Costanza due mesi fa. L'amore viene

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Fa' che sia lui. Fallo, spiritello leggero, in cambio ti offro una ciocca dei miei capelli. Ne fai un vestito per l'inverno. Maledetto cellulare, 'prende stretto' dentro l'aula di chimica. Quello di Chiara è migliore, ha tre tacche di Potenza. Il nodo allo stomaco si stringe. Ho un dolore continuo. "Che hai, sembri uno zombie!" "Niente, il solito, una volta al mese." "Allora fatti vedere, è la terza volta questo mese." Chiara precisa con i ricordi. Attenta. Mette sul calendario ogni cosa. Le mestruazioni, la luna crescente adatta al taglio dei capelli, la luna calante dedicata alla ceretta, il pomeriggio ideale per lo shopping. E se fosse davvero tutto così semplice? Mettere in fila le cose, una dietro l'altra, e controllare. Perché io allora non lo so fare? Da quando l'ho incontrato non riesco a pensare ad altro. "Scusi, prof., mi ero distratta. La formula?" "Sì, Costanza, la formula. Di cosa? Vorrai sapere. Certo, è un tuo diritto. Giochiamo a fuoco­fuochino?" Le risate dei ventuno traditori, liberatorie. Non arrossisco. Ho imparato. Rido anch'io e deglutisco piano in modo che non si noti. Ritorno dentro me. Non riesco a pensare ad altro. Una specie di chiodo conficcato nel cervello. Il dolore chiama il dolore. Se fossi veramente innamorata sarei felice, vedrei i cuoricini rosa appesi alle pareti dell'aula e ululerei alla luna. Quindi che cos'è? Un lupo feroce che galoppa dentro lo stomaco e fa strage di villi intestinali e altre cose che si muovono. "È la formula del bicarbonato di sodio." "Bene Costanza. Bentornata tra noi. Per quanto avremo l'onore?" E adesso mi hai stufata cara carissima prof.ssa Pelli. Bionda e alta e ironica. Chiara neppure mi guarda. Il cellulare non prende. È una giornata schifosa. L'amore deve essere altro, ne sono sicura. Mica è possibile innamorarsi così di uni che vedi alla stazione, quasi perso tra i binari con lo zaino che penzola da una spalla e gli occhi quasi chiusi. Ho subito pensato che fosse miope e che avesse scordato gli occhiali o forse gli occhiali gli erano caduti finendo in frantumati. E Chiara che spintona per avere il posto vicino al finestrino, il treno che come al solito è in ritardo e Luigi delle caldarroste che allunga il cartoccio di carta bruna e mi prende in pieno sul braccio. E allora io cado come una pera cotta, in modo così poco elegante da dovermi scordare come si fa a non arrossire. Cado di sedere con le gambe sollevate, lo zaino attribuisce il colpo sulle spalle, ma il dolore è niente paragonato alla vergogna. Ridono tutti. Chiara si tiene la pancia, la cretina, invece di aiutarmi. Ride anche Luigi e la signora con i collant luccicanti e con la gonna arancione che passa veloce con la testa girata. Donna arancione, donna di un tritone. Che possano cariarsi sette dei tuoi denti davanti. Poi qualcosa mi solleva. Una gru? Dentro la stazione? Braccia lunghe, piene di ossa, e mani coperte dai guanti. Ora sono di nuovo in posizione eretta e Chiara ha gli occhi sbarrati. Forse scorre sangue da qualche parte fuori del mio corpo? Non ho neppure il fiato per chiedere. Ho un dolore terribile alla schiena e alla coscia. Giro gli occhi verso Luigi e lo fulmino. "Scusa Costa non l'ho fatto apposta." "Un cavolo" riesco a scialare. La gru aggiusta il lembo della mia giacca a vento. La gru? Chiara lo guarda inebetita. Io riesco a mettere a fuoco. Quello miope. Non ride.

