Insegnami a Cantare

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Louis William Tomlinson, nato a Manchester il 24 Dicembre 1991, aveva da sempre avuto una passione sfegatata per la musica. Musica rock, musica classica, musica pop, musica rap. Musica, in tutte le sue forme. Forse questo suo amore incondizionato per le note, era stato ereditato da suo nonno, George Tomlinson, artista di successo e conosciuto in quasi tutta l'isola britannica. Fin da quando era piccolo, George insegnava al nipote le arti del mestiere: come pizzicare le corde della chitarra nel modo corretto, come e quando era il momento di alzare o abbassare la voce per non coprire il suono degli strumenti, quanto fiato dare al flauto traverso per non stonare e creare sempre una melodia perfetta. Inutile dire che alla morte di George, Louis cadde in una profonda tristezza. Ogni giorno cercava negli strumenti musicali il modo di non dimenticare la voce, il volto, l'amore di suo nonno, ma con il tempo anche quelli sparirono dalla sua mente, lasciando nel giovane un vuoto incolmabile. All'età di 20 anni aveva lasciato il college per coronare il suo più grande sogno: diventare insegnante di musica. Insegnava a tempo pieno, ogni giorno e ad ogni ora e i suoi allievi adoravano il loro maestro. Chi più di lui amava la musica, chi più di lui riusciva a trasmettere loro quella passione smisurata?

Da un po' di tempo aveva anche iniziato ad insegnare in casa. Istruiva bambini e ragazzi di ogni età, lasciava loro la possibilità di scegliere uno strumento qualsiasi, quello che più li incuriosiva, e iniziava parlare della storia di questo mentre le sue dita si muovevano leggiadre lungo una tastiera, una chitarra, una batteria, o chi per essi. Tutti coloro che uscivano da casa Tomlinson, portavano con sé un pizzico della passione di Louis, un po' dell'amore che lui aveva loro trasmesso.
Benché la musica occupasse quasi ogni momento della vita di Louis, anche lui aveva una vita privata, strano ma vero. Aveva numerosi amici, che vedeva quasi esclusivamente la sera in qualche pub o discoteca. In realtà non amava molto quei posti, ma se c'era una cosa che gli piaceva, era la birra. Adorava quella bevanda frizzante e dolcemente amarognola. Lasciava nella sua bocca un gusto inconfondibile che rimaneva lì per ore. Andava matto per la birra e nei posti in cui poteva berne a quintali senza destare sospetti, essendo maggiorenne e bevendo meno rispetto a molti minorenni, ci andava volentieri in compagnia di qualche amico. Di solito si dava appuntamento con Stan, David e Michael davanti casa di quest'ultimo e poi si rifugiavano in qualche pub di Doncaster, cittadina nel quale si era trasferito all'età di 18 anni. Loro, in teroia, erano i migliori amici di Louis; in pratica non li sopportava più di tanto. Erano troppo esuberanti e curiosi. In un modo o nell'altro, anche a costo di farlo ubriacare, dovevano sapere la verità. Così erano venuti a sapere di un piccolo, anche se in realtà non era così piccolo, dettaglio della sua vita sentimentale: Louis era gay e nessuno oltre a loro sapeva di questo suo segreto. Louis si vergognava incredibilmente della sua natura e non appena si era accorto di ciò che aveva detto, aveva cercato ogni modo per negarlo, per dire che erano solo gli effetti della sbronza. Ma loro non gli avevano creduto, insomma, era così evidente! Aveva il terrore di essere giudicato, preso in giro, addirittura picchiato. Pensava che forse l'avrebbero licenziato dalla scuola o che nessuno sarebbe più venuto a casa sua per lezioni private. Nemmeno la sua famiglia lo sapeva, con la quale aveva perso i contatti da quando era scappato di casa, costretto dai suoi genitori a mettere da parte la sua passione più grande e iniziare a studiare veramente. Ma la verità era che Louis non era mai stato un asso nello studio. Semplicemente non gli piaceva e sicuramente i suoi genitori, con le maniere forti, non glielo facevano amare. Dopo essere stato costretto a trascorrere un anno al college, si era ritirato e si era rifugiato a Doncaster, dove aveva trovato un lavoro e un appartamento accogliente. Louis era felice così, aveva tutto ciò di cui aveva bisogno,tranne, forse, un amore. Il ragazzo dagli occhi blu, perché sì, Louis aveva, al posto degli occhi, due gemme di acquamarina, aveva sempre desiderato un amore vero, lungo e sincero. Purtroppo però, non era ancora arrivato il suo momento e lui continuava a vivere la sua vita, aspettando il suo principe azzurro, magari con una chitarra in mano.
