“A che piano va?”, le chiese distaccato senza distogliere lo sguardo dal cellulare.
“All’ultimo, grazie”, rispose la ragazza bionda frugando nella borsetta in cerca dell’accendino.
“Anch’io”, mormorò lui con un sorriso accennato schiacciando il pulsante numero 9.
L’ascensore si avviò pigramente, preceduto da un cigolio sinistro che ne rivelava inequivocabilmente l’età avanzata.Prese coscienza dell’accecante avvenenza della donna non prima del terzo piano, rassegnandosi già in cuor suo a vederla sgattaiolare via alla riapertura delle porte.
La sua compagna di viaggio si era appena voltata per rimirarsi allo specchio, controllandosi il mascara in un impeto di malcelata fretta.
Carlo si soffermò sugli eleganti stivali di pelle nera e lo sfarzoso top rosso porpora, ma era tutta la figura a trasmettere un che di maestoso, intimamente perfetto.
“Forse l’ho già vista in televisione”, pensò. “Sembra un’attrice”.
Un boato inquietante, simile al raglio demoniaco di un asino posseduto, spezzò le sue fantasticherie, squarciando d’improvviso l’abitacolo per spegnersi subito dopo.
Si ritrovarono per terra avvinghiati l’uno all’altra, urlando all’unisono finché il silenzio tombale e l’immobilità della cabina permisero loro di riprendere fiato.
Si alzarono ancora in preda all’adrenalina dello shock, nel vano tentativo di darsi un contegno.
Dopo un’inevitabile coda di imprecazioni trattenute per dare sfogo alla tensione, fu il ragazzo a ricomporsi per primo.“Cazzo, siamo rimasti bloccati. Ma che rumore ha fatto? Merda, sembrava un film dell’orrore”.
La ragazza annuì timidamente, ancora paralizzata dallo spavento.
“OK, suoniamo il campanello. Speriamo vengano in fretta”.
“Dubito”, bisbigliò lei tremando. “È venerdì e sono quasi le otto. Qui sono tutti uffici. Saranno già andati tutti a casa. Rischiamo di passare qui il weekend. Ti prego, dimmi di no”, si lamentò lei con tono supplichevole.
“No, dai, stiamo calmi”, la rassicurò lui. “Qualcuno verrà a tirarci fuori, vedrai”.
Il rimbombo dell’allarme echeggiò per la tromba delle scale, risuonando con l’inutilità un po’ naïf di un messaggio nella bottiglia.
“Mi chiamo Carlo, comunque”, borbottò impacciato per rompere il ghiaccio come al primo appuntamento. “E mi spiace per le circostanze”, aggiunse sorridendo.
La ragazza scoppiò in una sincera risata isterica, amplificata dalla quiete irreale intorno a loro.
“Io Marta, piacere”. “Mi sa che dovremo ingannare l’attesa, che ci piaccia o no”, sussurrò con un tono che Carlo, in un altro contesto, avrebbe senza esitazione bollato come malizioso.“Parlami di te”, lo invitò lei. “Che ci facevi qui?”.
Un’ombra di disagio e angoscia velò il viso dell’uomo.
“Io? Niente di che. Ero venuto a … a consegnare dei documenti all’assicurazione”, disse fissando imbarazzato la targhetta con l’indicazione del numero di persone e del peso massimo consentito a bordo.
“Ah, allora ti aspettava qualcuno su? Ci avrà sentito! Non puoi telefonargli?”, si illuminò lei speranzosa.
“No”, spense lui ogni entusiasmo. “Non ho il numero privato dell’assicuratore. In ufficio ci sarà già la segreteria. E poi non so neanche se … ecco, non so se c’è ancora qualcuno. Io volevo solo provare a passare”, aggiunse quasi a convincersi delle sue stesse parole.
“Mmm, ok”, assentì lei dubbiosa.
“E tu? Cosa facevi qui? C’è un’agenzia di modelle nel palazzo e non mi dicono nulla?”, rilanciò Carlo sornione per alleggerire l’atmosfera.
“No, io … io ero venuta per un’altra cosa”, confessò lei abbassando la voce.
“Perché lo dici così? Mica sarai venuta qui per ammazzare qualcuno, no?”, ridacchiò lui.
“No. Ero venuta per ammazzare me stessa”.Carlo si ritrasse istintivamente, rimanendo seduto a occhi sgranati con la schiena contro la parete appena sotto la pulsantiera.
“Ah. Cioè … mi stai dicendo che volevi buttarti davvero di sotto dall’ultimo piano? Non ci credo”.
“E invece è proprio così. Avevo deciso di farla finita. Hai presente quei giorni in cui hai presente, ma non ti sembra di avere un futuro? Quelle mattine in cui il tuo unico sogno è non avere più incubi? Oggi stavo salendo con l’idea di fare il grande passo. L’ultimo passo. Nel vuoto”, aggiunse lei con una serenità incolore che fece rabbrividire il ragazzo.
“Scusa, non immaginavo. Tutto questo è assurdo, credimi. È fottutamente inconcepibile”, balbettò lui annegando con lo sguardo vitreo tra i folti capelli biondi di Marta.
“Perché assurdo? Vuoi già tirar fuori le solite balle? Dirmi che la vita è bella, che una come me non dovrebbe neanche pensare certe cose, che tutto si sistemerà, eccetera?”, lo aggredì lei.
“No”, fece lui asettico. “Assurdo perché prima non avevo il coraggio di dirti la verità. Ero venuto anch’io qui per suicidarmi”.
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NON FARLO
Short StoryUn ascensore. Un incontro casuale. Una storia dove nulla è ciò che sembra.