1. Ciao Franci

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Era arrivato per ultimo e in ritardo, ovviamente.
Immerso com'era nelle conversazioni casuali ed euforiche degli altri, Francesco non se ne era accorto subito, ma se ne era accorto comunque per primo. Era stato come se una mano invisibile lo avesse costretto a girare la testa, forzandolo a spostare lo sguardo sull'incrocio poco lontano.
Ed eccolo lì.
Jeans scuri, maglietta bianca, il cellulare attaccato all'orecchio, una sigaretta nell'altra mano.
Conosceva talmente bene il suo modo di camminare che sarebbe bastato per farglielo individuare tra la folla.
A volte, rivedendosi in qualche video, ritrovava qualcosa di quella camminata anche nella propria, come se, a forza di guardarla, e studiarla, e imitarla, dei piccoli dettagli gli si fossero impressi fin troppo a fondo nella memoria, come se fossero penetrati nelle zone del cervello che riguardavano lui, e non il mondo esterno.
Aveva aperto la bocca per dire qualcosa, per far notare la sua presenza agli altri, per rimarcare il suo averlo visto per primo, come se fosse compito suo comunicare i suoi spostamenti.
Come se fosse ancora compito suo.
Ma non era riuscito a dire nulla.
L'aveva guardato chiudere la telefonata, infilare il cellulare in una tasca, alzare lo sguardo verso di loro e sorridere.
Era un sorriso, solo un sorriso, certo, il sorriso di un amico che gli era mancato, ma solo un sorriso, giusto?
Solo un sorriso, eppure il cuore gli era rimbalzato prepotentemente nel petto, facendo una capriola, sfarfallandogli contro lo sterno come non capitava da mesi.
Dall'ultima volta in cui si erano visti, a dirla tutta.
Dall'ultima volta in cui lo aveva visto arrivare, come sempre in ritardo, dall'ultima volta che lo aveva aspettato, talmente felice all'idea di rivederlo che avrebbe atteso seduto a bordo strada con le quattro frecce della macchina accese anche per delle settimane, se fosse stato necessario.
Finalmente anche Andrea lo aveva notato, e si era alzato in punta di piedi, per sporgersi oltre le teste degli altri ragazzi, sventolando un braccio.
-Uè! Tramon!
In risposta, Tommaso era scoppiato a ridere, e il cuore di Francesco aveva perso un altro battito, fatto un'altra capriola.
Quella risata gli risuonava in testa da mesi, era diventata l'unico sinonimo della parola "felicità", lo attraversava ogni volta come una scarica elettrica, lasciandolo inerme, molle.
Quella risata di gola, quella risata da bambino, la risata più libera che Francesco avesse mai sentito, era quella risata che ti faceva venir voglia di fare il buffone, pur di provocarla, quella risata che quando la causavi ti faceva sentire speciale.
Far ridere così qualcuno.
Far ridere così Tommaso.
Risentirla dal vivo era bellissimo.
Corricchiando, Tommaso aveva attraversato la strada, raggiungendo il gruppetto.
Andrea si era fatto largo tra gli altri, andandogli incontro a braccia aperte.
Vederli diventare amici era stata una gioia immensa, per Francesco.
Andrea era una persona meravigliosa, era buono, puro, affettuoso, coi piedi per terra, capace di inaspettate delicatezze. E Tommaso aveva bisogno di persone così, di persone che lo trattassero come un ragazzo e non come un prodigio, che ogni tanto gli facessero una carezza, che gli ricordassero che poteva essere apprezzato per quello che era, e non per quello che faceva, o per come lo faceva.
Vederli diventare amici era stata una gioia immensa, ma adesso provava un fastidio che non lo faceva stare fermo, che lo costringeva a cambiare posizione, a spostare il peso da un piede all'altro, una strana sensazione di disagio, come un vestito troppo stretto che sai già sarai costretto a portare per troppe, troppe ore.
Tommaso era passato dalle braccia di Andrea a quelle di Enock, che lo aveva sollevato in aria ridendo.
-Oh!, Tommi, finalmente, cazzo! Quant'è che non ci vediamo?!
Di nuovo, Tommaso aveva riso, ed era così bello vederlo consapevole del bene vero e diretto che gli volevano quei due, era bellissimo, gli faceva apparire sul viso un'espressione quasi di stupore, come un bambino davanti a un regalo inaspettato, era una delle cose più belle che Francesco avesse mai visto, gli scaldava il cuore e soprattutto lo faceva innervosire ancora di più, le sopracciglia aggrottate, mani fuori e dentro le tasche, quel pizzicorino alla bocca dello stomaco che invece di andarsene, aumentava.
Sembravano tre cuccioli di cane, continuavano ad arruffarsi, a darsi pacche sulla schiena, Enock scompigliava i capelli a Tommaso, Tommaso dava una piccola spallata ad Andrea, erano così contenti di stare insieme che pareva davvero scodinzolassero.
