𝖱𝖾𝗆𝖾𝖽𝗒 3 › 𝗃𝗃𝗄+𝗉𝗃𝗆 · 𝗔𝗨

463 - tpspov

"Penso che dovremmo andare" Hoseok cercò di spostare la sedia di Jimin lontano dalla vista del campo. Deglutì forte, il pomo d'Adamo che gli spuntava dalla pelle. 

Dopo aver mandato un messaggio a Taehyung, si era reso conto del suo errore. Anche allora, l'espressione che portava il migliore amico lo dimostrava ulteriormente. 

Hoseok aveva fatto una cazzata. 

Pochi minuti prima erano arrivati ​​alla loro università. Il biondo si era cambiato in abiti più casual in modo da non risaltare così tanto. Insieme a quello indossava un berretto per coprire i capelli e gradualmente gli occhiali da sole che lo rendevano praticamente invisibile. 

Sicuramente non sarebbe stato visto nemmeno nel posto in cui erano. 

Non avrebbe avuto importanza comunque, perché quando erano arrivati ​​non c'era quasi nessuno in campo. Alcuni studenti qua e là, ma non così stipati come pensavano che sarebbe stato. 

Questo è stato l'errore. 

Erano arrivati ​​con un'ora di anticipo. 

Le squadre di solito erano negli spogliatoi in questo momento, cambiandosi o discutendo le loro strategie con i loro allenatori e il resto delle persone nel campus era molto probabile che stessero andando lì o prendendo cibo prima della grande partita. 

In campo però c'erano un paio di persone. 

Una persona in particolare che entrambi conoscono fin troppo bene. La persona per cui Jimin era qui. Prima di tutto il biondo aveva tirato il freno sulla sua sedia a rotelle per impedire a Hoseok di spostarlo, gli occhi fissi sull'individuo che desiderava così tanto vedere. 

Era lì vicino agli spalti nella sua uniforme, con in mano quella che sembrava una borsa nera.

La persona che stava di fronte al più giovane è ciò che ha pugnalato Jimin al petto più di qualsiasi dolore che il cancro gli aveva dato. 

Una ragazza. 

Una ragazza che sorrideva e rideva con lui. 

Una ragazza che gli parlava prima della sua partita più importante. 

Una ragazza che ha preso la borsa -potrebbe essere un regalo?-.

Jimin non capì quando le lacrime iniziarono a scorrere. Non li sentiva nemmeno perché era diventato così insensibile alla scena che stava guardando. 

Ha guardato e guardato. 

L'ho vista abbracciare Jungkook. Grandi e lunghe, avvolgendogli le braccia intorno al collo come avrebbe fatto lui.  Vide come Jungkook le metteva le mani sulla vita e aveva un sorriso così dolce sul viso. 

Faceva male. 

Il suo cuore esplose in un pozzo di lava, la sensazione di bruciore che gli bruciava i polmoni e lo stomaco. 

Voleva vomitare. 

Vomitare alla vista di vedere l'unica persona che ha amato più di ogni altra cosa, essere felice senza di lui. Se solo essere innamorato fosse vero a metà, perché se avesse potuto, avrebbe vomitato ogni residuo di sentimento d'amore che si era attaccato a lui e sarebbe rimasto bloccato con l'essere malato, anche se non può scappare neanche da quello. 

Faceva così male che lo odiava. 

"Jimin mi dispiace andiamocene"

Alla fine si staccò, toccando il viso di Jungkook con mani delicate. Le ciglia del ragazzo svolazzano come farfalle.  Adesso fu il biondo a deglutire, il sapore secco e amaro.

Altre lacrime caddero come una cascata infinita, ma nessuna di esse lo turbò.  Niente di tutto ciò è più importante che guardare Jungkook con qualcun altro. 

"Min" implorò Hoseok.

Il biondo vide di nuovo il caldo sorriso di Jungkook, non a lui, ma a lei. 

Chiuse gli occhi: le lacrime gli rigavano le guance rosee prima di asciugarle completamente. 

Se li chiude allora non sarebbe reale... giusto? 

"Possiamo-"

"Riportami in ospedale adesso" sospirò Jimin, guardandosi i piedi sulla sedia a rotelle.  Congiunse le mani in grembo, "Ho finito"

Hoseok aggrottò le sopracciglia con tristezza, assistendo all'aura malinconica di Jimin. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma era soffocato, divorato dal proprio rimpianto. 

"Mi dispiace tanto."  Sussurrò in tono di scusa. 

"Anche a me." 

Con ciò Hoseok lo allontanò, la figura di Jungkook divenne gradualmente più debole. 

Come era il momento per Jimin. Ma lui l'ha accettato... ed era disposto ad accettare questa rottura. Per entrambi. Anche se lo faceva morire un po' di più dentro.