Capitolo 1

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"Benvenuti alla festa di inizio anno, studenti. Vi auguro di passare l'anno e tutti quelli che ci aspettano al meglio e speriamo che siano il meno possibile"
Urlò al microfono probabilmente un ragazzo del quinto anno, seguito dalle urla di tutte quelle persone che affollavano la discoteca dov'era stato organizzato quell'evento.
Era metà settembre.
Il weekend subito dopo l'inizio delle lezioni.
Nuova scuola, nuova gente, nuove compagnie.
Era arrivato lì da poco e non conosceva molte persone.
Aveva giusto chiacchierato un pò con i suoi compagni di classe, ma neanche troppo.
Sembrava che fossero così diversi da lui.
Sempre con la testa a leggere con attenzione le avventure e le vite dei grandi della storia.
Lui, invece, la storia la voleva proprio fare, non studiare, per poi dimenticarsela il giorno dopo.
Uno spreco di tempo.
Troppe regole da seguire e ideali che non gli appartenevano.
A scuola restava la maggior parte del tempo in piedi nei corridoi, a scrutare e a cercare di capire soltanto dall'apparenza qualcosa dalle persone che gli passavano davanti.
Era l'ultima persona al mondo che avrebbe voluto "etichettare" qualcuno.
Era il primo a non voler essere "etichettato", così, non lo faceva mai.
In quel caso, però, in un contesto così diverso da quello della sua piccola Vicenza che lo stordiva a tratti, non poteva fare altro.
Roma è bellissima, ma caotica.
Bella da visitare, ma dura da abitare.
Piena, stracolma, di persone in ogni angolo.
Una delle mete più cattura-turisti del mondo.
Per non parlare poi del magico Anfiteatro Flavio.
Il Colosseo.
Una delle sette meraviglie del mondo.
Chissà perché, poi, ne esistevano così poche.
Pensava lui.
Perché proprio 7?
In un mondo enorme di non si sa quanti chilometri.
Ma soprattutto perché proprio luoghi fisici?
Perché non cose?
O perché non persone?
Si chiedeva a volte, qualche tempo prima, quando ancora era tra le mura della sua cameretta a Vicenza, dov'era cresciuto.
Era arrivato alla conclusione che ognuno di noi ha un'ottava meraviglia del mondo nella vita.
Non ci si nasce.
Arriva nella tua vita quando meno te lo aspetti.
Potrebbe essere un'uscita improvvisata gli ultimi minuti con degli amici.
Un piatto di pasta al ragù.
Un tappeto pieno di righe colorate.
Il sole quando tramonta.
Una maglietta piena di macchie per le tinte per i capelli fatte in casa.
Un sorriso spontaneo per il messaggio sdolcinato e tanto atteso di un ragazzo.
O persino, come già aveva intuito, una persona.
Un ragazzo.
Una ragazza.
Una persona che sia in grado di farti toccare il cielo con un dito.
Una di quelle che questo detto quasi lo fa diventare realtà.
Una di quelle che ti mette le ali, come le Red Bull.
Una di quelle che senza fare nulla ti migliora la giornata con un sorriso o con una semplice battuta.
Sarebbe potuta essere qualsiasi cosa.
O chiunque.
L'unica cosa di cui era certo, però, era che la sua, di ottava meraviglia del mondo, non l'aveva ancora trovata.
Nonostante il mondo, la sua Vicenza, ma soprattutto Roma, fossero incredibilmente popolate.
Roma.
Roma è bella, ma caotica.
Si ripeteva come poco prima.
Quasi sentiva che in quel momento anche quella discoteca, forse troppo piccola per accogliere tutti, o quasi, gli studenti di un istituto intero, fosse caotica proprio come quella magica città.
Giusto l'incitatore di folle che aveva appena parlato al microfono e le persone al bancone riuscivano a muoversi in mezzo a tutta quella gente senza dover attendere di passare come se stessero aspettando che il semaforo diventasse verde.
Così, decise di imitare proprio quelli.
I più furbi.
A sua detta.
Hanno la musica.
Il cibo.
Da bere.
Ma soprattutto non hanno quella sensazione di calore.
Tutte quelle goccioline di sudore che sentì scorrere giù per la schiena.
Beh, si.
Forse erano i più furbi.
Ordinò al bar man qualcosa da bere
"Fai tu"
Gli aveva detto.
Non gli interessava più di tanto.
Aveva soltanto voglia di non pensare a tutto quello che aveva intorno.
E in quel momento quel sapore amarognolo che gli avrebbe invaso la bocca qualche secondo dopo gli sembrava una valida alternativa.
Probabilmente era un Long Island.
Dall'inconfondibile sapore.
Il colore quasi tendente al marrone che non faceva altro che confermargli la sua ipotesi.
Con la spinta dell'adrenalina che quel cocktail gli stava dando iniziò a girarsi e a focalizzare la sua attenzione su tutti quei ragazzi che ballavano scatenati.
Qualche scia di bibite varie che volavano per aria.
Qualcuno troppo impegnato a mangiare con le labbra la prima persona che si ritrovava davanti.
Qualcuno intento a ballare ossessivamente fino alla nausea.
Qualcuno che appunto correva verso i bagni per vomitare tutto lo schifo di cui si erano riempiti lo stomaco.
E qualcun altro che sfinito per essersi scatenato troppo in pista si dirigeva verso il bancone per rigenerarsi
"Un Long Island, per favore"
Sentì pronunciare da qualcuno accanto a lui.