Parevano tre cuccioli di cane e a Francesco piacevano i gatti.
Una mano sul gomito lo aveva fatto quasi sobbalzare, costringendolo a distogliere lo sguardo.
Alla sua destra, Fabio gli stava dicendo qualcosa. Francesco l'aveva guardato distrattamente, ritornando a voltarsi verso gli altri tre.
-Fra...
Lo aveva richiamato Fabio, strigendogli appena il gomito.
Francesco aveva spostato lo sguardo rapidamente tra lui e il gruppetto un paio di volte, prima che un'ulteriore strizzatina lo facesse concentrare sull'amico al suo fianco.
-Sì?
Fabio si era limitato a sorridergli appena, incoraggiante, affettuoso.
-Rilassati.
-Come?
Francesco aveva guardato interdetto l'amico mimare con le spalle il movimento di qualcuno appena colpito da un pugno.
-Rilassati. Sembri pronto per una rissa... Anche meno.
Guardandolo sciogliere poi le spalle al ritmo delle proprie parole, quasi a volergli spiegare come fare, Francesco si era reso conto di essersi davvero irrigidito, come pronto ad un contraccolpo, come pronto ad incassare.
Con un mezzo sorriso, aveva posato una mano sulla spalla di Fabio, stringendola.
-Hai ragione. Anche meno.
Dietro di loro, Andrea stava presentando i suoi amici a Tommaso, una sfilza di nomi che istintivamente Francesco aveva cercato di associare alle facce, nel tentativo di non fare brutte figure durante la serata.
Erano bravi ragazzi anche loro, come Andrea, giovani, entusiasti, accoglienti, avevano fatto di tutto per far sentire a loro agio lui e Fabio, che Andrea, Francesco lo sapeva, aveva invitato soprattutto per lui, per non farlo sentire come un pesce fuor d'acqua.
Adesso stavano riservando a Tommaso lo stesso trattamento, comportandosi come se già lo conoscessero, come amici che non lo vedevano da tanto.
Francesco si era voltato, e tra le teste aveva intercettato lo sguardo divertito di Tommaso, che guardava ora uno, ora l'altro dei ragazzi.
Si erano fissati per un istante soltanto, il tempo di un mezzo sorriso, di un'alzata di sopracciglia appena accennata, poi Tommaso si era rivolto verso Gabriele, il migliore amico di Andrea, ridendo di quello che stava dicendo.
Era stato un istante soltanto, ma a Francesco era sembrato tutto.
Era una cosa apparentemente da poco, una frazione di secondo, ma in quella frazione di secondo le altre persone non esistevano, in quella frazione di secondo c'erano solo loro due, come se potessero rubare quel piccolissimo frammento di tempo al resto del mondo.
Loro due nella bolla.
Si era sempre mostrato dispiaciuto quando gli altri glielo facevano notare, si era sempre scusato, nascondendosi dietro a una battuta, scherzando sulla propria incapacità di concentrarsi su più cose contemporaneamente, ma non era vero.
Era una stronzata.
Se c'era una cosa in cui Francesco era bravo, era notare le persone.
Si accorgeva sempre di tutto, anche dei dettagli, delle piccole cose, e ci teneva, ci teneva davvero, ma non quanto teneva a Tommaso.
E non era vero nemmeno che gli dispiaceva, era un'altra stronzata.
Amava quella sensazione.
Lo faceva sentire capito, lo faceva sentire parte di qualcosa, lo faceva sentire meno solo.
Era stato così fin dal primo momento in cui si erano visti. Si erano presentati, piacere Tommaso, piacere Francesco, una frettolosa stretta di mano in piedi, in cucina, in mezzo agli altri, eppure in quel caos di colori, voci, stimoli, persone, per un momento, un momento soltanto, mentre si guardavano negli occhi, c'era stato il silenzio.
Come se tutto il resto fosse scomparso.
Come se tutto il resto fosse andato in pausa, mentre loro due andavano avanti.
La sera, disteso a letto, a volte si concedeva di pensare, con un mezzo sorriso, che forse era quella la causa dei suoi capelli bianchi, del suo essere invecchiato di 5 anni in neanche 3 mesi.
Troppi attimi strappati al tempo, troppo attimi strappati agli altri.
-Ciao Tommi.
La voce di Fabio lo aveva scosso nuovamente e si era ritrovato a guardare Tommaso avvicinarsi al suo amico e chinarsi per abbracciarlo, lanciandogli un'occhiata prima di piegarsi.
Stava salutando Fabio per primo.
Francesco aveva tirato un respiro profondo, cercando di calmarsi, di distrarsi, di cogliere le parole che gli altri stavano dicendo, i discorsi che si accavallavano uno sull'altro, ma era stato un errore.
