ㅓ la psicologia del gelato

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Tu prendesti una coppetta yogurt e fragola, piccola, io un cono crema e ciocolato, grande.
Mi guardasti seduto su quella sedia in acciaio troppo piccola per la tua schiena, non ti sporcasti mai e nemmeno le tue dita rimasero appiccicaticce nel tenere la coppetta.

E nel guardarti mangiare in quella coppetta mi vennero in mente le parole della mia vecchia psicologa.
"Una volta ho letto-" non ti dissi che ero andato dalla psicologa, tu eri troppo perfetto e forse non mi avresti nemmeno capito "-che le persone che scelgono la coppetta sono persone controllate e misurate." Tu sorridesti, per te era un complimento e anche per me lo era stato per molto tempo, ogni volta coglievo l'occasione per ribadirtelo. Ma non quella volta, seduti ai tavolini di una catena di una gelateria italiana, che di italiano aveva solo il nome. Quella volta quei due aggettivi sulla mia lingua avevano un retrogusto amaro, niente a che vedere con il cioccolato che invece stavo mangiando.

"E tu invece?" Sorridesti nel fare quella domanda, aggiustandoti gli occhiali sul ponte del naso.

Furono i tuoi occhiali a incuriosirmi ben cinque anni fa, la montatura era di certo più retrò ma ti stavano da dio in qualsiasi caso. Questa è però la storia che ho sempre recitato a te e ai nostri amici, su come un ragazzino neodiplomato abbia avuto l'audacia di chiedere il numero a un laureando in filosofia solo perché incuriosito dalla sua montatura di occhiali. In realtà quel giorno, vedendoti leggere quello che mi sembrava Seneca mi si era rizzato, ero nel pieno fermento dei miei ormoni forse perché finalmente avevo ammesso a me stesso e a mia madre che erano i ragazzi a piacermi e non le ragazze.

Quel giorno comunque fui ingenuo, ti chiesi una sigaretta sedendomi sulla panchina dove tu eri seduto. Dalla sigaretta volevo passare a tenere in bocca il tuo cazzo. Quel giorno di neve la mia bocca però non tenne nessuna delle due cose che tanto ebbi desiderato, rimasi proprio a bocca asciutta. La sigaretta non me la desti perché non fumavi e il cazzo nemmeno perché ci mettemmo a parlare del De brevitate vitae, o meglio tu ne parlasti con la tua voce roca e bassa a tal punto da ammaliarmi e distogliermi dal mio fine ultimo; ti comportasti da così bravo oratore che subito dopo il nostro primo incontro mi recai alla prima libreria aperta per comprare i Dialoghi di Seneca.

Ed è forse al De Brevitate Vitae che do la colpa della mia condizione attuale. O quella che fu la condizione che mi portò a lasciarti, dopo aver trascorso moltitudini di nevicate insieme. Forse furono tutti quei fiocchi di neve che osservammo sotto il cielo di Busan ad incapsulare a poco a poco il mio cuore.

Ma cosa vado blaterando. Io all'amore eterno non c'ho mai creduto e nonostante durammo così tanto io fin dal primo giorno di relazione avevo attivato un conto alla rovescia per la fine della nostra stessa relazione. Il conto alla rovescia che avevo avviato era più breve, decisamente più breve ma tu mi portasti a spostarlo. Non fu volontario da parte tua, era solamente così tanto esagerato il tuo amore e la tua bontà che io non mi ero sentito di chiuderla lì. Il capodanno per la prima volta nella mia vita fu rimandato, più e più volte e io rimasi con la voglia disperata di vedere i benedetti fuochi d'artificio.

E fu così che non la chiusi lì né il primo, né il secondo, né il terzo, né il quarto inverno. Fu così che anche io mi laureai alla triennale, beni culturali come tu stesso mi consigliasti.

"TaeTae ma tu su cosa vuoi lavorare da grande?" Mi vedevi ancora piccino.
"Non lo so Namjoonie."
"Ti piace stare seduto?"
"No." Non avevo capito inizialmente a cosa volevi andar a parare.
"Ti piacciono più le materie umanistiche o scientifiche?"
"Umanistiche."
"Ti piacciono le persone?"
"Si." Ti guardasti intorno, eravamo nella mia cameretta.
"Perché non studi l'arte." Quando me lo proponesti ti ritenni un visionario ma tornando indietro nel tempo forse esagerai nell'appellarti in quel modo, tutti i poster dei fauves attaccati all'intonaco della mia cameretta giallo canarino potevano essere per me un segnale su cosa sarei potuto essere da adulto.
Ma io dovevo crescere ancora all'epoca e tutti i segnali seppur banali non riuscivo a coglierli, o non volevo coglierli. Volevo che tu mi imboccassi e mi facessi crescere tra le tue mani calde e grandi perché a differenza tua, io avevo un po' paura di crescere.
Tu eri la terra fertile delle sponde del Nilo, e io l'ultimo chicco di grano rimasto nel sacco di iuta di un povero contadino.

Crema e cioccolato ━ ᵗᵃᵉʲᵒᵒⁿ Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora