The time was wrong

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Note d'incipit: Salve a tutt*! In questa storia vengono trattate tematiche delicate e talvolta utilizzato un linguaggio volgare. Si tratta naturalmente di un'opera di fantasia volta a non urtare la sensibilità di nessun individuo.

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Correre.

Le persone corrono continuamente.

Per andare a lavoro, per perdere peso, per non fare tardi ad un appuntamento...

E nella corsa c'è fatica.

Oppressione e liberazione allo stesso tempo. Perché solo correndo la gente pensa di poter raggiungere ciò che le interessa, ciò che ritiene importante in quel momento.

Anche lui stava correndo, correva a perdifiato, correva senza mai voltarsi e del resto non poteva; in ballo in quel momento c'era solo salvarsi.

Non si poteva fermare e nemmeno liberarsi di ciò che stringeva tra le dita. Il cervello comandava solo ai muscoli di muoversi mentre l'adrenalina pompava nelle vene.

Tante volte aveva sognato di fuggire da qualcosa. Farlo nella realtà era identico, ma più consistente come sensazione.

Doveva correre e non venir preso.

L'aria gli sferzava il volto, gli entrava fredda nei polmoni, i piedi andavano sempre più veloci, i capelli neri si libravano nel vento.

Si era buttato in mezzo alla strada senza nemmeno guardare. Improvvisamente nemmeno venir tirato sotto contava qualcosa.

Davanti si era trovato un sentiero e una via nel parco.

Le orecchie erano invase del rumore del vento e non sentiva voci e non si fermava davanti agli ostacoli. Piuttosto cambiava strada.

Vide un ragazzino col suo monopattino venire verso di lui. Era un ostacolo.

Senza nemmeno pensarci gettò uno sguardo a sinistra e superò con un balzo dei cespugli.

Quasi scivolò sull'erba, ma si riprese.

Inconsciamente sapeva che quella era la strada giusta.

L'uscita dall'altra parte dava su un quartiere pieno di palazzi abbandonati. Era facile entrarvi e nascondersi da qualche parte. Doveva solo...

Avvertì un grosso peso sulla schiena e di colpo si ritrovò a sbattere la faccia per terra. Cazzo gli fece un male cane!

D'istinto si dimenò, provò a liberarsi da quel peso su di sé con tutte le forze che aveva.

Ma chi stava sopra di lui era deciso a non farlo alzare e a tenerlo inchiodato a terra.

Lo sentiva annaspare sopra di sé.

Sicuramente ce l'aveva messa tutta per raggiungerlo, ma riuscì senza fatica a bloccargli i polsi dietro la schiena e ad ammanettarlo.

«Resta a terra maledizione!» si sentì ringhiare contro.

E quella voce lo spezzò. Voltò il viso e il freddo del metallo di un anello appeso ad una collana cozzò contro la sua pelle. Oltre la sua spalla sinistra vide l'ultima persona che si sarebbe aspettato.

«Thor.» sfiatò.

Il poliziotto, un biondo grande e grosso che stava sopra di lui, avvertì il suo nome ed incrociò il suo sguardo. I suoi occhi si sgranarono ed il respiro sembrò mancargli, ma forse fu solo un'impressione del moro.

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