Fammi concentrare!

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Ero sulla strada già da mezz'ora quando il mio cellulare squillò. In primis non ci feci caso, anche perché ero solita non prendere il telefono mentre guidavo, poi però cedetti e in un rettilineo afferrai l'oggetto in questione, accettando la chiamata prima che gli squilli terminassero.

-Pronto?...- si sentì un suono basso e muto. Infatti risposi inutilmente perché cadde la linea.

D'altro canto non potevo aspettarmi diversamente: si sa che per una ragione oscura a noi comune plebea i poligoni sono situati in luoghi lontano dalla città, immersi nella natura impervia e obbligatoriamente senza campo. L'unica era richiamare chi mi cercava una volta tornata a casa.

Così continuai a guidare fino a quando non raggiunsi una strettoia con una curva a gomito sulla destra. Quell'imbocco portava ad una strada sterrata e piena di buche con parecchie diramazioni, che portavano nei vari campi dei contadini del paese. Se avessi potuto avrei fatto a meno di percorrerla ma era l'unica via per arrivare al poligono. Alla fine raggiunsi il grande spiazzale del parcheggio sulla sinistra, quasi al finire di quella stressante strada. Parcheggiai e mi diressi verso l'ingresso. Era pieno di gente e lì ritrovai un bel po'di amici ma anche di rivali nel mio sport.

Per primo incontrai il consigliere, nonché vice presidente della sezione a cui appartenevo. Come al solito era fuori con la sua adorata e sgualcita sciarpa blu al collo che con una sigaretta in mano e con il telefono nell'altra litigava con i suoi personali creditori. Amava le corse di cavalli quel povero imbecille! E fosse stato solo questo nessuno avrebbe avuto a che dire ma quel coglione ci aveva provato con tutte le atlete della sezione, compresa me che gli diedi un bel due di picche stampato a vita in faccia. Mi ammiccò un sorriso di saluto ed io educatamente lo salutai con un cenno della mano. Buon viso a cattiva sorte, no? Tanto non gliene facevo passare neanche una. Non appena varcai la soglia tre ragazzine sui diciassette anni si catapultarono su di me e quasi riuscirono ad atterrarmi.

-Ania, ci sei anche tu!- mi fecero le feste come se non mi vedessero da anni, quando in realtà malauguratamente mi vedevano ogni santo giorno. Ma quella era solo una maschera che ben celava la vera essenza e la spiegazione del perché quelle galline erano amiche: l'ipocrisia. Erano solite parlare bene e razzolare così male che avevano sempre bisogno di un capro espiatorio, il solito stupido imbecille che si addossava volentieri la colpa in cambio di qualche "piacere". E guarda caso ne stavo per incontrare proprio quattro. Loro? Quattro scapestrati a cui non importava se gli altri li usano come stracci, tutti con età diversa che oscillavano dai sedici ai ventiquattro anni. Così, mentre le tre galline non mi mollavano, quelli ci raggiunsero per creare un assedio più forte alla mia resistenza e farmi così parlare.

-Beh, il presidente ha insistito così tanto ad inserirmi nelle categorie a fuoco che dovrò allenarmi se voglio scalare la vetta anche in queste discipline, no?- la mia lingua era sempre stata perfida e ne godevo di ciò, e loro se lo meritavano ampiamente. Erano soliti a snobbarmi per i miei scarsi punteggi ma da quando non solo li superai nelle loro stesse categorie ma finii alle nazionali, il fegato gli doveva rodere come se avessero ingurgitato litri di acido muriatico. Con quelle parole stavo proprio a rivangare il fatto di averli surclassati alla grande e non ribadirono con nulla, anche perché sarebbe stato poco intelligente, potevano solo arrampicarsi sugli specchi. E finalmente mi liberai di loro con così grande facilità da fargli formare un varco dove io passai.

Sulla porta incontrai forse le sole due persone che si salvavano lì, nel bel mezzo del degrado sociale, il presidente della sezione e il direttore della sezione a fuoco. A volte mi domandavo perché continuavo a frequentare quel posto, ma poi mi ricordavo cosa significasse per me sparare. No, non era puro impulso di colpire qualcosa per sbriciolarla e di conseguenza la manifestazione del mio tormento interiore, come facevano tutti gli altri. Per quello c'erano i manichini da prendere a calci e pugni. Per me era pura adrenalina che a dispetto di tutto e di tutti rilassava. Sentivo chiaramente il colpo che procedeva spedito lungo la canna e prolungava la sua corsa fino a quando non forava con un unico suono acuto il bersaglio per poi disintegrarsi contro la parete di cemento armato. La concentrazione, il respiro e il controllo dei miei muscoli mi rendevano ogni volta più consapevole di me stessa e delle mie capacità. Per me impugnare un qualcosa che era il mio proiettarsi oltre l'aria e gli ostacoli della vita mi faceva sentire più consapevole di me.

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