Gli era arrivato alle narici, prepotente, l'odore di Tommaso, un mix di profumo, sapone, bucato fresco e pelle calda di sole, e si era irrigidito un'altra volta, aspettando l'impatto, che puntualmente era arrivato, forte, fortissimo, col suo stomaco.
Era così famigliare, quell'odore, così rassicurante, sapeva di casa, di lenzuola pulite, delle voci in lontananza dei suoi genitori, di notti d'estate con la luce della luna che spaccava il buio della sua cameretta, confortandolo.
Ogni volta che lo percepiva, provava una nostalgia così forte da fargli venir voglia di strapparsi il cuore dal petto.
Gli amici di Enock si erano inseriti nella conversazione tra Fabio e Tommaso, presentandosi, lasciando Francesco un'altra volta parcheggiato in seconda fila, immobile, anzi, immobilizzato da quell'odore, a trattenere il fiato e a respirare a pieni polmoni allo stesso tempo, era possibile? Aveva un senso?
Era un suo amico, solo un suo amico, era stato IL suo amico mentre adesso doveva usare l'articolo indeterminativo, certo, va bene, faceva male, faceva malissimo, ma così tanto, così forte, così troppo, aveva senso?
E poi, mentre allungava sorridendo la mano sinistra verso Jordan per l'ennesima pacca sulla spalla, Tommaso gli aveva afferrato il polso.
Era stato come ricevere un calcio in pieno petto. Tutta l'aria aveva abbandonato di schianto il suo corpo. Col cervello in fiamme, Francesco aveva abbassato gli occhi sul proprio braccio, ed eccola lì, la mano di Tommaso. Magra, le unghie rosicchiate, il tatuaggio di Gilda sull'indice, la conosceva, quella mano, la conosceva benissimo, eppure gli sembrava di vederla per la prima volta. Era lì, le dita attorno al suo polso, eppure gli sembrava di non sentirla.
Per lunghi secondi l'aveva fissata, incapace di percepire alcunché, sentendosi scollegato dal suo corpo, certo era lì in piedi, ma non sentiva l'asfalto premere contro la suola delle scarpe, i capelli si muovevano leggermente al vento, ma non riusciva a sentire l'aria.
Lentamente, tra il rimbombo del sangue nelle orecchie si erano fatte strada le voci degli altri, come se provenissero da una distanza lontanissima.
Aveva riconosciuto la voce di Andrea, quella di Enock, poi qualcun altro, poi un altro ancora.
Lentamente, aveva iniziato a sentire le dita di Tommaso sul suo polso.
Era una stretta ferma ma gentile, delicata eppure presente, una cosa da nulla, una cosa da niente, ma a Francesco sembrava che il suo intero corpo fosse racchiuso tra quelle dita.
Come a rassicurarlo, Tommaso aveva aumentato la pressione, serrando tutta la mano, sfiorando appena, ma con intenzione, l'interno del polso col pollice.
Era un gesto così piccolo, così banale, eppure, come ogni cosa con Tommi, così importante, così fondamentale.
Così intimo.
L'elenco di tutte le cose che aveva rivalutato da quando lo conosceva era infinito.
Per tutta la vita aveva dato priorità agli altri, si era sforzato di farli sentire speciali, e sapeva quanto poco ci volesse, quanto poco bastasse.
Non aveva mai pensato di poter ottenere lo stesso, né aveva mai pensato di volerlo.
E poi era entrato al Grande Fratello, e all'improvviso si era ritrovato a fare di tutto per uno sguardo, una parola, un mezzo sorriso, una mano di passaggio che lo sfiorava.
Tutta la sua attenzione su una persona sola, tutte le sue intenzioni su una persona sola.
Non gli era mai successo.
Da bravo figlio di divorziati, Francesco sapeva dividersi.
Da bravo figlio di gente dello spettacolo che vive in provincia, Francesco sapeva sdoppiarsi.
Faceva sembrare tutto semplice, tutto facile, tutto spontaneo, al punto che il suo essere diviso, il suo doversi sdoppiare, le sue maschere, erano diventati parte di lui. Sapeva capire di cosa aveva bisogno l'altra persona e darglielo, così, semplicemente. Ed era talmente insito e naturale, per lui, che in qualche modo gli altri non se ne accorgevano.
Fino a quel 18 settembre.
Perché a Tommaso non bastava.
Perché Tommaso non si fidava.
Era come se avesse visto tutti gli strati che lo componevano alla prima occhiata. Come se avesse capito tutto senza aver capito nulla.
Aveva intuito la sua doppia, tripla, multipla natura con un solo sguardo, e ne era incuriosito e spaventato allo stesso tempo.
Perché ogni sfaccettatura più che nascondere sembrava sottolineare, ma allo stesso tempo era impossibile capire davvero chi fosse.