Un moretto.
Il classico belloccio attira ragazze che si trova in pista per cacciare furtivamente le sue prede, avvicinarsi cautamente, prenderle per i fianchi e azzannarle.
Si diede uno schiaffo immaginario quando si rese conto che lo stava effettivamente etichettando.
L'ultima cosa che avrebbe voluto fare, ma che in quel momento gli era venuta spontanea.
Sempre per essere "il nuovo arrivato che non conosce niente e nessuno"
"Che hai da guardare?"
Si sentì richiamare da quella voce un pò bruscamente, con fare scocciato ed intimidatorio.
Rendendosi conto di starlo osservando da chissà quanti secondi.
Quel ciuffo era troppo in ordine per uno che si sarebbe fatto persino un albero.
Così, riuscì quasi immediatamente a ricredersi da quell'ipotesi che aveva fatto poco prima
"No, nulla, stavo guardando la collana. Bella"
Provò a cavarsela lui, usando la prima cosa di lui che gli era capitata davanti agli occhi
"Ah, grazie. Si, scusa se sono un pò scorbutico, ma mi hanno appena fatto versare il drink addosso e sono un pò scazzato"
Ed ecco un altro pregiudizio abbattuto
"Tranquillo"
Disse il riccio, tornando subito dopo a poggiare le sue labbra sulla cannuccia nera immersa nel drink
"Long Island anche tu?"
Disse il moro, dopo diversi secondi, come se fosse interessato a continuare la conversazione
"Eh, si"
Rispose lui, tranquillamente, accennando un sorriso
"Beh, intenditore"
Disse il ragazzo, facendolo ridere
"Sei qui da solo?"
Gli chiese lui, curioso di sapere perché se ne stava lì con lui se era in compagnia di altre persone, come pensava
"No, tra un momento all'altro dovrebbe arrivare un pò di gente che conosco. Ma, senti, tu sei di qui? Non ti ho mai visto da queste parti"
Gli rispose, chiarendogli finalmente ogni dubbio e chiedendogli anche la cosa che a lui sembrava quasi ovvia, ma che chiaramente non lo era
"No, mi sono trasferito da poco"
"E di dove sei?"
"Vicenza"
Iniziò un botta e risposta rapido tra i due, interrotto da un leggero sorriso da parte del moro, seguito subito dopo da un
"Ah, ecco allora spiegato il perché del tuo buon gusto in fatto di cocktail. Sei veneto. Io e te diventeremo grandi amici"
Alzò il pugno con fare amichevole
"Lo penso anch'io"
Disse il riccio, scherzando, ricambiando il pugno amichevolmente, inconsapevole che in realtà quel ragazzo, incontrato per caso davanti a quel bancone con un drink uguale al suo davanti, sarebbe diventato uno dei suoi complici più grandi
"E vieni al Kennedy anche tu?"
Gli chiese il ragazzo e lui si limitò a rispondere con
"Si"
"E in che classe stai?"
Disse curioso
"4R"
Disse il riccio, appoggiando di nuovo la bocca alla cannuccia
"Ma dai?! Anche io, bro"
Disse il moro tra un misto di entusiasmo ed incredulità
"E come mai non ti ho mai visto?"
Chiese lui curioso
"I primi giorni li balzo sempre. Non si fa mai un cazzo"
Disse il moro con tono ovvio, come se quella fosse una cosa scontata
"Non sono i migliori proprio per questo?"
Provò a dire il riccio
"Si, ma dopo un pò mi rompo a stare in quella classe piena di nerd e di futuri grandi di domani"
Disse il ragazzo virgolettando le ultime parole, facendolo ridere
"Però adesso che so che ci sei tu, i giorni pari potrei anche venire, dai"
Continuò il moro, causando una risata in entrambi
"Beh, che onore, allora"
Contestò il riccio.
Sarebbe rimasto a parlare con quel ragazzo, che si era rivelato essere un suo compagno di classe, per altre ore ed ore.
Sentiva già una forte connessione tra loro due.
Qualcosa che li accomunava.
Un misto tra malinconia e l'estremo bisogno di svagarsi per evadere dalla realtà.
Sarebbe rimasto lì per anni ad interloquire con quel moretto che si era rivelato così tanto simpatico, ma qualcosa interruppe il momento
"Rispondo un secondo, eh"
Disse lui, quasi chiedendogli il permesso per non sembrare maleducato.
Gli fece chiaramente cenno di si con la testa, così il moro lasciò il suo dito scorrere lungo lo schermo del telefono, placando la suoneria che nonostante la forte musica della discoteca riusciva a farsi sentire comunque.
Pochi secondi dopo lo vide cliccare qualcosa di nuovo sul cellulare, segno che aveva appena concluso la chiamata
"Hey, senti, io devo andare che ci sono delle persone qui fuori, ok?"
Disse con un sorriso il moro, contagiando anche lui, che disse
"Certo, tranquillo, brodi"
"Ci vediamo in classe... Compagno di Long Island"
Disse il ragazzo, un pò titubante, rendendosi conto che ancora non si erano presentati
"Che deficiente, io mi chiamo Dennis, ma gli amici mi chiamano Deddy"
"Giovanni, ma gli amici mi chiamano Sangio, da Sangiovanni"
Disse il riccio, imitando ciò che il ragazzo gli aveva appena detto, facendoli ridere entrambi
"Nome particolare. Mi piace"
Sentenziò lui, allungando la mano verso il nuovo conoscente
"Anche a me il tuo"
Rispose lui, stringendo la mano del ragazzo per poi avvicinare i loro petti e darsi un piccolo colpo in modo amichevole per salutarsi
"Ciao, Sangio"
Disse il moro, per congedarsi davvero stavolta
"Ciao, Deddy"
Disse il riccio, chiudendo quella conversazione definitivamente
Lo vide allontanarsi.
