Mare aperto

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Warning: horror story. (Non troppo horror, il giusto).
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Il sole sul ponte della nave era accecante, il cielo era limpido e un buon vento gonfiava le vele, era una giornata perfetta per la navigazione.

Il capitano, in piedi sul cassero di poppa, osservava il suo equipaggio. In ogni volto dei suoi uomini leggeva la stessa preoccupazione mal dissimulata che, sapeva, si poteva leggere anche sul suo. Nessuno osava parlare. Il silenzio plumbeo in cui si erano chiusi i marinai amplificava i rumori della nave che invece sembrava più chiassosa che mai: lo sciabordare delle onde sui suoi fianchi, lo schiocco della bandiera mossa dal vento, il cigolio del legno. Rumori familiari e di norma ignorati, ma che adesso riempivano l'aria risultando quasi assordanti ai nervi tesi dei marinai: ogni piccolo suono li faceva sobbalzare.
Il capitano serrò le labbra secche e screpolate dalla salsedine e dalla sete, un rivolo di sudore gli scendeva da sotto il tricorno di pelle, giù sulla fronte fino ad arrivare agli occhi. Lui lo lasciò colare lentamente, realizzò che ogni suo muscolo era teso: i pugni serrati, l'addome contratto, persino il respiro si era fatto più breve e superficiale. Temeva che se si fosse mosso troppo avrebbe spezzato l'incantesimo che proteggeva lui e la sua nave dalla vista di chissà quale creatura li stesse aspettando al di sotto di quelle acque nere. Deglutì a fatica e gli sembrò di ingoiare sabbia.

Il viaggio stava andando bene finché non erano stati sorpresi dalla bonaccia, avevano dovuto razionare cibo ed acqua, ma anche così le scorte finivano troppo velocemente e quando finalmente il vento si era rialzato, avevano presto capito che avrebbero dovuto tracciare un'altra rotta, una più rapida, se volevano raggiungere al più presto la terraferma benedetta di un porto sicuro.
Questo significava però passare tra le isole dell'arcipelago di Sant'Elizabeth, su quel tratto di mare che sulle mappe è segnato come "Fossa della Sirena", ma che i marinai conoscevano con il nome certamente più suggestivo e meno rassicurante di "bocca del diavolo".
Le storie che si raccontavano su quel pezzo di mare facevano parte di quelle leggende che i marinai si raccontano da secoli tra un bicchierino e l'altro nelle taverne più becere delle città portuali: la Fossa della Sirena incuteva il reverenziale timore delle antiche leggende. Nessuno credeva che fosse la dimora di mostri senza tempo, nessuno credeva che fosse percorsa da correnti maligne che venivano direttamente dall'inferno, ma, alla fine, tutte le navi preferivano girarle attorno e non attraversarla direttamente.

Quando all'equipaggio era stata comunicata la nuova rotta, dopo un iniziale momento di sgomento, erano fiorite risate e battute di spirito. Schernivano la loro paura, annunciavano spavaldi che qualsiasi mostro marino, una volta fritto in padella, sarebbe stato niente più che un ottimo pasto. Di certo poi preferivano sfidare la sorte piuttosto che morire di sete sul ponte della nave come aringhe messe a seccare al sole. Sembravano aver esorcizzato qualsiasi timore, ma più la nave avanzava inesorabile verso la Fossa, più diventavano silenziosi e il sorriso si spegneva sulle loro labbra.

Ora l'arcipelago era ben visibile. Si distinguevano le isole che lo formavano, rocciose e brulle, con scogliere a picco sul mare. Lapidi grigie nelle acque scure.

Il capitano aveva lo sguardo fisso sull'orizzonte, oltre quel punto maledetto, continuava a ripetersi che erano stupidaggini, leggende, si sforzava di sorridere della sua credulità, ma una paura primordiale lo paralizzava e gli tratteneva il respiro, attendeva che la nave passasse oltre le isole, oltre la fossa. Il vento gonfiava le vele e all'equipaggio pareva che si andasse troppo velocemente e, allo stesso tempo, esasperatamente piano.

All'improvviso si sentì un boato e la nave tremò. Il capitano dovette aggrapparsi al parapetto per non perdere l'equilibrio, pensò ad una secca o che lo scafo fosse andato a sbattere contro qualche scoglio, ma sapeva che era impossibile, in quel luogo il mare era troppo profondo. Istintivamente guardò il mare sotto di lui e rimase inorridito: le acque nere sembravano ribollire, come se milioni di pesci nuotassero appena sotto la superficie. Strane creature pallide guizzavano mosse da una frenesia misteriosa. Il capitano urlò, si allontanò dal parapetto con un balzo e cadde sul legno duro del cassero.
La nave intanto aveva iniziato ad inclinarsi lentamente su un lato. Alcune bottiglie rotolavano tintinnando sul ponte e finivano in mare, dove sparivano, inghiottite dalle onde. Un gruppo di uomini si avvicinò alle scialuppe, tentando un ultimo disperato tentativo di fuga, ma prima che potessero metterle in mare, la nave ricevette un altro forte scossone che la fece vibrare e inclinare del tutto sul fianco. Molti dell'equipaggio caddero in mare, urlando, pregando per un miracolo che sapevano non sarebbe arrivato.

Il capitano si teneva stretto ad una sartia e sentiva l'acqua arrivare lentamente alle caviglie, salire, finche non fu completamente sommerso. Si aggrappava spasmodicamente alla corda cercando di issarsi su per raggiungere la superficie, disperato per una boccata d'aria. All'improvviso si sentì afferrare le gambe, cercò di scalciare, ma i vestiti bagnati gli rendevano i movimenti difficili e più si divincolava più la presa si faceva forte, veniva lentamente trascinato in basso. Tentacoli, pensò, e guardò in basso nella speranza di individuare un modo per liberarsi da quella stretta.
Mani. Mani bianche continuavano in lunghe braccia bianche e si perdevano nell'oscurità. Sentiva il suo cuore battere forsennatamente, gli occhi dardeggiavano ovunque alla ricerca di un appiglio, una speranza di salvezza. Le creature lo strattonavano con sempre più vigore e il capitano sentì improvvisamente le fibre ruvide della corda scivolargli via dalle mani. Non guardò l'abisso, guardò in alto e vide il mare richiudersi sopra di lui, la luce del sole si faceva sempre più lontana. Non riusciva più a trattenere il fiato. Inspirò.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 16, 2021 ⏰

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