E se con gli altri a Francesco bastava poco, pochissimo, con Tommaso serviva di più, con Tommaso serviva tutto.
Era stato così difficile da un lato, e così bello dall'altro.
Lo faceva sentire rifiutato e incompreso e mal giudicato, ma poi gli dimostrava di aver intuito con un solo sguardo qualcosa di così nascosto che persino lui aveva dimenticato che ci fosse.
Grazie a Tommaso, Francesco aveva imparato a capire l'importanza di quei piccoli dettagli sepolti. Perché ne bastava solo uno per cancellare con un colpo di spugna un intero strato di copertura dalla superficie.
Lentamente, a fatica, corrodendolo, facendogli male, Tommaso si era insinuato in zone così inesplorate che lui stesso faceva fatica a spiegare, e a capire.
E all'improvviso Francesco si era reso conto di riuscire a fare lo stesso.
Di poter capire l'altro un piccolo pezzetto nascosto alla volta.
All'inizio, la sua capacità di leggere le persone, di capirle, di scovare le piccole cose che le facevano sentire a loro agio, e felici, era sembrata inutile con Tommaso. Lui voleva di più. Aveva bisogno dei grandi gesti, delle dimostrazioni continue, di parole su parole, di urla e risa e poi di nuovo urla.
Poi, piano piano, Francesco aveva capito che non era vero.
Che, molto semplicemente, Tommaso era abituato alle persone che si fermavano lì, all'esterno, all'apparenza, che era talmente prorompente da distrarre.
Ma Francesco sapeva andare oltre, Francesco andava sempre oltre, era andato oltre anche con lui, anche con Tommi, centimetro dopo centimetro, senza farsi scoraggiare, imparando a cogliere anche i suoi segnali, imparando a capire quali erano le sue piccole cose che lo facevano stare bene.
Era un enigma, era un rebus, era un lavoro a tempo pieno, richiedeva tutta la sua concentrazione, e di colpo era dicembre, e Francesco non ricordava nemmeno più la sua vita senza Tommaso.
A dirla tutta, Francesco non poteva nemmeno immaginare la sua vita senza Tommaso.
Era diventato un rapporto talmente profondo e totalizzante che a volte faticava a capire dove finiva lui e iniziava l'altro.
Non gli era mai successo prima, con nessuno.
Era bellissimo.
Ed era spaventoso.
Francesco non era abituato ad essere così dipendente da un'altra persona, ad essere completamente in balia di qualcun altro, era come aver perso definitivamente il controllo, ma con la consapevolezza di avere qualcuno sempre a fianco.
Lo terrorizzava e non poteva farne a meno.
Esattamente come in quel momento.
La sensazione di abbandono totale che gli dava quella semplice, stupida stretta al polso, come se non dovesse più preoccuparsi di nulla, perché niente contava più, perché era troppo tardi.
Perché preoccuparti, se il problema non ha soluzione?
Aveva alzato lo sguardo nello stesso istante in cui Tommaso aveva girato il suo verso di lui.
Ed eccolo, di nuovo, quel piccolo frammento di tempo sospeso, quell'istante cristallizzato solo loro, un battito di ciglia e sarebbe svanito, ma c'era ancora, non se n'era andato, era ancora lì, nonostante tutto, e forse, nonostante tutto, anche loro erano ancora lì.
-Ciao, Franci.
Quella voce piccola, così piccola, che conosceva solo lui, quella voce che sembrava parlare direttamente al suo cuore, come se non ci fosse bisogno di sentirla con le orecchie, come se ad ascoltarla fosse tutto il suo corpo.
Quanto gli era mancata quella voce.
Come colto in flagrante, Tommaso aveva fatto per abbassare lo sguardo, ma Francesco lo aveva intercettato, inchiodandolo.
Anche quegli occhi gli erano mancati.
Erano grandi, enormi, due pozzi oscuri eppure allo stesso tempo luminosi, erano occhi che lo facevano sentire guardato, guardato davvero, che lo facevano sentire visto, capito. Amato.
Erano bellissimi.
Gli occhi più belli del mondo.
Lentamente, Francesco aveva fatto scivolare il polso fino a raggiungere la mano di Tommaso con la sua. Avrebbe voluto stringere, avrebbe voluto intrecciare le loro dita solo per un momento, solo per risentire quell'appiglio, solo per provare un'altra volta quella sicurezza.
Ma lo sguardo di Tommaso, all'improvviso, si era fatto ancora più grande, e implorante.
Con un sospiro, Francesco si era limitato a sfiorare le dita di Tommaso con le sue, prima di togliere la mano e di rimetterla al sicuro, in tasca.
Aveva distolto appena lo sguardo, interrompendo il contatto visivo, sentendo di colpo tutto il peso del mondo e del tempo ripiombargli addosso.
-Ciao Tommi.

Dentro ai miei vuotiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora