É ovunque (chissà dove)

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Parlo poco lo sai,
soprattutto di te…

Sirius se n’è andato da due settimane, ha portato con sé i suoi sedici anni e ha lasciato in casa l’eco delle parole che ha urlato; Regulus augura a stento il buongiorno a sua madre.
Ha perso un fratello – un compagno, adesso un nemico.
Ha perso un fratello che adesso non compare più sul grande arazzo della famiglia Black. Nessuno pronuncia più il suo nome e forse nemmeno lo ricorda – lui sì, ma non lo dice.
Non dice niente, Regulus: se ne sta sul letto ad accartocciare fogli di carta ai bordi dei quali Sirius è ancora al suo fianco.
É ovunque, in realtà: nelle lenzuola ancora stropicciate che Kreacher non ha mai sistemato, dietro la bruciatura con cui è stato cancellato il suo volto, nel vuoto che ha lasciato in ogni angolo – è ovunque, chissà dove.
Non lo ha salutato, Sirius, quando è andato via. Non gli ha mai scritto da quando lo ha lasciato solo – lui sì, ma nasconde tutte le lettere come i segreti che non hanno mai avuto bisogno di confidarsi (sono suoi, sono loro).
Non dice niente, Regulus, quando sua madre gli ordina di mangiare. “É solo un traditore”, ma lui pensa che l’unico a tradire sia stato proprio quello che adesso è seduto con un cucchiaio d’argento tra le mani.
“Ha tradito sempre, da quando è stato smistato a Grifondoro.”
Non risponde, ma la zuppa è rimasta intatta nel piatto e lui ha un buco nello stomaco che non ha niente a che fare con la fame.
Si chiede spesso cosa sarebbe successo se avesse chiesto a Sirius di restare, o ancora, cosa gli avrebbe detto se lo avesse visto tentennare un solo passo prima di andare via.
“Stai sbagliando tutto, Reg. Non ascoltare quello che dicono, sono solo bugie. Ma qualsiasi strada tu scelga di percorrere, resterai sempre mio fratello” gli ha detto prima di sparire nel nulla, tra le mani soltanto un cappotto di pelliccia.
Sirius se n’è andato da un mese, ha portato con sé i suoi sedici anni e ha lasciato in casa l’eco delle parole che ha urlato e, forse, pensa, qualcosa per lui.
Quando apre la porta della camera di Sirius gli si attorcigliano le budella: le pareti rosso e oro gli fanno girare la testa, gli raccontano quando hanno cominciato a perdersi davvero, ma fa finta di niente e si inginocchia a cercare – un biglietto, qualsiasi cosa che possa legarli ancora.
Trova una fotografia in cui si abbracciano: sono bambini, ancora non sanno che basterà poco per spezzare il filo di sangue che li rendere fratelli, che Sirius ha lasciato lui e ha scelto altri da avere come tali; ancora non sanno che presto sceglieranno fazioni diverse, che non rappresenteranno più l’uno per l’altro l’approdo sicuro in quel porto di famiglia che preferisce perdere marinai piuttosto che accogliere stranieri, che non si abbracceranno più.
Regulus ancora non lo sa che suo fratello andrà via, che nessuno pronuncerà mai il suo nome e forse nemmeno lo ricorderà – lui sì, ma non lo dirà.
Quando torna nella sua camera, Regulus cerca l’ombra di Sirius in tutte le parole che ha scritto – è ovunque, chissà dove.
 

