-Papà perché non parli? - guardo la sua figura di spalle seduta su una panchina nascosta dietro ad un enorme pino semi spoglio - Papà girati e rispondimi guardandomi dritta negli occhi! - gli ordino aumentando il volume della voce rendendolo più autoritario.
Vorrei avvicinarmi, ma non riesco: qualcosa di consistente ma invisibile mi impedisce di avanzare. Mi sento intrappolata tra pareti trasparenti come un uccellino in gabbia.
-Papà aiutami! - allungo una mano ma finisce per sbattere sulla parete difronte a me, mi guardo intorno: adesso sono davvero rinchiusa in una scatola di vetro.
-Papà tirami fuori! Non respiro! - scaglio aggressiva e impaurita pugni ben saldi su quella parete troppo resistente nonostante i miei sforzi.
Mi accascio a terra portandomi le ginocchia al petto e poggiando la testa al vetro restrostante puntando lo sguardo al cielo: niente stormi di uccelli, niente nuvole, niente sole. Solo un grigio irreale, quasi fosse stato colorato con un pennarello.
-Ti prego papà aiutami, non respiro...- il fiato diventa pesante e le parole mi appasiscono in gola.
Osservo quella sagoma imponente non dare segni di vita finchè, lentemente, dopo un respiro profondo, si alza, guarda il cielo e si gira verso di me.
-Papà... papà perché piangi? - il suo sguardo è distante, mi trapassa come se non esistessi -Papà non piangere! Sono qui! Dimmi come posso aiutarti!- mi alzo di scatto poggiando i palmi sulla parete difronte - Sono qui... ti prego guardami... - la vista mi si appanna e una lacrima scende indisturbata.
Lo osservo impotente mentre col volto chino permette a piccole gocce di scorrergli sul volto per poi precipitare al suolo silenziose.
-Papà...non fare così... ti supplico, guardami, segui il suono della mia voce... Papà no...non ti girare! Guardami! PAPÀ! - le mie grida rimbombano fastidiose in quella gabbia senza uscire.
Appoggio la fronte al vetro tappandomi le orecchie, ma la mia attenzione rimane su di lui: infila una mano in tasca e dopo qualche esitazione estrae un taglierino.
-No...no... NO! - indietreggio quanto mi è possibile per riuscire a dare un calcio ben piazzato su quel muro invisibile davanti a me.
Tutto inutile, il vetro trema ma non si scheggia neanche.
Cado a terra per il contracolpo sbattendo la testa: sento le palpebre farsi pesanti ma non posso svenire ora.
Devo fermare mio padre.
Devo uscire.
Cerco di alzarmi raccogliendo le energie necessarie per un altro calcio: non riesco a tenere l'equilibrio dinanzi alla visione scioccante difronte ai miei occhi.
Ordino ai miei occhi di chiudersi, di distogliere lo sguardo, ma non riesco. Rimango incredula e spaventata ad osservare quell'incubo.
-Papà... no - lacrime scorrono lente sulla mia pelle rubandomi le ultime forze.
Osservo la scena rinchiusa in quella trappola: mio padre si infligge profonde ferite al collo con foga disumana da destra a sinistra, percorre lo stesso tragitto più e più volte, andando sempre più in profondità, fino a cadere al suolo. Solo lui, il taglierino e il suo sangue.
Con il volto verso la mia posizione finalmente incrocia il suo sguardo col mio per qualche istante, prima di perdere i sensi.
-Papà...No...rimani con me! - allungo di nuovo la mano, ma sta volta nulla mi blocca. Mi alzo in piedi senza esitazioni e corro verso di lui: corro ma non lo raggiungo.
Il suo corpo diventa sempre più lontano fino a scomparire.
Non mi arrendo e continuo a correre, ma un improvviso dirupo blocca la mia corsa e precipito: davanti ai miei occhi un volto nitido mi sorride rammaricato.
-Ti voglio bene piccola mia - due dita mi sfiorano la guancia rubandomi una lacrima - E te ne vorrò sempre- provo ad afferrargli la mano per tirarlo fra le mie braccia, ma la sua figura è inconsistente, come quella di un fastasma.
-No! Papà non mi abbandonare! Ti prego...no...NO!- agito le braccia inutilmente: la sua figura si dilegua pian piano lasciando dietro se solo il suono della sua voce.
-Rimarrai il motivo del mio sorriso-
-NO, PAPÀ! -
Queste sono le uniche parole che riesco a dire prima di raggiungere terra.
Mi sveglio in un lago di sudore e rimango a fissare il soffitto.
-Papà, lo so che mi stai guardando adesso- sussurro alle bianche pareti di quella stanza - Volevo dirti una cosa sai? - domando con un filo di voce - Ho il tuo stesso sorriso- una lacrima schiocca sul cuscino -È per quello sorrido spesso anche se il dolore mi logora- un fastidioso nodo alla gola mi zittisce per qualche secondo -Tu vivi nel mio sorriso papà- volgo lo sguardo verso la sua foto appesa sul muro: mi alzo e mi avvicino a quell'immagine.
Accarezzo delicata una guancia quasi fosse davvero lui.
-Ti voglio bene papà, anche se te ne sei andato -