Capitolo 1 (parte uno)

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"A pelle si sentono cose a cui le
parole non sanno dare nome"
Alda Merini

Krystal

Driin. Driin. Driin.

La sveglia continuava a suonare, ma nonostante ciò non mi alzavo dal letto.

La mia vita stava andando di male in peggio: la mia (ex) migliore amica non mi rivolgeva la parola da più di un anno, i miei compagni di classe non mi davano tregua, avevo litigato ancora una volta con mia madre, Ylenia, ed era pure il primo giorno di scuola.

Fantastico!

Odiavo quel giorno con tutta me stessa. Significava che la tortura sarebbe ricominciata ancora.

Quell'anno ci sarebbe stato un nuovo compagno. Obiettivo: rimanergli il più lontano possibile, non rivolgergli la parola (altrimenti avrebbe potuto pensare che di lui mi potesse interessare qualcosa), non salutarlo e non guardarlo.

Insomma, ignorarlo come avevo sempre fatto con tutti quanti da quattro anni.

Alla fine mi alzai, solo perché non volevo fare tardi. Andai in bagno, raccolsi i miei capelli ricci in un grande chignon, misi un po' di correttore per le occhiaie e il mascara.

Ritornai in camera e scelsi di indossare un paio di jeans scuri, una maglietta nera oversize per nascondere i miei chili in più, un berretto grigio e le mie amatissime Vans a scacchi bianche e nere.

In cucina trovai mia madre che mi aspettava. «Kry, prima che tu vada a scuola, volevo spiegarti la mia reazione di ieri sera» iniziò, con un sorriso sulle labbra. «Non volevo arrabbiarmi e urlarti contro, ho paura che tu non viva questi anni al meglio. Sono gli anni più importanti, quelli che ti ricorderai per tutta la vita.»

Mia madre era sempre stata convinta che io debba uscire di casa più del necessario. Ma io stavo bene così. In quelle quattro mura mi sentivo al sicuro da tutto e riuscivo a essere me stessa.

«Lo so, mami. Nemmeno io volevo litigare con te» mi scusai. Lei si avvicinò e mi abbracciò forte, sussurrandomi che mi voleva bene. «Anche io, mami» le risposi.

«Però ora devo andare, altrimenti faccio tardi a scuola, e non vorrei dare una brutta impressione alla nuova insegnante di letteratura inglese.»

«Certo tesoro. A dopo.»

La salutai dandole un bacio sulla guancia e uscii di casa.

*

Il tragitto da casa a scuola era un po' lungo, perché abitavamo in campagna, ma avevo sempre preferito farlo a piedi al posto di prendere l'autobus. Detestavo l'autobus. Troppo pieno di persone, mi faceva mancare il respiro e ricordare il mio passato.

Quella strada la facevo sempre con Jack, mio fratello, quando eravamo piccoli per andare al parco vicino a casa nostra. Jack mi mancava molto, era morto due anni prima lasciandomi da sola.

Era un ragazzo solare, gentile con tutti e anche molto sensibile. Quel giorno avrebbe dovuto venirmi a prendere appena finiti gli allenamenti di pallavolo, visto che aveva preso la patente da poco, ma non arrivò mai. Decisi allora di tornare a casa a piedi, molto arrabbiata. Mi aveva fatto una promessa e non l'aveva mantenuta. Ma, appena misi piede dentro casa, trovai mia madre sul pavimento in lacrime.

Jack era morto in un incidente.

L'avevano ricoverato d'urgenza in ospedale.

Ma non ce l'aveva fatta.

Da quel giorno eravamo rimaste solo io e mia madre. Ci eravamo fatte forza a vicenda: lei era diventata la mia confidente e la mia migliore amica. L'avevo aiutata a superare la perdita di un figlio, mentre lei a farmi sentire meno sola.

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