Quel giorno era iniziato come tutti gli altri. Louis si era alzato, aveva fatto una veloce colazione, si era vestito e profumato e, dopo aver raccolto tutti i libri e gli spartiti sparsi per la casa, si era diretto alla Felicity Secondary School, la scuola di Doncaster. Come ogni martedì mattina, aveva avuto un'ora di lezione nella classe prima e un'altra alla terza ora, nella classe seconda. Adorava insegnare ai bambini della scuola secondaria. L'idea di essere una parte importante della crescita dei suoi alunni, gli faceva venire una voglia immensa di impegnarsi e di far capire loro la bellezza della musica. Perché per lui la musica era questo, qualcosa da ampliare, da condividere con tutti. La musica non si può nascondere, la musica va urlata, va fatta conoscere.
Quando anche quel giorno di scuola finì, Louis si ritirò in casa, desideroso di un po' di relax. Per quel giorno, non aveva lezioni in casa, perciò, dopo essersi fatto una doccia veloce, si distese sul divano per chiacchierare un po' con i suoi amici.
Stan: Questa sera alle 8.30 a casa mia per una pizza, poi andiamo al pub. Ci state?
Micheal: Ho gli allenamenti di calcio, arriverò per le 9, scusatemi.
Stan: Non preoccuparti, amico. Louis? David?
Louis: Ci sono
David: Anche io
E così, anche per quella sera, Louis non sarebbe stato solo. Il ragazzo, infatti, odiava stare solo. In casa sua lo stereo era sempre acceso proprio per questo. Aveva il costante bisogno di sentire qualcuno, di sapere di non essere solo.
La sua giornata passò piuttosto velocemente, tra compiti e esercizi da correggere, fino a quando Louis non si ritirò in camera sua per decidere cosa indossare. Quella era la parte più noiosa della vita di Louis. Non gli piaceva spendere troppo tempo a scegliere cosa mettersi, ma voleva sempre essere vestito bene, caso mai ci fosse stato qualche bel ragazzo. Ci teneva al suo aspetto, Louis, anche se lo annoiava abbinare jeans e maglie. Alla fine optò per un paio di jeans scuri e una maglietta a maniche corte bianche. Indossò una felpa azzurrina e il solito cappello di lana grigia che non lasciava mai a casa. Amava quel berretto. Glielo avevano regalato le sue sorelle per Natale, era caldo e morbido e non usciva mai senza indossarlo. Si spruzzò un po' di profumo e, dopo aver indossato le sue adorate vans azzurre, era pronto per uscire. "Non sono così male" Si disse, per convincersi che, in fondo, fosse abbastanza carino.
Prese le chiavi dal tavolo della cucina ma, quando stava per arrivare alla porta, qualcuno suonò al campanello. "Chi può essere?" Si chiese Louis, consapevole di non stare aspettando visite. Aprì la porta e si trovò di fronte un bellissimo ragazzo riccio. Le parole soffocarono in gola non appena incontrò i meravigliosi occhi verdi del ragazzo di fronte a lui.
"Sei Louis Tomlinson, tu, giusto?" Disse quello.
"Sì ma...tu chi..."
"Insegnami a cantare"
Prima di poter obiettare o fare qualsiasi altra cosa, Louis si ritrovò di nuovo in casa, in compagnia di un estraneo. Il riccio parve ambientarsi subito, invece, tanto che iniziò a gironzolare per quelle quattro mura, come se vi abitasse da sempre.