Un pò gli dispiaceva.
Anche se per pochi minuti, non gli era affatto dispiaciuto parlare con lui.
Non che avessero parlato di chissà che, ma sapeva soltanto che si trovava bene e a suo agio a parlare con lui.
E capirlo in pochi minuti, per lui, non era per niente scontato.
Così lo osservò avvicinarsi verso l'entrata del locale.
Aveva un pò tirato fuori il petto e la cosa lo fece sorridere.
Lo aveva già inquadrato più o meno il ragazzo.
Cercava di fare il grosso, ma in realtà era evidente che fosse un cucciolone.
Uno di quelli che per le persone a cui tiene farebbe di tutto.
Anche andare dall'altra parte del mondo.
O almeno così aveva intuito.
Ed in effetti non sbagliava.
Gli sembrava uno di quelli abbastanza socievoli.
Che parlano con tutti, ma poi, i veri amici li contano in una mano.
Quelli che preferiscono una serata Netflix e pizza ad una serata in discoteca come quella.
Un pò come lui.
Uno simpatico con tutti, ma riservato allo stesso tempo.
Forse gli era molto più simile di quanto credeva.
Possibile che avesse già fatto tutte quelle supposizioni su un ragazzo che aveva appena conosciuto?
Beh, si.
Ormai si arrese all'idea di cercare di fermare la sua mente dall'osservare e trarre immediatamente delle conclusioni.
Si ritrovò a ricredersi quando, dopo alcuni secondi in cui lo aveva perso di vista, lo vide rientrare nella sua visuale.
Stavolta, però, non era da solo.
Non poteva davvero credere che quel ragazzo che alla fine sembrava così tranquillo potesse frequentare gente del genere.
Passando tutte quelle ore in corridoio in silenzio ad osservare chiunque gli passasse davanti agli occhi, non potette non notare un gruppetto.
Quel gruppetto.
Proprio quello che aveva appena fatto una specie di entrata trionfale in quel locale.
Facendo girare tutti manco fossero gli One Direction.
Vide tutte le ragazze intorno a lui iniziare a fare gruppetto, girarsi lentamente come per non farsi notare e poi ritornare a fare comunella e a ridere per aver scambiato anche soltanto uno sguardo di sfuggita a quello che già dai corridoi sembrava essere il "leader", se così poteva essere definito, di quel gruppetto di persone che già aveva capito che se la tirassero troppo.
Che poi, lui, il "Leader" lo conosceva bene.
Si, proprio così.
Figlio di amici di famiglia con cui era cresciuto.
Importante amico d'infanzia.
Forse il suo migliore amico d'infanzia.
Ma più che mai in quel momento si chiedeva come era potuto succedere.
Erano piccoli, si.
Ma loro due?
Migliori amici?
In quella scuola, in quella settimana, non si erano parlati neanche per sbaglio.
Uno era il giorno e l'altro era la notte.
Lui troppo chiuso, restio nel fare determinate cose, iper previdente, responsabile, ma soprattutto paranoico ed irascibile.
L'altro estremamente estroverso, impulsivo, menefreghista e pieno di voglia di vivere la vita tranquillamente, senza ansie e paure addosso.
Era un pò quello che era lo specchio del suo gruppo.
I ragazzi che lo spalleggiavano quando magari dovevano passare per i corridoi.
Come se fosse una popstar internazionale con i bodyguard che fanno spazio per farlo passare.
Le ragazze, invece, vestivano firmato dalla punta delle scarpe fino all'ultimo capello che avevano in testa.
Non che quello fosse sinonimo di sentirsi superiori, ma di certo il loro atteggiamento lo era.
Lo aveva capito dai loro sorrisi sarcastici quando guardavano una ragazza con vestiti provenienti probabilmente dai grandi magazzini.
Come se qualche capo più caro "dell'usuale" fosse in grado di determinare l'autorità di una persona.
Perfette.
Apparentemente.
Un pò stronzette.
A sua detta.
Un bell'eufemismo.
Delle vipere.
Affamate di gossip e trucchi.
Tutte sempre ben vestite, pettinate e truccate.
Che forse non si sarebbero azzardate a mettere piede nell'edificio se qualche cosa non fosse stata al suo posto.
C'era un qualcosa, però.
Un qualcosa che stonava con tutta quella irrealistica perfezione.
Qualcuno.
Qualcuna.
Una ragazza.
Con i capelli lisci come gli spaghetti.
Sembrava vivere nel mondo delle favole.
Tutto rose e fiori, quando intorno a lei aveva soltanto erba e chissà quali altre schifezze del genere intorno.
Aveva trovato il termine giusto.
Stonava.
Lei stonava con tutto quell'ambiente che lui non sapeva bene neanche come definire.
Di tanto in tanto la vedeva da sola, durante la ricreazione, a portare goffamente cinque, sei, caffè a botta.
Facendoli cadere a volte.
Guadagnandosi una bella ramanzina su quanto fosse maldestra abbastanza spesso.
Alcune volte anche alzando la voce.
Tanto che poteva sentire le voci di alcune di quelle ochette prendersi gioco di lei.
Non che fosse tanto difficile, d'altro canto.
Le loro classi erano una di fianco all'altra.
Soltanto un sordo non sarebbe riuscito ad ascoltare tutti i paroloni che quelle ragazze le sputavano addosso.
Aveva capito che si chiamasse Giulia dalle loro urla, ma non ne era convinto.
Si chiedeva come mai una ragazza così bella, solare e raggiante potesse far parte di quella compagnia.
Lasciandosi usare come se niente fosse per fare dei "favori" mai ripagati, ma soprattutto permettendo agli altri di insultarla in quel modo.
Si.
"Insultarla" era il termine adatto.
Non mancavano commenti di cattivo gusto appunto su quel suo vivere tra le nuvole.
Che la portava ad essere distratta e non accorgersi di cosa le stesse succedendo sotto gli occhi.
Non erano risparmiati neanche quelli dedicati al suo aspetto fisico.
E la cosa che più lo faceva alterare era che lei non controbatteva mai.
Lei se ne stava lì.
Zitta.
Abbassava un attimo la testa.
Con sguardo quasi sconvolto.
Rialzandola qualche secondo dopo facendo un grande sorriso.
Alcune volte l'aveva addirittura sentita rispondere con
"Grazie"
Dopo una delle quotidiane sclerate delle ochette nei suoi confronti.
Non aveva ascoltato per intero la conversazione, anche se era nella classe accanto, ma era riuscito ad ascoltare giusto in tempo ciò che gli permise di affermare che molto probabilmente le avevano appena rivolto parole non propriamente carine.
Seguito anche da un abbraccio.
Voluto dalla ragazza stessa, per di più.
Ma come poteva avere così poco rispettosa di se stessa per farsi trattare in quel modo?
Come poteva?
Davvero non se ne capacitava.
Gli erano bastate quelle volte in corridoio ad osservarla per capire come fosse.
Forse però si sbagliava e magari quella ragazza era tutt'altro.
Bho.
Non sapeva darsi una risposta.
Anche se forse, qualcosa, qualche secondo dopo gli si fece più chiaro
"Giu, tieni le giacche"
Sentì dire ad una voce alle sue spalle.
Era una di quelle voci.
Quelle che ormai occupavano i corridoi ogni giorno da una settimana a quella parte.
O almeno, quello era il periodo da quando lui si trovava lì.
Chissà se magari quelle parole, quei comandi, le venivano riservati anche prima.
Iniziò a chiedersi
"Oh, si, certo. Dove le porto?"
Sentì dire da una vocina leggera, ma allo stesso tempo penetrante.
La sua
"E che cazzo ne so io? Chiedi a qualcuno dov'è la cabina armadio e le metti lì. Non pensi, Giulié?"
Disse una delle ochette.
Ormai le aveva soprannominate così.
Facendo ridere di rimando le altre.
Era evidente che quel commento fosse sarcastico e che contenesse, anche se un minimo, un pò di cattiveria.
Forse non proprio "un pò".
Rimase un pò ad occhi aperti quando sentì anche la sua risata.
Quella di quella ragazza.
Era così diversa dalle altre.
Aveva imparato a riconoscerla.
Penetrante anche lei.
Come la sua voce.
Paragonabile a quella di una bambina di 3 anni.
Qualcuno avrebbe anche potuto definirla irritante.
Lui, invece, pensava che quella fosse una delle melodie più belle che avesse mai ascoltato.
Che spreco utilizzarla per ridere a quella frase sul suo conto.
Pensava lui
"Oh, si, che cretina"
Disse lei, continuando a ridere con le sue "amiche".
Chiaramente con accezione differente.
La vide allungare le braccia e qualche secondo dopo si ritrovò inondata dai giacconi di tutta la sua compagnia.
Che rabbia gli faceva.
Era davvero incredibile.
Con quella ragazza non ci aveva neanche mai parlato.
Eppure, sembrò prenderla a cuore.
Era sempre stata una sua caratteristica.
Quella di difendere, di schierarsi dalla parte degli emarginati.
Di quelli speciali.
Speciali perché diversi.
O di quelli diversi perché speciali.
Di quelli più deboli.
Non che la ritenesse debole.
Anzi.
La riteneva estremamente forte.
Sapeva dentro di sé che quella ragazza si rendeva conto della verità.
Lo sapeva.
Non sapeva come.
Ma lo sapeva e basta.
Sapeva che non era ingenua e che era consapevole che tutte le cose che le dicevano erano tutt'altro che cose carine nei suoi confronti.
Le opzioni erano due.
O stava cercando di non capire.
Forse per proteggersi da una conseguente ed imminente caduta rovinosa.
O per un altro motivo.
E, se era quella l'opzione corretta, lui quel motivo lo voleva scoprire.
I suoi pensieri vennero interrotti da lei e dal suo rientro in sala annunciato dalla sua fragorosa e contagiosa risata, seguita da un
"Urca. Lì dentro era buissimo"
Rivolto alle sue amiche
"Uh, eccoti, ce ne hai messo di tempo, eh? Senti, ma se per farti perdonare del ritardo ci andassi a prendere qualche drink? Abbiamo scordato i soldi e non sappiamo proprio cosa fare senza un pò di alcool stasera, eh, Giuli? Che dici?"
Disse una di loro, avvicinandosi alla ragazza e accarezzandole le guance leggermente.
Come per cercare di convincerla con quel piccolo quanto falso gesto.
