martedì

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Le zampette di Gaston attraversano il corridoio tra le camere da letto e il salotto ad una velocità supersonica. Fanno quel ‘tap tap tap tap tap’ così familiare, così domestico, quando incontrano il parquet. Non ha smesso un secondo di muoversi così per la casa, irrefrenabile, da quando è tornata. Due giorni di corse su e giù per tutto l’appartamento, come se rivedere la stanzetta in fondo al corridoio abitata dalla sua storica padroncina lo avesse riempito di nuova vita. Quando per l’ennesima volta il suo muso spunta nella sua stanza, Giulia si sta finalmente decidendo a svuotare le valige. Smistare vestiti, magari lavarli. Trovare un posto a 6 mesi di fogli, lettere e involucri accumulati nel piccolo universo fittizio in cui ha abitato per tutto quel tempo. Gaston la guarda inclinando la sua testa pelosa di lato. C’è un qualcosa di pensieroso sul viso di Giulia, qualcosa che lui ha notato spesso e volentieri negli anni. Ha imparato, da bravo cane da compagnia, ad associare quegli occhi mesti ad un’emozione infelice. Questa volta però c’è qualcosa di diverso dietro le labbra serrate della sua padrona, qualcosa che mai prima d’ora gli era capitato di notare sul suo volto. La osserva china a terra mentre molto lentamente estrae magliette e pantaloni da una delle valige. Fa tutto con una calma che non la contraddistingue, come se non volesse. E infatti, ma questo Gaston non lo può sapere, Giulia non vuole. Giulia non vuole disfare le valige, proprio come non voleva lasciare la casetta e tutte le persone che ci ruotavano attorno. Esattamente come due giorni prima, a pomeriggio inoltrato, non avrebbe per nulla al mondo voluto lasciare la mano di lui. Dall’altro lato della casa, una chiave gira nella toppa e la porta d’ingresso si apre, facendo schizzare Gaston in quella direzione, lasciando sola Giulia e i mille pensieri che stanno attraversando la sua mente in quel momento. Sta facendo davvero tantissima fatica con tutti questi vestiti. Ogni capo le ricorda un momento specifico, felice o meno non ha più importanza vista la coppa scintillante che campeggia accanto al suo letto. Ogni momento, in fin dei conti, ha portato alla raggiunta del sogno di una vita. Il vero problema, e per questo ci ha messo due giorni prima di decidersi ad aprire quella valigia, è che tutto quello che c’è lì dentro sa di lui. Lui, lui, lui. Lui ovunque. Pur di non avere a che fare con l’adesivo del disco di platino sul retro del suo computer in questi giorni ha preferito usare quello di sua madre per rivedere la finale. Questo pomeriggio, però, ha deciso che non può continuare a sfuggire alle emozioni, anche se volesse dire soffrirne infinitamente. Quindi eccola qua con i vestiti che ha portato per mesi sparsi sul pavimento e la valigia man mano sempre più vuota. Continua finchè non si imbatte nella sua felpa color carta da zucchero. Chiamarla “sua”, ad oggi, la fa quasi ridere, visto che di suo non ha più nulla, men che meno l’odore. Mannaggia. Non che il resto dei suoi indumenti non sappia di Sangio, Dio, forse lei stessa ormai sa più di Sangio che di sé stessa, ma questa felpa non ha eguali. Decide che per il momento ha fatto abbastanza con la valigia, e si sdraia sulla schiena tra le coperte del letto, la felpa tra le braccia e il naso nascosto nell’incavo del cappuccio. Lui. È tutto bellissimo, il mondo la acclama, ha ricevuto una proposta da sogno, la sua famiglia è fiera di lei e il suo cane le fa le feste da giorni, ma è come se un enorme vuoto la stessa accompagnando dal momento in cui si sono salutati. Le manca avere attorno questo stesso odore, la sua risata soffocata, la mani grandi che la sfiorano anche per sbaglio durante tutta la giornata. Le manca il suo rantolio mentre dorme, che poi lei ha sempre avuto problemi ad addormentarsi ma in quel naso raffreddato accompagnato dal vapore costante del deumidificatore aveva trovato il sottofondo perfetto per crogiolarsi nel sonno. Negli ultimi giorni, svegliarsi senza trovarlo accanto a sé appallottolato su sé stesso con tutti i ricci in faccia era stato difficile. Si era ripetuta che già lo sapeva che sarebbe stato così, lo sapeva da settimane. Ma come sempre, tra il dire il fare c’è di mezzo il mare, o nel loro caso ci sono di mezzo i chilometri che separano Roma da Vicenza. E quindi eccola qua con gli occhi chiusi e le mani strette attorno a quella felpa troppo piccola per lui che se la metteva comunque ostinatamente. In fondo, pensa Giulia, è quanto di più simile a lui possa esserci in questo momento. Certo, manca sentire il suo peso affianco, sul materasso del letto. Quel corpo altissimo che si conclude in un paio di piedi che non stanno mai fermi, tranne quando dorme, e a volte nemmeno in quel momento. Li arriccia, li accavalla, li intreccia con i suoi. Così come fa con le gambe, magre, sempre agitate tranne quando le ferma con le sue in un groviglio, o quando gli accarezza le ginocchia cercando di tranquillizzare tutta quella tensione che pervade costantemente il suo corpo. Il petto, esile, sempre caldo. Che termine sarà mai caldo? Giulia non lo sa, però sa che quando gli si avvicina è sempre caldo, la avvolge e la fa sentire al sicuro, gli si addormenterebbe contro anche durante una tempesta. A volte le piace passargli una mano sul torace per assicurarsi che lui sia proprio lì. Spesso le è capitato di non crederci che quelle braccia stessero avvolgendo proprio lei, che la sua testa fosse poggiata al sicuro contro quell’avambraccio sottile, che quelle mani grandi ma delicate passassero i momenti vuoti scorrendo tra i suoi capelli, che quegli occhi freddissimi e impassibili ai più diventassero improvvisamente accoglienti proprio per lei. Pensare agli occhi di Sangio che la osservano semichiusi mentre si addormenta le fa stringere il cuore e la felpa tra le mani. Forse le viene anche un po’ da piangere, soprattutto pensando che se Sangio la vedesse così molto probabilmente le si stenderebbe accanto dopo aver acceso la radio, regalandole quella compagnia silenziosa, le mani tra i capelli, o forse nemmeno quelli. Forse solo gli occhi negli occhi, un po’ come in videochiamata, però senza questo profumo che è rimasto tra le maglie della felpa. Proprio mentre Giulia riflette sul prossimo momento buono per sentirlo, sua madre fa capolino alla sua porta.
“Ah, ti sei decisa a farmi lavare un po’ di vestiti, eh?”, la apostrofa sorridente con quel tono che da giorni sta usando in merito alle valige mai aperte. Giulia si limita ad annuire senza muoversi minimamente dalla sua posizione tra le lenzuola sfatte. Si è alzata tardi. Forse non ha neanche dormito, ma indubbiamente si è rotola non poco tra le coperte. Sua madre scruta il suo viso, butta un occhio alla felpa stretta tra le sue mani come se dovesse scappare da un momento all’altro, e capisce tutto. Si siede come spesso è successo in passato ai piedi del letto, spostando le gambe di Giulia da un lato per farsi spazio.
“Domani lo vedi, poi partite insieme.”
Gli occhi di Giulia incontrano quelli di sua madre, una sorta di dialogo senza parole.
‘Sarà sempre così?’

4 giorni sembrano 1 meseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora