Questa storia ha subito varie modifiche,
non preoccupatevi se alcuni commenti potrebbero risultare strani 👀.🌙
𝗝 𝗔 𝗡 𝗘
Credevo sarebbe stata una notte come tutte le altre, tra le corsie del Saint Michelle Hospital di Londra. Qualche chiacchierata con gli infermieri, un caffè con troppo zucchero e una sigaretta lasciata a metà. Credevo sarebbe andata così, come tutte le volte che tocca a me fare il turno di notte, con la cena ancora piantata sullo stomaco e il sapore di cheeseburger sulla lingua.
Lo credevo perché la mia vita negli ultimi anni non è stata niente di speciale: una linea retta che non muta mai in una curva, non si ferma mai a un bivio. In tutta onestà, tuttavia, sarei ipocrita se dicessi che questa vita non è la vita che ho scelto per me.
I miei ventitré anni sono segnati dalla monotonia. La routine a volte mi divora, le giornate sono sempre uguali, ma va bene. Va davvero bene così.
Non posso fermarmi. La mia testa non può fermarsi a pensare.
Il percorso di specializzazione in medicina d'urgenza riempie ogni attimo; i libri sopra i quali studio mi tolgono il sonno e mi sfiancano così tanto che la mente non può correre da nessuna altra parte se non dove sono.
Mi ripeto continuamente che non ho bisogno di niente; mi ripeto che ormai sono lontana dal mio passato, dalla mia città natale e dal resto. Da tutto il resto.
Non ho bisogno di niente perché c'è Jude con me, che plasma con i suoi sorrisi i miei malumori: Jude è il mio amico più leale, il mio collega fidato, il pediatra più gentile che conosca.
In ospedale girano diverse voci sul nostro conto: "Jane Evans e il dottor Parker vivono insieme", dicono, e noi ci divertiamo ad assecondarle, perché in realtà nessuno sa che, semplicemente, io e Jude condividiamo l'appartamento perché sottopagati e sfruttati.
Se solo la gente imparasse a guardare un po' più in là della superficie. Se solo spingesse l'intelligenza oltre la punta del naso capirebbe che il mondo non è un posto tanto carino come crede, e farsi gli affari propri a volte evita agli altri tanti problemi.
Lo vedo il modo in cui mi guardano quando cammino per i corridoi. Io sono brava a ignorarli ma, se solo sapessero che cosa ho dovuto sopportare, capirebbero perfettamente perché delle loro stupide congetture non me ne importi un fico secco.
Quindi, me ne torno al mio lavoro in pronto soccorso, che quasi sempre sembra un campo di battaglia. Me ne torno a quelle ferite che ormai non mi stupiscono più, e penso che non ci sia cosa peggiore della sofferenza. Specialmente quando è causata volontariamente.
Ogni volta che i miei occhi incrociano quelli umidi di un paziente dolorante e fragile, mi si stringe lo stomaco in una morsa attanagliante che fatico sempre a scacciar via. Esistono cose che proprio non concepisco, la violenza è una di queste.
Ogni volta che devo ricucire una ferita causata da un pugno, un'arma da taglio o, nel peggiore dei casi, d'arma da fuoco non riesco a non sentirmi debole davanti alla brutalità delle persone.
Non è il sangue a farmi paura ovviamente e nemmeno la pelle lacerata, tumefatta o escoriata: è il pensiero della vita di qualcuno nelle mani di un altro. Il fatto che un essere umano abbia la possibilità di decidere il destino di qualcuno con un pugno sferrato male, un taglio sbagliato o una pallottola troppo profonda.
Come se la vita fosse soltanto un gioco; come se morire o essere feriti non abbia nessun significato.
Questo non riesco proprio ad accettarlo.
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JANE'S MEMORIES 1
Romance𝘾𝙊𝙈𝙋𝙇𝙀𝙏𝘼 | Se c'è una cosa che Jane detesta di più al mondo è la violenza, e Leon è proprio tutto ciò da cui stare alla larga. «Non avevo punti deboli prima di te, ero indistruttibile». - Hate to love - Slow Burn - He falls first - Doppio...