Giovanni notò immediatamente lo sguardo preoccupato della ragazza
"Ma poi stai tranquilla che per quanto è scollato il vestito non te li faranno neanche pagare, fidati"
Disse un'altra di loro subito dopo, facendo ridere le altre.
Stavolta, però, la sua di risata non la sentiva.
Era troppo occupata ad abbassare lo sguardo su se stessa.
E guardarsi.
Con un pò di vergogna.
Tanto da coprirsi immediatamente cercando di non darlo troppo a vedere con le sue esili e magre braccia.
Le ragazze di fronte a lei, invece, ridevano beate.
Mentre lei navigava nella vergogna.
E cercava di camuffare il suo stato d'animo con un palese falso sorriso sul volto.
Un palese amaro sorriso, sul volto.
Si sentiva così male per lei.
Quella era la prima volta che la vedeva reagire in quel modo.
Ci stava incredibilmente male per lei.
Gli veniva il voltastomaco a sentire quelle parole schifose sul suo conto.
Le avevano chiaramente dato della troia e lei se ne stava con la testa bassa, zitta e immobile, a subire.
Perché non reagiva?
Perché se ne stava in silenzio?
Perché se ne stava zitta a subire tutte quelle cattiverie senza ribellarsi?
Non fece neanche in tempo a metabolizzare tutto nella sua testa che vide la sagoma di qualcuno occupare proprio il posto accanto a lui.
Lo stesso che Deddy aveva occupato qualche minuto prima
"Hey"
Disse lei, allungando timidamente un dito per farsi notare dal barman
"Hey, scusa, potresti preparare nove spritz, per favore?"
Prese lei un pò di coraggio per attirare definitivamente l'attenzione del barman verso di lei.
Ma in quel momento, il ragazzo dietro al bancone non era l'unico a stare attento ad ogni suo movimento
"Certo, bellissima, aspetta un minuto e ti faccio tutto quello che vuoi"
Le disse il barman, ammiccando palesemente alla ragazza, che nel frattempo cercava di sistemarsi i vestiti.
La scollatura.
Non le erano passati inosservati gli sguardi ossessivi del ragazzo dietro al bancone proprio verso quella sua parte del corpo.
Aveva abbassato lo sguardo.
Probabilmente si sentiva sporca.
Sbagliata.
Ma cos'era?
Un giocattolo?
Lui lo sapeva che se ne accorgeva, e quello ne era la prova.
Di certo, non avrebbe reagito in quel modo se non se ne fosse accorta.
Provò a trattenersi da solo in tutti i modi, ma la voglia di scoprirla era davvero tanta.
Troppa
"Carine le tue amiche, eh"
Si fece scappare lui, sarcasticamente.
Prima di rispondere la ragazza gli fece un grande sorriso.
E che sorriso.
Anche quello era particolare.
Un pò come lo era lei.
Diverso.
Bellissimo.
Peccato che però si era accorto che quel sorriso non aveva niente di vero.
Si stava sforzando di farlo ed era ovvio
"Già"
Disse lei, sempre guardando in basso.
Dal suo tono, non fu particolarmente difficile per il riccio capire che avesse frainteso ogni cosa.
Non l'aveva intesa come battuta sarcastica rivolta alle ochette.
Ed in effetti, aveva ragione.
Era da anni ormai che i ragazzi le si avvicinavano soltanto per chiederle delle sue amiche.
Non che gliene sarebbe dovuto importare alla fine, no?
Ma questo il ragazzo di fronte a lei ancora non ne era a conoscenza
Però era un dato di fatto.
Uno dei suoi tanti dati di fatto.
E questa cosa le pesava.
Per lei quelle ragazze erano di una bellezza indescrivibile.
Pensava che se avesse avuto anche soltanto un decimo di quella, probabilmente si sarebbe sentita invincibile.
Lei era così diversa da loro.
E si sentiva in difetto per questo.
Non era come loro e lo sapeva perfettamente.
Però cercava di adattarsi.
Non riusciva a comportarsi comunque come loro, però, magari, a volte rimediava con qualche vestito firmato e chili su chili di trucco per coprire tutto il copribile
"Prima con i cappotti e poi con i drink, davvero premurose, devo dire"
Disse lui, non riuscendo davvero a trattenere quelle parole.
La ragazza, sembrò improvvisamente illuminarsi alla sua affermazione, come se avesse appena capito di aver frainteso tutto e che quello che si era creata in testa era sbagliato.
Per una volta, si stava parlando di lei.
Non sapeva perfettamente se esserne imbarazzata o felice.
Lei optò per entrambe, liberando quella risata che le veniva dritta dritta dal cuore
"Ahahahahah, ma non è nulla"
Disse lei, tra una risata e l'altra.
Come se si sentisse obbligata a dover giustificare le sue "amiche"
"E i caffé a scuola?"
Boom.
Forse sarebbe sembrato un maniaco psicopatico che stalkera le ragazzine di 17 anni, ma quella sua voglia di scoprirla era irrefrenabile.
Voleva sapere se ne era consapevole.
Lui sapeva che era così, ma ne voleva la conferma
"Stai iniziando a mettermi paura"
Disse lei, dopo aver smesso di ridere, ma capendo immediatamente che non era tutto ciò di cui lui pensava di dare l'impressione
"Sono solo uno che sta nei corridoi e che non può fare a meno di sentire e di osservare cosa fanno le persone"
Disse lui, con tutta la tranquillità del mondo, meritandosi uno sguardo un pò confuso, ma anche preoccupato, da parte della ragazza
"Detta così, potrei sembrarti uno stalker, ma non lo sono, tranquilla"
Sentì in dovere di giustificarsi lui, avendo notato la sua faccia un pò scioccata
"Ahahahahah, beh, menomale. Quindi vieni anche tu al Kennedy?"