…che sono stanco di tutto,
forse anche di me…


Sirius se n’è andato da quattro anni, ha portato con sé la sua età e non si sente più l’eco delle parole che ha urlato; Regulus ha un serpente che gli si attorciglia sull’avambraccio e non parla più – annuisce, sorride, ma non dice niente.
Si chiede se è a causa dell’assenza di suo fratello o se è il peso del Marchio Nero a farlo sentire stanco.
Se ne rende conto una sera, quando a forza di camminare rischia di consumare il pavimento: Kreacher non è ancora tornato dalla sua missione con Voldemort e lui inizia a preoccuparsi tanto da non riuscire a stare fermo.
Per un solo secondo, si chiede come si  sarebbe comportato suo fratello se si fosse trovato nella stessa situazione, ma la voce morente dell’elfo domestico lo distrae, lo fa inginocchiare sul pavimento.
“’Cos’è successo?” gli chiede e, quando Kreacher gli racconta della grotta dentro cui il Signore Oscuro ha nascosto il medaglione, Regulus non ha bisogno di pensare. “Portami lì.”
La caverna è buia, i lamenti che si avvertono dall’interno fanno accapponare la pelle, ma Regulus fa finta di niente e si fa guidare all’isolotto su cui è nascosto il Medaglione.
Kreacher gli ha detto che bisogna bere l’acqua del bacile per poterlo trovare, che è difficile fare ritorno, che si può morire e a lui non importa: beve, ha un buco nello stomaco che non ha niente a che fare con la fame.
È la verità che gli logora le membra, la consapevolezza di aver perso un fratello – un compagno, mai un nemico – per una bugia raccontata come fosse la più sacrosanta delle verità.
“Ancora” ordina. Kreacher scuote la testa, avvicina le mani alla bocca del suo padrone e lo guarda con occhi disperati perché sa cosa si prova a bere acqua che non toglie la sete, a ingoiare quel liquido che lacera dall’interno.
Regulus si contorce, rivive il momento in cui suo fratello è andato via, adesso sa che perché lo ha abbandonato, sa che non è un traditore, che l’unico ad aver tradito sia stato proprio quello che adesso è steso sulla pietra fredda in cerca di una via d’uscita dai ricordi che gli hanno più male – stai sbagliando tutto, Reg. Non ascoltare quello che dicono, sono solo bugie.
Adesso sa che Sirius ha sempre avuto ragione, che è stato in grado di vedere cosa c’era dietro le trame di un’ideologia che gli sta risucchiando la vita, che lo ha privato dell’amore più sincero che gli fosse mai stato dedicato, che gli ha rubato l’altra metà del cuore – ma qualsiasi strada tu scelga di percorrere, resterai sempre mio fratello.
Sirius se n’è andato da quattro anni, Regulus vorrebbe soltanto vederlo un’ultima volta e invece è il viso del suo elfo domestico a riempirgli le iridi.
Ha ancora sete, l'acqua nel bacile non ha placato l'arsura, non ha spento il fuoco che gli brucia lo stomaco.
Avverte le mani degli Inferi che gli stringono le caviglie. "Va via, distruggi il Medaglione" è il sussurro che gli lascia le labbra.
Regulus gli chiede di mantenere il segreto, Kreacher promette che lo farà sperando di vederlo tornare a Grimmauld Place.
Non tornerà, lo sa bene, ma ubbidisce agli ordini e lascia il suo padrone a soffrire dolori atroci.
È stanco, non ha più forze per resistere, per aggrapparsi al bacile: si lascia trascinare nel Lago, pensa che magari quell’acqua possa dargli un po’ di conforto, un po’ di pace, che plachi il fuoco che ha dentro e invece gli ustiona la pelle, gliela consuma sulle ossa.
Eppure sorride, Regulus, perché ha compiuto un gesto che renderà fiero suo fratello – almeno spera. Sorride perché per lui, per tutto ciò in cui ha sempre creduto, per ciò che ha rinnegato dal primo momento, vale la pena perire, lasciarsi trascinare dagli Inferi e sentire i polmoni arrancare.
Non ha nessuno a cui dire che sta annegando, che sta morendo per una causa in cui non pensava di poter credere - soltanto il ricordo di suo fratello, che è ovunque, chissà dove.
E gliele dice, tutte le parole che gli ha scritto in quelle lettere accartocciate: ti voglio bene, mi manchi.
Sa che Sirius non può sentirlo e si chiede se lo abbia mai cercato  negli anni in cui sono stati lontani, mentre lui si piegava al volere di Lord Voldemort.
Si chiede se ha mantenuto la sua promessa e dov’è adesso che lo sente accanto e non lo vede – è ovunque, chissà dove.
 

Mi devi ancora un ritorno,
molto più di mille parole…

 
 

