Se potessi descrivere la mia vita con tre parole, direi: confusa, disordinata, sbagliata.
1.Confusa: nulla ha senso. Sembra tutto un puzzle, uno di quelli da milioni di pezzi, molti dei quali persi.
2.Disordinata: nulla e' al posto giusto. Regna il caos, nella testa così come nella vita di tutti i giorni.
3.Sbagliata: dannatamente sbagliata. Non e' questo che voglio. Non e' questa la vita che mi merito. Non voglio questa esistenza.Non mi sono mai considerata una persona normale. Non sono il prototipo di ragazza 'perfetta', magari bionda, occhi verdi, gambe lunghe e corpo snello. Mi sento bene così come sono. Eppure mi sento sbagliata.
C'era sempre stato qualcosa che non andava in me. Non ho mai saputo cosa e non so se mai lo saprò.
Accettarsi e' un conto, accettare la propria condizione e' un' altra. Diverse tra loro. Accettare te stessa e' vivere bene con te, come se corpo e mente lavorassero insieme; accettare la condizione e' convivere con il tuo corpo. A volte sembra che ci convivo. Non sento il mio corpo MIO.Mi sento un uccellino. Un uccellino che vuole giustizia. Vuole la libertà. Vuole essere liberato dalla sua gabbia. Ma quando gli danno questa libertà, gli tagliano le ali. Inutile che aprano la gabbia, l'uccellino non può più volare. Deve sottostare alla sua condizione. Non può farci nulla.
***"Lei si nascondeva dietro al trucco, non era molto, ma le piaceva. Soprattutto, le piaceva valorizzare i suoi occhi, anche con un semplice filo di matita, sperando che un giorno qualcuno avesse notato quei semplici occhi marroni, che avesse notato quello sguardo stanco. Forse un po' così si nascondeva, non so da cosa, dal mondo suppongo. O forse, era solo per sentirsi uguale alle altre, al loro stesso livello, ma infondo sapeva che al loro livello non ci sarebbe mai arrivata.
Si nascondeva, in una stanza, in mezzo ad una folla di persone, si nascondeva anche quando era da sola. Si nascondeva e osservava, le piaceva immaginare i volti degli anziani quando erano ancora nel fiore della loro giovinezza, oppure osservare i gesti delle persone, i loro sguardi, ogni piccolo dettaglio.
Le piacevano i dettagli, erano i dettagli che davano colore al mondo e alle persone; lei viveva di dettagli, si sentiva lei stessa uno di questi. Era un dettaglio, un bellissimo quanto orribile dettaglio che nessuno notava.
Vedeva il mondo ancora con gli occhi e l'innocenza di un bambino, ma allo stesso tempo lottava contro quel male che aveva posto fine alla sua innocenza, come per tutti d'altronde.
Era ingenua, ma non era stupida. Era forte, ma allo stesso tempo così fragile. Bastava un tocco, una sola parola, per farla crollare, per farla affondare. Era come quelle tante foglie autunnali alle quali bastava un soffio di vento per cadere. Lei si rialzava sempre però, anche se aveva tutto il mondo contro; si rialzava sempre più distrutta. E un giorno sarebbe crollata senza più rialzarsi, sarebbe rimasta a terra in balia del vento, questo lo sapeva anche lei. Forse era questo quello che aspettava, non la sua fine, ma che qualcuno si accorgesse di lei e dei suoi sorrisi finti per coprire le lacrime, di quelle risate che poi si trasformavano in sguardi rivolti verso il vuoto.
Lei era così, forte e fragile, un uragano che diventava tempesta, una lacrima in mezzo alla pioggia. Lei era un fiore fra le rovine di un palazzo abbandonato. Quello stesso fiore che prima o poi sarebbe appassito, diventando anche questo parte delle tante macerie."
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Randomè semplicemente un breve riassunto della mia vita, scritto tantissimo tempo fa, nel mentre ero in preda al panico e a una tristezza assurda.