Ipotizzò lei, vedendolo a quella festa a cui erano presenti soltanto studenti di quella scuola.
Il ragazzo annuì.
Avevano cambiato argomento con una facilità inaudita.
Forse era proprio lei che aveva voluto cambiare argomento di proposito
"E come mai non ti ho mai visto a scuola visto che da come sembra passi le giornate tra i corridoi?"
Gli chiese lei curiosa, imitando il ragazzo sedendosi su uno di quegli sgabelli
"Sono arrivato da poco"
Le disse, al che lei sgranò un pò gli occhi
"Ah, sei nuovo? Cambiato scuola o città?"
Chiese realmente curiosa, mentre attendeva ormai senza più impazienza che arrivassero i drink
"Entrambe direi"
Le disse lui, lasciandole contestare con
"Beh, in effetti... E di dove sei?"
Aveva parlato con 3 persone quella sera.
Barman incluso.
E due di quelle gli avevano chiesto se fosse di lì.
Dava davvero così tanto l'impressione di non trovarsi a suo agio?
Nah.
Forse era soltanto perché aveva detto ad entrambi di aver cambiato scuola, no?
Beh, si.
Era ovvio che fosse così
"Vicenza"
Confessò lui, vedendo subito dopo la ragazza spalancare gli occhi.
Come se fosse rimasta piacevolmente stupita
"Wow, davvero una splendida città"
Disse subito dopo
"Ci sei andata?"
Chiese lui, anche lui curioso
"Oh, si. Quest'estate, pensa"
Gli disse, lasciando che sulle labbra del ragazzo si formasse un sorriso, prendendo la parola subito dopo
"Ma dai! E cosa ti è piaciuto di più?"
"Ah, mannaggia, mi è piaciuto un pò tutto. Però, forse, è troppo scontato se ti dico che è la Basilica Palladiana?"
Disse lei, tra una risata e l'altra
"Beh, un pò si, ma tanto è anche la mia"
Stravagante.
In pochi la possono realmente capire.
Il tetto turchese.
Dava un tocco di freschezza.
Di novità.
Era...
"Davvero davvero affascinante"
Disse lei, precedendo il ragazzo a completare quella frase che si stava formando nella sua mente
"Già"
Gli disse sorridendo, di nuovo, contagiando anche lei di rimando e giurò di averla vista con le guance un pò più rosse di qualche secondo prima.
Quella sarebbe potuta essere tranquillamente la sua ottava meraviglia del mondo.
Gli ricordava la sua infanzia, i suoi parenti, i suoi amici.
La sua vita.
Sentiva che però per poterla considerare tale mancava quel piccolo tassello che non sapeva di cosa fosse fatto
"In che classe sei, quindi?"
Disse lei, interrompendo i suoi pensieri, riprendendo il discorso di pochi minuti prima
"4R"
Disse lui, per la seconda volta durante quella serata
"Ma non è che per caso è la classe accanto alla mia? È il 4D"
Provò ad ipotizzare lei per capire meglio.
A momenti non ricordava neanche il nome della sua di classe.
Figuriamoci delle altre
"Si, è lei"
Disse lui, ridendo leggermente per quanto quella ragazza sembrasse caduta dalle nuvole anche in quel caso
"Ah, ma allora, tu stai in classe con Deddy"
Disse lei, di punto in bianco, come se si fosse svegliata da un sogno improvviso
"Si, l'ho conosciuto giusto poco fa"
Confessò lui
"Ah, urca, l'hai già conosciuto? Allora avrai di certo già capito che è un monello"
Disse lei, interrompendosi a metà frase per sentire la risposta del ragazzo, ma continuando subito dopo che lo vide annuire con la testa
"Più o meno"
Gli resse il gioco lui, notando quegli occhietti vispi, furbetti, sul suo viso sorridere insieme alle labbra
"Però è un monello buono, eh. È il mio monello buono"
Disse lei, lasciando che il ragazzo cambiasse immediatamente espressione.
Non sapeva neanche perché sentiva che gli si fosse un attimo gelato lo stomaco.
Non che ci stesse provando con lei, perché, insomma, prima di quella sera non si erano mai parlati.
E lui non era il tipo da mettersi con la prima che capitasse sotto agli occhi.
Anche se lei non era proprio.
Lei era diversa, ma in quel momento lui era curioso di scoprirla.
Avrebbe voluto conoscerla e basta.
No?
Se era così, però, perché si stava facendo così tanti problemi ad un "mio" pronunciato da lei?
"Ah, quindi state insieme?"
Chiese lui, per confermare, intuendo già la risposta.
Fece un grande respiro di sollievo, però, quando
"No, no, è il mio migliore amico"
Rispose lei immediatamente, unendo tutte le dita e agitandole ripetutamente per qualche secondo in segno di negazione.
Quasi preoccupata di fargli cambiare idea il prima possibile.
Chissà perché.
Si chiedeva lei
"E visto che probabilmente anche tu diventerai uno dei suoi di migliori amici, ti prego, ti scongiuro, convincilo a seguire le lezioni"
Continuò la ragazza, unendo le mani in segno di preghiera.
Da quel gesto capì forse quanto quel ragazzo non saltasse soltanto i primi giorni di scuola e che quella di certo non era la prima volta che succedeva.