"Scusami, posso sapere chi sei e cosa vuoi?"
Chiese Louis con discrezione. Era sempre stato un ragazzo gentile e, anche in questo caso, non si sarebbe mai permesso di sembrare scorbutico, nonostante quello si fosse intrufolato in casa sua senza alcun permesso.
"Mi chiamo Harry e voglio che tu mi insegni a cantare"
"Avrei un impegno per questa sera. Possiamo rimandare a domani"
"Assolutamente no. Rimanda tu il tuo impegno. Voglio imparare a cantare e voglio farlo nel minor tempo possibile"
"E' tardi e io non ho cenato. Domani saremo entrambi più freschi e potrei aiutarti con più facilità"
"Ho detto di no. Neanche io ho cenato. Che problema c'è? Quando avremo finito ordinerò una pizza"
"Ma..."
Louis non riuscì a concludere la frase che Harry era già seduto sullo sgabello del pianoforte del maggiore.
"Con cosa cominciamo?"
Louis si risvegliò dallo stato di trance in cui era entrato da quando il riccio aveva iniziato a parlare. Avvertì velocemente i suoi amici, per poi sedersi a fianco del ragazzo.
"Sentiamo cosa sai fare..."
Secondo Louis, quell'Harry era davvero maleducato. Era entrato in casa sua senza essere stato invitato e aveva improvvisato una lezione che non doveva esserci, sconvolgendo tutti i suoi piani per quella sera. Non avevano iniziato bene, quei due, ma Louis doveva ammettere a se stesso che, per quanto fosse antipatico, era davvero un bel ragazzo. Era alto e snello, gambe lunghe e tatuaggi quasi ovunque. I suoi ricci castani scivolavano lungo le sue guance rosate dandogli un'aria molto più dolce di quanto in realtà non fosse. Louis, per un millesimo di secondo, pensò di far scivolare le sue dita lungo quei ricci. Dovevano essere molto soffici. Poi c'erano le labbra, rosee e a forma di cuore. Chissà come sarebbe stato morderle e poi curarle a forza di baci. Infine gli occhi. La parte più bella, secondo Louis. Due gemme di smeraldo che brillavano più di un cielo stellato. Probabilmente, Harry, era più piccolo di lui. Ma non di molto. Avrebbe potuto avere una ventina di anni. Non sarebbe stato uno scandalo avere una relazione con lui, pensò Louis. "Neanche sai se è gay e già pensi a stare insieme a lui. Qualche volta sei proprio stupido, Louis" Disse a se stesso con una smorfia.
Quando Harry iniziò a cantare, il cuore di Louis perse un battito. Stonò quasi sempre, è vero, ma per Louis, quella, era la voce più bella che avesse mai sentito. Stava cantando Happily, una delle sue canzoni preferite, scritta da un gruppo poco conosciuto: colpo basso per Louis. Quando arrivò il momento del ritornello, Louis lo zittì. Non poteva rovinare completamente quella canzone. Harry parve un po' infastidito da quel gesto, ma a Louis non importò molto. Quella era la sua canzone.
"Allora?"
"Allora non hai fatto altro che stonare, ma possiamo rimediare"
"Solo perché tu sei capace a cantare non mi sembra il modo di trattare qualcuno che ti chiede aiuto"
"Non mi è sembrato di essere sgarbato, perdonami se lo sono stato"
"Lo sei stato"
"Allora, scusa"
Continuarono a battibeccare per un po', fino a quando Louis, non iniziò la lezione vera a propria.
Gli fece ripetere per circa un'ora un semplice "Do", la nota più bassa che ci fosse. Pensò che Harry si sarebbe stancato di questo, ma non fu così. Ogni volta che ripeteva la nota, cercava di farlo nel modo migliore possibile. "Questa mi è venuta abbastanza bene, dai!" Diceva. Oppure "Oddio, questa era terribile" E ricominciava. Louis si divertiva a vederlo così interessato a ciò che stava facendo. Con il passare dei minuti, il maestro si accorse di quanto ad Harry venissero bene le note basse. Riusciva a trasformare una nota bassa in qualcosa di unico. Così, passarono al "Re" e anche quella fu un successo per il riccio.