"Tutto a posto?" E chi risponde? Dovrei avere una bombola di ossigeno nello zaino. Ora la prendo e me la ciuccio. Mi prende una specie di prurito in tutto il corpo. Varicella. Morbillo tremens. Le gambe già provate si riducono a budini. Vacillo. Ha degli occhi, forse ne ha tre. Anzi sicuro. Ne ha tre. Tutti bellissimi. Come la luce cambiano colore. Mai visti. Veramente mai visto uno con tre occhi. Poi sparisce. Come gli alieni. C'è un treno che arriva dal binario 12 e lui gli corre dietro. Sparisce ma non subito, là dove stava prima rimane impressa una specie di sagoma lunga e vissuta. E io mi perdo a guardarla. Divento liquida, acqua calda. Evaporo. Poi scatto anch'io. Anni di allenamenti hanno lasciato il segno dello scattista. Lo raggiungo prima che il treno si fermi. "Ehi! Tu! Grazie." "Di niente. Ma davvero è tutto a posto?" "Credo di sì." "Bene. Sei caduta bene." "Si può cadere bene?" "Certo che sì. Fai sport vero?" "Pallavolo." "Io calcio." "Piacere." Ride, adesso. "È un riflesso strano, quello di ridere quando qualcuno cade." "Però tu non hai riso." "Solo perché hanno riso tanto di me. Mi sono ricordato." Uno che si ricorda. Niente male. "È questo il tuo treno?" "Sì, tre fermate e sono a casa." "Mi lasci il tuo numero? Così se cado di nuovo ti chiamo." Audace. Mi sento audace e un po' stupida. Stupida di più. Ride di nuovo e sembra che ridano anche i finestrini del treno. Si apre un mondo quando ride. La voragine del mondo, come la Bocca della Verità che non sai mica cosa può esserci là dentro. L'inferno. I ricordi. Le cose pensate da altri e  buttate via. E poi arriva l'odore. Gelato al pistacchio. Ha l'odore del pistacchio. Il numero. Lo memorizzo. Subito. Numeri facili e molto belli. E non è un alieno. Un Angelo. Angelo. Lo dice sottovoce come fosse un segreto. Io lo ripeto cinque volte. Le dita di una mano. Poi provo con l'altra. Sempre bello. Vorrei urlare: io Costanza. Ma non so se la voce esce. Forse un 'Cstza', un nome di un pianeta da scoprire. È che qualcosa raschiare dentro la gola. Lo guardo e penso a una gru di nome Angelo. Stupida di più. Penso solo che se faccio questo numero che ho nella testa risponde Angelo. E sento la voce di pistacchio. E qualcuno mi tiene in piedi. Importantissimo, perché ora tutto gira. E poi il treno parte. Ondeggio. Però riesco ancora a stupire me stessa. Sul finestrino sporco di grasso e di smog dietro al quale si è seduto, muovo il dito e scrivo il mio di numero, al contrario in modo che lo legga più facilmente. Scrivo e mi allungo zoppicando dietro il treno che va. Prima che il finestrino diventi un'ombra indistinta, vedo di nuovo il suo sorriso. Ancora qualcosa di liquido. Sciroppo di mele. Profumo di zucchero. Caramella al limone. Giù per la gola secca. Chiara mi raggiunge e mi prende per lo zaino. "Ma sei matta?" "Lasciami sognare." Forse esce un 'Lscmi gnre'. Frase aliena. Come è normale. Capisce cara e carissima prof.ssa Pelli? Che la chimica adesso è fuori luogo, come la neve in agosto.

Se vado in bagno, forse aprendo la finestra il segnale è più forte. "Falla finita, chiamalo tu." "No, io no." "E perchè? Figuraccia più o figuraccia meno." "Sei davvero un'amica." "A questo servono gli amici. A ricordare quando uno esce di testa. Sembri rimba." "Sarà il freddo. Forse nevicherà, almeno così dicono." "Ora il freddo ti arriva davvero. La prof. ti vuole alla cattedra. Ti interroga." Non è possibile. Quanti passaggi mi sono persa? Il mondo ha girato troppo in fretta. "Scusi prof.ssa, vorrei giustificarmi." "E di cosa Costanza? E per cosa? Per carità, non ce n'è bisogno. Un 3 e ti faccio anche le mie congratulazioni. Deve essere più importante del bicarbonato di sodio questo essere umano che ti riduce il cervello in poltiglia." Nessuno si muove, questa volta. Se non interroga me, allora sanno che toccherà a qualcun altro. 3 in chimica. E chi lo racconta ai miei? Nessuno. Non lo racconta nessuno. C'è il maledetto computer a fare la spia. Il preside ha voluto l'informatizzazione dei registri. Neppure in un incendio si può più sperare. Solo i black out si possono invocare. Senza elettricità il maledetto se ne starà zitto. Bah. Recupererò. C'è sempre il tempo per recuperare. L'importante è che chiami. Forse ora anche lui è stressato da un'interrogazione, oppure sta raccogliendo da terra un'altra imbranata che è caduta. Il dolore allo stomaco aumenta. Le budella si torcono. Se incrocio le dita, forse chiama. Se penso intensamente che il maledetto suoni, allora sentirò la vibrazione. Non è forse vero che ciascuno di noi ha dei talenti nascosti? Forse io ho la capacità di far accadere le cose. Come funziona allora? Ci fosse un pulsante da prendere, una password da cercare. Ci fosse una maledetta formula da imparare a memoria. Io ho una memoria formidabile. Chiamami. Angelo. Un'altra tacca! Ora prende bene. Ti prego, ti prego. Chiamami. "Smettila di muoverti sulla seggiola, fai tremare il banco." "Che stai facendo, Chiara?" "Ah, ma allora? Guarda che questa è l'ora di matematica, quello è il prof.

Alberti e questo foglio contiene il compito in classe. Basta, Costanza. Sei scema o ci fai?" Dio. E tutto questo quando è accaduto? L'amore che viene è devastante. Non è solo una tempesta. È una bomba che ti fa rimanere senza uduto, né vista; che cancella il senso del tempo. Sparisce ogni cosa. Spariscono i colori e gli odori d i sapori. Sparisce ogni altro essere umano e rimani solo a contemplare il nulla. È terribile. L'amore che viene. È bellissimo. Tutto quello che era non è mai stato e tutto quello che verrà è un sogno. L'amore che viene. Non esiste il presente. Capisce prof., niente presente né del modo indicativo né del congiuntivo. Al massimo il condizionale. Bisogna vivere o nei ricordi o nel futuro, in attesa di lui, della bomba, che arriva. Ti prego, gru, telefona. Voglio sentire la tua voce di pistacchio. Voglio diventare una caramella al limone. Spiritello lieve, ti faccio una pelliccia se fai vibrare questo coso maledetto. Chi ti ci vuole? In fondo gli spiriti vanno dentro le teste delle persone e ci mettono le cose che vogliono. E poi tra angeli e spiriti non dovrebbe esserci una specie di amicizia? Un aiuto reciproco, perlomeno. Una specie di mutuo soccorso.

Caramella al limone. Bah. Ho sempre detestato il limone. 

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