Sirius se n’è andato da diciotto anni, ha portato con sé la promessa che ha fatto a Regulus – ma qualsiasi strada tu scelga di percorrere, resterai sempre mio fratello.
Anche se James ha fatto di tutto per sostituirlo: lo ha fatto ridere, lo ha fatto piangere, ma Sirius lo sente forte, quel refolo di sangue che ancora lo lega all’immagine che una volta era accanto alla propria sull’enorme arazzo della famiglia Black.
Rinchiuso ad Azkaban, però, lo aveva dimenticato: non ricordava più il sorriso di Regulus, il suo viso, la sua voce. E non ricordava nient’altro che il nome di chi lo aveva tradito, di chi, come suo fratello, aveva fatto la scelta sbagliata.
Se ne rende conto nel momento in cui torna a Grimmauld Place e a fargli compagnia è soltanto il rumore dei passi di Kreacher che lo accusa in silenzio di un delitto che non sa di aver commesso: Regulus è morto, alla fine ha rimediato ai propri errori.
Regulus è morto da quattordici anni, a lui ha lasciato il senso di colpa per non essere stato capace di salvarlo e per averlo dimenticato in quegli anni in cui le uniche mani che lo toccavano erano quelle dei Dissennatori.
Regulus è morto da quattordici anni e quando scopre la verità anche Sirius muore un po’.
Si chiede se suo fratello sia mai rimasto alla finestra ad aspettare il suo ritorno, scopre nelle lettere che ha lasciato accartocciate sotto il letto che non ha fatto altro.
E cosa se ne fa, di tutte quelle parole? Pergamene intere e domande a cui non saprebbe rispondere se lo avesse davanti, accuse da cui non si difenderebbe se suo fratello tornasse in vita.
A cosa serve guardare le foto, ricordare il suo volto, vederlo mentre sorride e chiedersi dov’è adesso?
È ovunque, in quella casa: sull’arazzo della famiglia Black, nelle cornici del salone, nei vuoti che ha lasciato in ogni angolo, al centro esatto del suo petto.
È dentro il ricordo che lo tormenta da giorni, quegli occhi grigi simili ai suoi, eppure così diversi, quando non lo ha fermato e non lo ha nemmeno salutato vedendolo andare via. È ovunque, chissà dove.
Se ne accorge quando capisce che la sua vita è finita, che manca poco e il suo cuore smetterà di battere. E tu come hai capito che stavi per morire? chiede al vuoto che lo circonda.
Ho visto il tuo volto, è il sussurro che gli spezza i timpani, che gli rimbomba nello sterno fino a che ne ha forza.
Riesce a percepire la sua presenza, è oltre il velo – il richiamo del sangue, quel filo che in realtà non si è mai spezzato – perciò lo attraversa con il sorriso sul viso.
“Ti stavo aspettando” gli dice Regulus.
E’ più alto di come lo ricordava, ha perso l’ingenuità e la spensieratezza del bambino che è stato, sembra quasi un uomo – lo è da tempo o non lo diventerà mai.
Sirius non risponde e forse non ce n’è nemmeno bisogno di dirglielo, che gli vuole bene, che gli è mancato.
Nessuno dei due ha sete adesso – di acqua, di vendetta – nessuno dei due avverte più quel buco allo stomaco che non ha niente a che fare con la fame, che è da sempre stato paura di non ritrovarsi mai.
Lo capiscono entrambi nel momento in cui tornano ad abbracciarsi come nella fotografia che Regulus aveva trovato nella camera di Sirius: era mancanza, quel vuoto; era voglia di avere un approdo sicuro nel porto della famiglia, della vita che li aveva visti divisi per troppo tempo, morti troppo giovani e con troppe questioni irrisolte.
Regulus quasi non ci crede, continua a guardare lo spettro di suo fratello come fosse un miraggio: vorrebbe urlare, vorrebbe incolparlo di averlo abbandonato senza dargli modo di capire, ma incolpa se stesso per non avergli creduto, per essersi fatto marchiare con orgoglio.
“Sono tornato” risponde Sirius dopo un tempo che somiglia all’infinito, i cui bordi sono colmi dei loro nomi scritti vicini.
“Mi devi molto di più” la verità, l’affetto che mi hai sottratto, il tempo in cui non mi sei stato accanto.
“Anche tu.”
 
 
Angolo Autrice:
 
Il Giardino di Efp ha indetto questa bellissima challenge, “Componiamo una canzone” e non potevo non partecipare.
La canzone scelta questa settimana è Parole nuove di Einar che, personalmente, mi è sempre piaciuta tantissimo.
Ho scelto il prompt numero 1 e per un motivo del tutto sconosciuto ho immediatamente immaginato Regulus e Sirius.
È una storia che non ha pretese, piccola e forse per nulla originale, ma mi piaceva l’idea di approcciarmi in punta di piedi a un personaggio che non ho mai trattato (spero che Regulus mi perdoni).
E spero di poter leggere i vostri pareri a riguardo.
 
A presto.

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