chiedere: « è il tizio di cui mi parlavi? », prima che si chiudessero la porta alle spalle.
Il ragazzo si fece scivolare lentamente a terra e represse un urlo di rabbia. Nick gliel'aveva fatta di nuovo, era riuscito ad umiliarlo. Ma quello che lo fece più arrabbiare, non fu tanto quello che era, sebbene la profanazione del suo luogo sacro gli desse terribilmente sui nervi, ma piuttosto il fatto che avesse una fastidiosa erezione e due occhi verdi fissi nella testa.

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