Prologue.

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Prologue.

《 What a wicked thing to say,

you'll never feel this way. 》

Fastidiosi raggi di sole s'insinuarono fra le aperture della serranda in legno chiaro, andandosi ad infrangere, fastidiosamente, contro le palpebre chiuse della bambina, arrotolata fra le fresche lenzuola rosa, del piccolo letto singolo.
Strizzò lievemente le palpebre, per poi spalancarle l'attimo seguente, lasciando che i suoi occhioni grandi, e blu, si abituassero all'intenso sole che illuminava la camera da letto della bimba.
Osservando attentamente come, i suoi raggi , illuminassero ogni cosa, senza farsi sfuggire nemmeno un'ombra.
Il tutto, agli occhi della bambina, appariva come la cosa più bella, e magica, di questo mondo.

Ma la realtà era che niente, agli occhi di una ragazzina di soli 7 anni - appena compiuti -, appariva piccolo o insignificante.
La realtà era che i bambini riuscivano a vedere la bellezza in ogni semplice cosa : riuscivano a captare la meraviglia di un minuto fiorellino colorato che, dopo un freddo inverno, sbocciava davanti ai loro occhietti, stracolmi di gioia.
Sorridevano, ogni qual volta nel cielo azzurro riuscivano a scorgere , fra la miriade di nuvole bianche, una di esse che possedeva la forma di un bellissimo cuore; non proprio delineato perfettamente, ma pur sempre un cuore.

Ma la vera capacità di alcuni di loro era quella di riuscire a capire quando qualcosa non andava nel verso giusto, ancor prima che qualcuno glielo riferisse, dando effettivamente ragione alle loro teorie.

Come ad esempio il divorzio dei suoi genitori ; Evelyn aveva già capito che suo padre sarebbe andato via di casa, ancor prima che la madre, con estremo tatto, gliene parlasse.
Non rimase sorpresa quando, due anni prima, loro padre -il pilastro fondamentale della loro vita - li abbandonò, facendo crollare tutto quello che, duramente, avevano costruito insieme.
Non rimase ferita quando sua madre non si prese più cura di lei, e di se stessa.
Semplicemente perché lei sapeva, e capiva ciò che la madre stava passando : il peso di una famiglia sulle spalle, e i pungenti debiti che loro padre ancora non aveva saldato, quando andò via di casa.

Ella non poteva dire che , ormai, sapeva prendersi cura di se stessa, ma qualcun altro svolgeva questo compito, al posto della madre; qualcuno che per lei era diventato il suo punto di riferimento, l'ultima ancora alla quale aggrapparsi per evitare di cadere costantemente.

E fu per questo "sesto senso", che abbiamo capito possedesse, che la piccola si fermò in cima alle ripide scale a chiocciola, che portavano direttamente alla piccola cucina, del piano inferiore.

Ti darò i tuoi stupidi soldi...non azzardarti...ho detto che va bene...no...ciao.Un miscuglio di parole incomprensibili, fu tutto quello che lei riuscì a capire.

Di che cosa stava parlando? Che debito aveva nei confronti di questo ragazzo, o di questa ragazza?

Per capirne qualcosa avrebbe dovuto sentire l'intero discorso, ma era troppo distante per riuscire a capire cosa diceva l'interlocutore, dall'altra parte della cornetta.

James?

Il nome del fratello uscì dalle rosee labbra della bambina, quasi come una esile domanda ; come se volesse accertarsi che la voce che aveva udito rispondere così sgarbatamente, allo sconosciuto con cui parlava al telefono, fosse proprio quella del suo dolce fratello, James.

La sua unica ancora di salvezza, il principe azzurro delle favole, semplicemente il suo tutto.

Lo amava come una sorella minore amava il fratello maggiore, che in questi tristi anni si era preso cura di lei, cercando di strapparle un sorriso, che illuminava la giornata del ragazzo.

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