1 | Piccoli frammenti

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Si dice che quando stai per morire un bagliore ti faccia rivivere ogni secondo della tua vita, tutti, dal primo all'ultimo. Io li chiamavo frammenti, piccoli frammenti di un'intera esistenza vissuta con entusiasmo e desiderio di vivere.

Molto persone pensavano fosse tutta immaginazione la mia, d'altronde quando si è certi di morire non si dovrebbe avere certe fantasie in testa. Con questo mio pensiero non voglio dire che fossi diversa da loro, al contrario, anche io avevo paura della morte, però cos'è la morte quando si hanno delle persone che ti vogliono bene al proprio fianco?

Mi veniva spontaneo sorridere mentre guardavo i loro visi sereni, leggendo nel loro sguardo l'affetto che provavano nei miei confronti, nonostante si celasse un velo di preoccupazione nei loro occhi ogni volta che subivo una ricaduta.

Da quando ho memoria ho sempre vissuto la maggior parte del mio tempo in ospedale, non ho quasi mai visitato luoghi esterni al confine della mia cittadina perchè dovevo costantemente ricevere le cure per la mia malattia. Solo un paio di volte ho avuto la possibilità di tornare tra le mura della mia casa, sfiorando ogni centimentro delle sue stanze, da incima a in fondo. Sapevo che presto me ne sarei dovuta andare, perciò vivevo quei momenti con assoluta dedizione, dando particolar attenzione alle tende lilla della mia cameretta e alle coperte azzurre del mio letto, da cui presto mi sarei dovuta separare per un altro lungo periodo di tempo.

Certe volte me ne restavo lì impalata, seduta su di esso mentre guardavo le macchine scorrere fuori dalla mia finestra e la natura continuare il suo ciclo infinito, sperando che prima o poi quella visione divenisse quotidiana. Tra le mie mani tenevo sempre un album contenente le foto che i miei genitori mi scattavano di nascosto, affermando che fossi ancor più bella mentre ero immersa nei miei pensieri.

Erano contenti mentre me lo dicevano, forse perchè per una volta percepivano che stessi bene, d'altronde il mio medico raramente mi permetteva di uscire ed assaporare la vita la di fuori dell'ospedale. L'unica cosa che ricordava loro fossi malata credo fosse la costante presenza del respiratore che mi portavo sempre appresso, rendendomi oggetto di occhiate da parte di chi non mi conosceva.

C'era stato un periodo in cui stavo bene, mi avevano persino permesso di frequentare la scuola, un desiderio nel cassetto che finalmente si era avverato. Avevo fatto amicizia con una ragazza dai capelli biondi di nome Cassiopea, inutile dire che l'avessi definita la stella più luminosa del mio firmamento. A dire la verità devo ringraziare lei per avermi salvata da quel posto.

Non fraintendetemi, mi piaceva sentirmi per una volta una vera studentessa del liceo e studiare insieme a lei, il problema erano gli altri. I professori erano maniacali e mi ricoprivano di attenzioni, temendo che in qualche modo mi sentissi male alla vista di una semplice "B" come voto, mentre i compagni - beh - diciamo che erano di carattere differente rispetto ai miei insegnanti.

Odiavo il loro modo di guardarmi ed evitarmi come se fossi un'appestata, rendendomi oggetto di occhiatte e battutine. Non ho mai raccontato ai miei genitori che una volta mi rinchiusero in bagno, e che una di loro mi avesse staccato volontariamente l'ossigeno.

Se non fosse stato per Cassiopea probabilmente avrei dovuto dire addio alla mia vita ancor prima del tempo stabilito. Mi aveva stretta a sé mentre ancora ero intenta a cercare di contenere gli spasmi per la mancanza d'aria.

Così ho dovuto dire addio alla mia carriera da studentessa e tornare a studiare su un letto d'ospedale. Inutile dire quanto ne fossi poco entusiasta.

Durante il mio tempo libero, quando cessavo di leggere o disegnare, passeggiavo lungo i corridoi del mio reparto, intenta ad osservare coloro che - come me - erano rinchiusi all'interno di una bolla.

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