"Ma', e che diamine! Basta con 'ste storie! Ho 17 anni, non 5!"
Furono quelle parole scocciate a squarciare il silenzio tranquillo della sera.Era una giornata di estate, e la madre di Rachel era sempre solita raccontarle qualche storiella prima che lei si addormentasse. Certo, un comportamento alquanto premuroso nei suoi confronti, premuria che pero' non era ricambiata dalla figlia, tutt'altro, la riteneva una cosa piuttosto infantile.
"Va bene, va bene" Sospiro' l'anziana donna, prima di andare via dalla stanzetta claustrofobica della ragazza, non che fosse piccola o altro, ma era piena di poster di cantanti death-metal, ed il colore nero la faceva da padrone. "Rachel" - penso' - "Che brutto nome".
Era un nome troppo femminile, a detta sua, uno di quei nomi con cui ci si riferisce "alle tipiche ragazze delle medie perbeniste", gia', un nome che non faceva proprio per lei.
Eppure quello era il suo nome, che le piacesse o meno, certo, l'avrebbe potuto cambiare una volta adulta, ma l'idea le faceva tornare in mente quelle persone "edgy"* con un passato nascosto e dall'aria dura, le facevano ribrezzo.Ma dopotutto, lei non era cosi' diversa, forse un po' contraddittoria, ma adorava farsi la coda, le piaceva mettere in mostra i suoi capelli neri, e adorava vedere tutti i ragazzi della scuola guardarle le poche ciocche bianche, scolorite.
Le piaceva il suo corpo, il suo fisico, le sue fattezze. Era pienamente cosciente del fatto che avrebbe sicuramente avuto successo con i ragazzi se solo "ci provasse".Ma stranamente quell'idea non la sfiorava minimamente, troppo "normale", "scontata" come cosa.
Stendendosi sul letto, ancor prima di spogliarsi, penso'.
Non capi' bene neanche lei a cosa penso' in quel momento, ma una cosa era certa: Il suo cuore batteva forte, un forte desiderio che le urlava di uscire da quella casa e iniziare ad esplorare il mondo, di viverlo e tastarlo.Si copri' allora gli occhi con il gomito, ma non riusci' a mantenere per se' una piccola risata, il solo pensiero di uscire e non avere un posto dove andare la stuzzicava.
Tornata in se', Rachel si spoglio' e si mise il pigiama estivo. Faceva caldo quella sera, quindi non si mise sotto le coperte, ma senti' freddo."E ora che fare?" disse fra se' e se', certo, sotto il dolce lenzuolo sarebbe stata al sicuro dai mostri notturni che vedeva nel dormiveglia, ma la serata era umida e afosa; se invece fosse rimasta li', si sarebbe svegliata al freddo, forse con un raffreddore.
Alla fine opto' per il rimanere stesa sul letto, senza il lenzuolo. L'afa era veramente troppa.Quella notte non chiuse occhio.
Non aveva mai avuto problemi di sonno, anzi, era considerata una dormigliona, ma quella notte aveva qualcosa di diverso con se'.
Prese il telefono, non curandosi di tutti gli avvertimenti di quella madre "iperprotettiva";
"Hmpf, come se delle radiazioni potessero uccidermi", mormoro' nella sua testa.
Rachel sblocco' lo schermo del telefono, la luce era al massimo, e le fece male agli occhi, tempestivamente abbasso' quella luce al minimo, e mise pure la luce notturna, per sentirsi meno in colpa con se' stessa.Inizio' a pensare e a fare come sempre: dedicare frasi d'amore al vuoto. Non cercava "qualcuno" a cui dare il suo amore, sia chiaro, "roba da sdolcinati", ma era curiosa; curiosa su come ci si sentisse in un momento del genere, era davvero possibile abbandonarsi totalmente a un'altra persona? Volerle tanto bene quanto se ne vuole a se' stessi, se se ne vuole? Quel pensiero un po' l'angosciava, perche' bisognerebbe essere cosi' dipendente da una persona? Che vuol dire? Io voglio essere libera!
Diceva, forse cercando di convincersi, forse era semplicemente ignorante in materia.Finalmente, uno sbadiglio si genero' dalle sue labbra, e le palpebre si facevano pesanti.
Stava per adagiarsi sul letto e addormentarsi, quando si accorse che i suoi capelli non le finirono in faccia come al solito.
"Che stupida, ho dimenticato di sciogliermi la coda." penso', ma era gia' piu' che assonnata, affinche' si potesse slegare i capelli.Da quel momento, la nottata passo' velocemente.
Si sveglio' male. Come al solito, daltronde.
Aveva dimenticato di spegnere la sveglia, ormai era in vacanza, quindi a che le serviva?
Si sedette sul letto, aveva gli occhi ancora pesanti e incrostati, le bastava un po' di acqua per rivelare il fascino dei suoi rari occhi color grigio.
"Spenti e malinconici" li definiva sua madre, "Alternativi e Ispiranti", li definiva lei.Finirono cosi' i suoi minuti di meditazione nel letto, smise di fissare il vuoto, e si alzo'.
Sentiva il suo corpo stranamente pesante, come tutte le mattine, del resto.
Tuttavia, quando i raggi solari entrarono in quella camera tanto scura, senti' come l'urgenza di allontanarsi di li'.
E nel corridoio non migliorava, la casa era moderna, contornata da grandi vetrate che lasciavano entrare la luce.
Si stropiccio' gli occhi.
"Che diamine, ho ancora sonno" forse i suoi occhi non si erano ancora abituati alla luce.Da quel momento, iniziarono le vacanze estive.