Erano le 10.30 quando decisero di interrompere la lezione. Harry infatti, mugugnò un "Mi sta venendo fame" E Louis acconsentì a smettere.
"Dovresti allenarti ancora, a casa, su queste due note. Credo che il tuo problema siano le note alte, ma pian piano arriveremo a corregerlo" Gli aveva detto il ragazzo con gli occhi blu, cercando di essere il più gentile possibile.
"La pizza posso comunque ordinarla, no?"
"Uhm...sì"
Ma Louis non aveva capito che l'intenzione di Harry era di mangiarla in quel mini appartamento di Doncaster dove il maggiore viveva da ormai tre anni e, quando il ragazzo delle pizze suonò al campanello, Louis fu ben lieto di condividere la cena con quel ragazzo appena conosciuto.
"Scusa se mi sono autoinvitato questa sera ma mi hanno detto che sei un ottimo insegnate e io voglio imparare a cantare. Poi non mi piace stare solo in casa, quindi mi sono fermato qui a cenare. Spero che il tuo impegno non fosse troppo urgente. Mi scuso anche per la mia maleducazione, quando sono agitato lo divento senza che me ne accorga" Disse Harry tutto d'un fiato dopo aver mandato già un sorso di coca cola.
"E' tutto ok" Lo rassicurò Louis, mentre il suo stomaco faceva le capriole dalla felicità. "Allora non è poi così antipatico" Pensò il maggiore.
Passarono la sera a parlare, a conoscersi e a fare amicizia. Scoprì che Harry era di Holmes Chapel, una cittadina dell'Inghilterra centrale, e che si era trasferito a Doncaster da poche settimane perché desideroso di cambiare aria e amicizie. Scoprì anche che lavorava in una pasticceria, di fronte alla scuola in cui insegnava Louis e che, fin da piccolo, desiderava imparare a cantare bene. Harry, inoltre, suonava il pianoforte da quando aveva 15 anni e, quando Louis gli diede il permesso di usarlo, Harry iniziò a suonare una melodia meravigliosamente dolce che Louis, nonostante conoscesse moltissimi pezzi, non riconobbe.
"Di chi è?" Chiese infatti.
"Di Harry Styles, non lo conosci?" Scherzò il riccio.
"L'hai seriamente scritta tu?"
"Sì" Rise.
La risata di Harry era pura, cristallina e Louis, ogni volta che lui rideva, si sentiva bene, leggero. La adorava. Per non parlare di quelle fossette che si formavano ai lati della sua bocca. Per un momento Louis desiderò soltanto lasciare una scia di baci dalla fossetta sinistra al collo, lungo e sottile. Cacciò via quell'immagine dalla sua testa sentendo una vampata di calore inondargli le guance.
"E' bellissima" Sussurrò Louis quando il minore ebbe finito di suonare. "Possiamo scrivere qualcosa su questa base, hai mai scritto canzoni?"
"No, ma mi piacerebbe molto farlo"
"Allora lo faremo"
Passate le 11.30, Harry si decise ad andare via.
"Grazie per la bella serata, Lou. Domani posso venire alla stessa ora?"
A Louis mancò il respiro. Non solo l'aveva chiamato Lou, quel nomignolo con cui solo le persone più intime lo chiamavano, ma voleva anche rivederlo. "Solo perché devi insegnargli a cantare, stupido" Si disse. Eppure il suo cuore iniziò a saltare dalla gioia e Louis riuscì appena a pronunciare un "Sì".
Si salutarono con un po' di timidezza, non sapendo cosa fare. Dovevano stringersi la mano? Abbracciarsi? Entrambi pensarono che la cosa migliore da fare fosse un semplice "Ciao" e così, Harry, sparì dietro la porta di casa Tomlinson lasciando a Louis un desiderio soffocante di rivederlo.

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