Fece in tempo giusto ad accennare un
"Certo"
E a ricevere un grande sorriso da parte della ragazza come risposta che la loro conversazione venne interrotta dalla voce di qualcuno
"Giu, che cazzo fai qua?"
Chiese lui in modo brusco alla ragazza, meritandosi un'occhiata accigliata dal riccio
"Sto aspettando le cose da bere"
Disse lei, con tono quasi preoccupato, sotto gli occhi del ragazzo di fronte a lei che aveva appena intuito l'esistenza di una certa tensione tra i due
"Ah, ok, vabbé, appena so pronti raggiungici lì in fon... Ah, già conosci Giovanni?"
Disse quel ragazzo, stavolta con tono scocciato, subito dopo aver notato quel viso che gli era così tanto familiare scrutarli.
Non sapeva neanche lui stesso come definire quello sguardo.
Forse sorpreso.
Forse schifato
"Si, ci siamo incontrati qui per caso"
Gli disse lei con un leggerlo sorriso sul volto, che fu in grado di calmare un attimo gli animi caldi dei due ragazzi accanto a lei.
Era evidente che si conoscessero, ma non volle proferire altra parola.
Non le erano passate inosservate le occhiatacce da parte di entrambi per l'altro
"È da tanto che non ci si vede"
Sembrò improvvisamente cambiare tono, diventando, anche se in modo finto, amichevole.
Ipotizzò che forse lo fece per non far insospettire la ragazza.
Insospettire non sapeva di cosa esattamente, ma sentiva che fosse così
"Si, è vero, sono qua da poco"
Gli "resse il gioco" il riccio.
Se si poteva definire così.
Non aveva voglia di iniziare di nuovo a litigare con lui
"Ah, mi avevano accennato qualcosa. Come sta Lidia? E Pier?"
Chiese lui, palesemente fingendosi interessato.
Quel sorrisetto beffardo che aveva in volto non lo faceva ragionare lucidamente
"Tutto nella norma, grazie. E i tuoi?"
Chiese lui, imitando il sorrisetto del biondo.
Quella situazione stava iniziando ad infastidirlo leggermente.
La ragazza, invece, proprio non sapeva come comportarsi.
Li guardava un pò confusa, visto che nessuno dei due le aveva spiegato nulla.
Però quella tensione che sentiva persino lei aveva capito che non fosse poi così tanto piccola e innocua come aveva pensato prima
"Da quando ci siamo trasferiti da quella città di merda, molto meglio, guarda"
Il riccio non sapeva con quale forza si stava trattenendo dal non prenderlo a pugni.
Si riteneva bravo, perché era stato in grado di non smettere mai di fare quel sorrisetto beffardo
"Ah, capisco, dopo la cagata della tua famiglia, ci credo che qui state meglio"
Si lasciò sfuggire lui.
E vide chiaramente il biondo stringere i pugni e guardarlo con sguardo assassino
"Giu, senti, quando sono pronti i drink, raggiungici lì infondo. E sta attenta a non farli cadere, eh. Capito? Sennò devi ripagarli"
Gli disse lui, cercando palesemente di cambiare argomento, mettendole un braccio intorno alla spalla per poi prenderle il viso e stamparle un bacio sulle labbra, lasciando il ragazzo a bocc'aperta.
Era evidente che era stato un puro gesto di orgoglio.
Non che quella ragazza c'entrasse qualcosa nella loro discussione, ma trovandolo lì da solo, la ritenne l'unica cosa da fare per provare a farlo sentire, anche se di poco, male.
E ci riuscì.
Adesso sì che non sapeva se essere sorpreso o schifato.
Adesso, sulle labbra, aveva il suo dna.
La ragazza era visibilmente in imbarazzo.
E il riccio non sapeva come comportarsi.
Lei non si era staccata.
E questo gli confermò quello che nella sua testa immaginava.
Quei due stavano insieme.
Non li aveva mai visti neanche rivolgersi la parola in corridoio.
Se non per darle ordini come in quel caso
"Giovanni, è stato un piacere. Io tolgo il disturbo"
Disse lui, mantenendo sempre quel sorrisetto, accentuato ancora di più dopo aver visto la sua faccia scocciata.
Gli fece segno di assenso con la testa, mantenendo anche lui il sorrisetto orgoglioso.
Anche se il quel momento serviva soltanto a non fargli capire quanto gli avesse dato fastidioso.
Prima di dileguarsi definitivamente non ci mise mezzo secondo per lasciare una pacca sul sedere alla ragazza, che sussultò leggermente per quel gesto da lei inaspettato, seguito da un
"A dopo, bambolì"
Lei non rispose.
Gli fece un sorriso.
Il riccio aveva perfettamente capito che fosse falso.
Non sapeva proprio come interpretare quella situazione
"Conosci Luca?"
Chiese lei non appena vide proprio la persona di cui stava parlando allontanarsi
"Figlio di amici di famiglia"
Confessò lui, rendendole tutto un pò più chiaro.
Aveva lo sguardo leggermente rivolto verso il basso.
Non sapeva proprio come comportarsi.
Provava un misto di imbarazzo, schifo e tristezza
"E perché non vi parlate neanche?"
Si azzardò a chiedere lei, interrompendo i suoi pensieri e riportandolo alla realtà
"Perché è un pò stronzetto e se la crede troppo, non pensi?"
