CAMPACAVALLO.
A Campacavallo, un piccolo paese arroccato sulla cima di una montagna, tira un’aria sempre fredda. Il clima è così tanto gelido da non lasciar crescere in pace nemmeno l’erba, ed è probabile che, proprio da qui, giunga quel famoso proverbio che alla gente del posto non piace per niente.
In compenso, percorrendo la via principale (e dovete credermi, per chiamarla principale ci vuole un gran coraggio) ci si imbatte in alcuni negozi, e subito sovvien naturale domandarsi come diavolo facciano a restare aperti. A Campacavallo non si incontrano neanche turisti in estate, e, dunque, figuriamoci in inverno; qui non c’è l’ombra di un albergo, e men che meno di una pista da sci. Questo piccolo borgo è talmente fuori dal mondo, che nemmeno i navigatori satellitari si prendono la briga di segnalarlo. E inoltre non è di passaggio per nessun altro posto: anche decidendo di tirar dritto, da qui non si va da nessun’altra parte. Campacavallo è nel bel mezzo del niente.
Proprio per questo motivo, tutte le vie restano piuttosto deserte durante il giorno, e, ovviamente, lo sono ancor di più nel corso della notte. Uscire di casa, nutrendo la speranza di incrociare qualcuno lungo la strada, per poter magari fare due chiacchiere, equivarrebbe a una pura follia.Dopo esser rimasta avvinghiata alla montagna, avvolgendola e risalendola con i suoi tornanti, la via principale sbuca in alto sulla radura. Dopo aver compiuto le più svariate peripezie, questa riesce nel suo intento di raggiungere il paese, ma subito si assottiglia, dando quasi l’impressione di voler scomparire. Invece eccola proseguire ancora, districandosi incerta e alla bell’e meglio tra i vecchi casolari di pietra, che un tempo vennero costruiti uno addosso all’altro, forse nel tentativo di potersi riparare un po’ meglio dal gelo. Poi, la viuzza continua umida fino alla graziosa chiesetta, lasciandosi dolcemente assorbire dalla piazza rivestita da cubetti ghiacciati di porfido. Proprio dirimpetto alla chiesa lampeggia intermittente un’insegna sgangherata che annuncia la presenza di un piccolo supermercato. Osservandolo bene vien spontaneo pensare che dentro vi si possa trovare poco, o quasi niente, invece, varcandone la soglia e lanciando un’occhiata fugace agli scaffali alti, ravvicinati, e straboccanti di prodotti, occorre ravvedersi subito nel constatare la presenza di tutto ciò che è essenziale per una tranquilla sopravvivenza.
Dopo esser rimasta di nuovo nascosta dietro alcune costruzioni e al modesto edificio nel quale è ubicato il Comune, la viuzza riappare all’improvviso, eppure ancora più stretta tra enormi mucchi di neve; sgangherata e trafitta da innumerevoli buche, solcata da un’infinità di crepe, si esibisce con ciò che resta di un vecchissimo strato di asfalto consumato dal giaccio.
Riacquistando poi pendenza, con un apparente ultimo sforzo, ormai ridotta a poco più di un sentiero, la stradina arranca ancora un po’, come a voler offrire il massimo nell’ultimo tratto, per lo strappo finale. Dunque, essa tira ancora dritto proprio davanti al giornalaio, ma subito dopo si tronca di netto, dissolvendosi all’improvviso a ridosso di una distesa argillosa e fangosa: uno spiazzo vasto e sempre ripulito dalla neve, e sul quale è consuetudine trovar parcheggiate diverse automobili. A un improbabile sguardo forestiero quella visione risulterebbe senz’altro surreale, fuori posto. Eppure, tutti gli abitanti di Campacavallo si sono abituati al continuo viavai causato dall’attività di Giuseppe: forse, in questo luogo selvaggio e ostile, l’unica avvisaglia della presenza di una civiltà.
A Campacavallo la neve comincia a cadere abbondante già in autunno, poi prosegue senza tregua nel corso di tutto l’inverno. Tuttavia, anche in queste condizioni climatiche pessime e avverse, i clienti di Giuseppe non si fanno certo desiderare.
La sua bottega non è segnalata da una vera e propria insegna, e nemmeno vanta una vetrina. Si sviluppa su una cinquantina di metri quadri e possiede due sole finestre, con un piccolo davanzale, e dietro alle quali ondeggiano delle tende scozzesi, bianche e rosse, che non lasciano intravedere niente di che, a parte i riflessi dorati di una luce che rimane sempre accesa, sia di giorno che di notte. Vi si può accedere da un portone di legno massiccio che non resta mai aperto a lungo, neanche per sbaglio. Si tratta di uno chalet ristrutturato, è grazioso e dall’aspetto curato. E’ isolato e piuttosto lontano dal centro: si trova in periferia, proprio nel punto ove comincia a infoltirsi la pineta. Proseguendo in salita lungo il breve pendio, questa riesce a tingerlo di un verde opaco, giungendo fino alle grandi rocce che ne decretano la cima. Talvolta, ma soltanto nelle giornate più limpide, la vetta sembra così vicina da far credere di riuscire a toccarla con un dito.
L’appartamento di Giuseppe si trova al primo piano, proprio sopra il suo bel botteghino. I balconi che si affacciano dalla sua abitazione sono abbelliti da alcuni vasi di gerani. Estate dopo estate (non crederete che qui possa far davvero caldo!), si colmano di grassi germogli, che sbocciando sembrano esplodere. I fiori sono sempre così rossi da riuscire persino a evocare il colore del sangue.
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CAMPACAVALLO ( Parte 1)
General FictionCAMPACAVALLO. A Campacavallo, un piccolo paese arroccato sulla cima di una montagna, tira un'aria sempre fredda. Il clima è così tanto gelido da non lasciar crescere in pace nemmeno l'erba, ed è probabile che, proprio da qui, giunga quel famoso prov...