Le disse lui, che cercava di fare l'indifferente, tanto da fare sembrare quella frase quasi ironica alla ragazza, ma che in realtà dentro si sentiva il sangue ribollire
"Ma Ahahahahah, che dici"
Rispose lei, che appunto pensava che il riccio stesse scherzando
"Infatti mi chiedevo come una come te potesse stare insieme ad uno come lui"
Sputò di nuovo lui, con lo stesso tono di prima, tanto da farla ridere ancora.
Quella, la sua risata, era l'unica cosa positiva
"Una come me, come?"
Gli chiese lei.
Lui si fermò un attimo a riflettere e la sua risposta anche se semplice, la fece fermare a pensare
"Pura"
Facendola sorridere leggermente e facendola diventare un pò rossa.
Passarono diversi secondi di silenzio.
Molto più forte di qualsiasi canzone che avrebbe potuto rimbombare lì dentro.
Fortunatamente venne interrotto dal rumore dei bicchieri pieni di liquido rosso che venivano posati sul bancone dal barman, che le fece anche di nuovo l'occhiolino.
Eccolo di nuovo.
Sentiva il sangue ribollirgli nelle vene.
Doveva distrarsi
"Non te ne intendi vero?"
Le disse lui, cercando di sembrare il più tranquillo possibile, anche se era abbastanza evidente il contrario
"Di cosa?"
Chiese lei divertita
"Degli alcolici"
Disse lui con tono ovvio
"Ahahahahah, in effetti, no. Si vede così tanto?"
Disse la ragazza tra una risata e l'altra
"Beh, se vuoi portare loro uno spritz in una discoteca, penso proprio di sì"
Disse lui, ironico
"Mi dispiace, ma io non sono una veneta doc come te"
Fece lei la finta offesa, facendo il broncio ed incrociandosi le braccia al petto
"Sembro davvero così alcolizzato?"
Le chiese lui mentre rideva
"Nah, solo un pochino"
Disse lei facendole il gesto con le mani
"Ma sentila"
Disse lui, continuando a ridere
Si erano conosciuti da troppi pochi minuti per poterla considerare "conoscenza", ma entrambi sentivano uno strano senso di piacere a parlare con l'altro.
Di tranquillità.
Come se si conoscessero da tutta la vita e quella era soltanto una delle tante chiacchierate che si erano fatti
"Comunque per la cosa di Deddy, se mi dai il numero dopo ti mando il suo contatto, così magari gli scrivi"
Disse lei una volta finito di ridere ed essersi calmata, riprendendo il discorso che prima il biondo aveva interrotto
"Certo"
Le disse lui, sorridendo, contagiando subito dopo anche lei che disse
"Sei davvero un angelo... Emh..."
Rendendosi conto che non si erano ancora effettivamente presentati.
Proprio come era successo diversi minuti prima con Deddy
"Giovanni, ma puoi chiamarmi Sangio"
Disse lui, lasciando che sul viso della ragazza si formò un'espressione confusa
"Io Giulia. Che nome strano, comunque. 'Sangio'"
Disse provando ad imitare il modo in cui poco prima l'aveva detto lui, facendo ridere entrambi
"Strano negativo o strano positivo?"
Le chiese lui, riprendendo a farla ridere
"Positivo, tranquillo. Perché 'Sangio'?"
Disse lei, realmente curiosa di saperlo
"Da Sangiovanni. È il mio nome d'arte"
Disse lui, tranquillamente, come se avere un nome d'arte fosse una cosa di tutti i giorni
"Nome d'arte? E cosa fai?"
Chiese lei immediatamente, sorridendo e davvero più curiosa che mai di sapere cosa facesse quel ragazzo che tanto l'aveva colpita quella sera
"Faccio mu..."
Provò a dire lui, ma non fece in tempo a finire la frase che sentirono una voce da lontano richiamare la ragazza.
Quella di una delle sue "amiche"
"Giu, so pronti i drink?"
Urlò lei per farsi sentire
"Si, eccoli"
Disse lei, spostandosi un secondo per farglieli vedere
"E allora portaceli, no?"
Disse lei ovvia, con tono da rimprovero
"Arrivo, un secondo. Scusami, ma penso di dover andare"
Si affrettò a dire lei, rivolgendosi all'amica, per poi guardarlo negli occhi come ormai quella sera aveva fatto non so quante volte.
Quegli occhi azzurri come il cielo.
Freddi come il ghiaccio.
Si rivolse a lui, in tono dolce
"Tranquilla"
Disse lui, imitando il suo tono delicato
"Ci si vede per i corridoi, stalker"
Gli disse lei, sorridendo
"Certo, esperta di Spritz"
Le disse lui, mettendo apparentemente fine a quella conversazione.
Prima di impugnare il vassoio con una quantità industriale di cocktail sopra, il ragazzo non potette fare a meno di notare che si stava impegnando a sistemarsi la scollatura.
Diventata protagonista di molti suoi pensieri quella sera.
Troppi per quanto pensava il ragazzo.
E non aveva torto.
Le bastarono quelle poche parole di lui però per metterle pace in testa e per farla sorridere, accompagnando anche un pò quello che il ragazzo, anche se si erano conosciuti da poco, aveva capito essere una classica manifestazione del suo imbarazzo.
Il rossore sul suo viso ogni volta che le si riservava un complimento.
Forse una cosa a cui lei non era abituata e che lui invece sentiva l'estremo e l'incontrollabile bisogno di farlo.
Non riusciva a spiegarsi per quale motivo
"Comunque stai benissimo stasera, non vergognarti"

L'ottava meraviglia del mondoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora