Mai smettere di suonare

18 0 0
                                    


Diabolus in Musica

Petunia fece scorrere le dita allenate sopra i tasti neri e bianchi. Le mani scaltre che solitamente parevano volare sopra lo strumento, e l'andamento del corpo che seguiva le dinamiche della sonata, quel giorno risultavano componenti irrilevanti. Non fornivano quell'atmosfera, che a lei veniva naturale ricreare, che rendeva magica l'interpretazione ma anzi, la rovinavano. Ormai la melodia avveniva in modo automatico tante erano state le volte che l'aveva ripetuta. Era stanca di quella sinfonia che nemmeno le piaceva, ma quel fine settimana avrebbe dovuto prestare il suo talento pianistico alla chiesa per eseguire una composizione in onore di Santo Folco, ed era quello il motivo per cui si era ritrovata a suonare per l'ennesima volta la medesima sinfonia. Aveva impiegato ogni suo momento libero a sua disposizione per esercitarsi, o meglio, era stata istigata da suo padre Gaspare a farlo perché sennò ci sarebbero state delle spiacevoli conseguenze. Andava contro la sua volontà, ma Petunia non poteva di certo sottrarsi alla sua autorità. Gaspare era un'uomo freddo, distaccato, severo, autoritario e che incuteva parecchio timore. Tutti lo rispettavano, tutti tranne lei: lo disprezzava. Mai un sorriso, mai un apprezzamento, mai una gentilezza, solo e solamente una perenne faccia imbronciata e un tono burbero. Ma questo gli altri non lo potevano sapere. Riservava quei comportamenti meschini alla moglie e alla figlia, appena fuori di casa subiva una netta trasformazione diventando ciò che gli altri si aspettavano da lui: un'uomo amorevole, tranquillo e a cui piaceva aiutare gli altri. Fuori dalle mura familiari diveniva il diacono di Grimsville con una reputazione consistente che adorava mantenere alta. Le dicerie in quel paesino facevano concorrenza alla luce in quanto a velocità. Tutti conoscevano tutti, nessuno tralasciava un pettegolezzo. Tutti conoscevano Gaspare, e Gaspare aveva una paura smisurata di ciò che poteva essere rivelato su di lui. Riservava perciò una particolare attenzione all'impressione che imprimeva sugli altri, voleva apparire al meglio, rilasciare una visione di se che fosse invidiabile e d'esempio per la plebe, e qual era il modo più conveniente che poteva garantirgli quella tanto desiderata condizione? Assoldare la dolce figlia Petunia come organista nella sua istituzione. Non solo avrebbe riscattato successo per il suo talento, ma sarebbe anche risultato un'uomo ammirevole per aver assemblato una famiglia impeccabile: una moglie profondamente cattolica che si occupava di fabbricare spezie per la medicina, e una figlia ubbidiente e responsabile impostata su impronta della chiesa che suonava per lui. Le piaceva suonare il pianoforte ma non sotto ordine e non in chiesa, nella sua sua stanza con la sua ispirazione. Era la sua salvezza, l'unica soluzione al cattivo umore, la sola via di sfogo che le permetteva di liberarsi. Lo era davvero quando si lasciava trasportare dalle emozioni e riusciva a ricreare la giusta atmosfera, ma non in quel momento. In quel momento forzava il movimento e non trasmetteva alcuna sensazione. Era un'esibizione vuota, priva di vita. Non era solo il fatto che fosse costretta, lei aveva proprio la testa altrove. Era vittima di un'angoscia logorante che non le lasciava il tempo di concentrarsi su altro, ma anzi, la faceva distrarre e le impediva di esaltare ciò che voleva comunicare, facendole semplicemente seguire la piatta battitura delle note. Stava aspettando una persona che doveva venire a riferirle importanti informazioni, perciò l'attività prediletta del momento era vagare con le mente creando le possibili situazioni che si sarebbero potute presentare. Continuò imperterrita a suonare quell'estenuante musica fin quando le mani non le si pietrificarono. Le labbra presero la forma di una curva quasi impercettibile, gli occhi le si ingrandirono e furono attraversati da una scintilla, e il volto, per la prima volta in quella giornata da quando aveva cominciato a suonare, si era illuminato di una vivida energia. Un sassolino aveva colpito la sua finestra. La speranza cominciò a farsi spazio dentro di lei. Un secondo leggero rumore si levò. La consapevolezza si fece sempre più consistente. Il terzo colpo batté sul vetro e Petunia ora era sicura che si trattasse della sua amica. Si concesse un respiro profondo prima di avvicinarsi alla finestra. La verità era che non era pronta. È vero, aveva passato gran parte del suo tempo a dedicare la sua attenzione a questo avvenimento, aveva odiato l'attesa, aveva smania di ricevere una risposta, ma ora che si stava presentando realmente l'occasione, il timore stava prendendo il sopravvento. Trattenne il fiato e dopo qualche secondo lo rilasciò facendosi coraggio. Percorse la distanza a passi lenti e controllati, ma appena prima di ricevere la sua amica, fu interrotta da un richiamo. <Petunia> chiamò Gaspare con fare minaccioso. Si raggelò sul posto, incapace di reagire. Il padre aveva pronunciato quelle parole a denti stretti e con un suono gutturale che metteva i brividi. La voce era lontana perché proveniva da un'altra stanza, ma subito dopo dei passi le suggerirono che suo padre stava per fare una visita nella stanza della musica. Con il cuore in gola, dopo un momento di tensione muscolare, fece uno scatto verso lo sgabello del pianoforte. La maniglia scattò impetuosa rivelando un'uomo austero dall'aria sinistra. Per un attimo il vetro della finestra sembrò tremare tanta era stata la foga con cui la porta era stata aperta. <Petunia> ripetè nuovamente con tono duro. Lei deglutì pesantemente e si voltò molto lentamente verso suo padre. <si papà> le uscì in un sussurro timido.
<come mai hai smesso di esercitarti?> chiese con la calma che solitamente hanno gli infervorati prima di esplodere. <avevo sbagliato accordo> mentì puntando il suo sguardo sul pianoforte. Non ce la faceva a sostenere il suo. <e come mai hai sbagliato?> chiese lui pronto per accanirsi su di lei successivamente.
<perché la sto provando troppe volte e quindi dopo un pò-> rispose ma non fece in tempo a finire. In poche falcate Gaspare aveva raggiunto la figlia e la sua mano aveva bruscamente colpito il legno del pianoforte. Il tonfo rumoroso, che aveva provocato con quel gesto dettato dalla rabbia, fece sussultare Petunia che rimase con il fiato sospeso senza riuscire più a muoversi.
<la stai provando troppe volte> ripetè lui fingendo di essere pensieroso. Il tono era basso ma tra pochi istanti avrebbe fatto concorrenza all'impeto della manata poco rassicurante. Lei non si azzardò a dire nulla. <se l'avessi davvero provata per troppe volta ora la eseguiresti perfettamente! E invece no, guardati. Sbagli come una dilettante> urlò indignato. Il volto gli si dipinse di rosso e la vena sulla fronte si gonfiò. La finezza non era di certo il suo forte. Petunia sussultò e strizzò gli occhi. Nonostante non lo vedesse direttamente, dal male all'orecchio destro poteva percepire la sua presenza al suo fianco. Incombeva su di lei come un gargoyle sporgeva da una cattedrale gotica: inquietante e rabbioso. <se sbagli poi gli altri non ti considereranno più perfetta Petunia, e tu rovinerai anche la mia reputazione. Cresci e datti una svegliata> continuò crudele. Lei ancora non disse nulla. Voleva lasciargli il tempo di calmarsi, solitamente succedeva così dopo il picco. Accadevano spesso queste dimostrazioni di disprezzo, ormai ci era abituata, sapeva alla perfezione come andava.
<lo sai cosa succede se sbagli. A tuo rischio e pericolo> la avvisò tornando al tono basso e minaccioso. Lo sapeva cosa sarebbe successo e non le piaceva affatto. Non si riferiva più all'impressione che avrebbe fatto sugli altri, ma a ciò che Gaspare le avrebbe fatto passare.
<riprendi poppante> le disse prima di lasciare la stanza sbattendo la porta. Tentò di deglutire ma aveva un groppo in gola. Le veniva da trattenere il respiro, di quelle inspirazioni che venivano naturali prima del pianto, che favorivano le lacrime e preparavano il corpo ad essere scosso da singhiozzi. Pianse in silenzio, cercando di trattenersi per evitare di destare l'ira di quell'uomo incapace di darle affetto. Pianse a causa del limite che le era stato imposto sulla libertà, a causa della frustrazione, della stanchezza, della rabbia. Pianse perché non poteva sfogare la sua demoralizzazione verso l'oggetto che l'aveva provocata. Era inerme. Succube di una realtà che non era conforme alle sue inclinazioni ed interessi. Il bussare sul vetro sviò la sua attenzione dai pensieri negativi. Non poteva essere Gaspare perché lui sarebbe entrato senza chiedere il permesso, e inoltre il rumore proveniva dalla finestra e non dalla porta, quindi non poteva che essere Angela. Quasi se ne era dimenticata. Voltò la testa verso il vetro e la scorse chinata sul piccolo terrazzo intenta a nascondersi. Petunia si asciugò le lacrime con le maniche della felpa e annullò a passi svelti la distanza che le separava. Fece scattare l'apertura della finestra e le concesse di entrare. Si guardò dal fatto di compiere tutto velocemente in modo che il padre non si insospettisse: doveva ricominciare a suonare il prima possibile.
<io suono, tu dimmi tutto quello che mi devi dire che ti ascolto, almeno copro la tua voce e nessuno si accorgerà della tua presenza> la avvisò sbrigativa appena prima di riprende quel lamento pianistico. L'amica annuì e si limitò a sedersi al suo fianco sullo sgabello bianco.
Era arrivato il momento in cui Angela doveva dare prova della sua affidabilità. Petunia l'aveva incaricata di scoprire un'informazione per lei indispensabile riguardo una persona di grande influenza nella sua vita: Sebastian. L'unico spiraglio di luce presente nella sua vile esistenza limitata. Lo amava. Non ne era sicura in verità ma sosteneva che fosse così, doveva essere così, altrimenti non avrebbe saputo spiegare il tormento di pensieri rivolti a lui ogni volta che non era in sua compagnia. La perseguitava l'idea di non poterlo avere, era qualcosa di inafferrabile, proibito, e perciò automaticamente intrigante. Biondo, alto, fisico scolpito, tanto bello quanto dannato, il contrario di Petunia, ciò che lei sosteneva servisse a completarla. Insieme formavano un'antitesi: lei dolce, raffinata, timida, gentile, mentre lui era rude, sicuro di se, egoista e di carattere forte.
<ha detto che ti vuole vedere> parlò piano Angela.
Non si guardavano le due amiche, entrambe avevano lo sguardo rivolto di fronte ai tasti bianchi e neri, ma nonostante quello, ambedue poterono captare l'entusiasmo reciproco dal comportamento. Angela nonostante avesse usato un volume basso, lasciava trapelare la sua eccitazione attraverso l'utilizzo di un tono acuto e secco, mentre Petunia riversò il suo appagamento nella rappresentazione pianistica che prese ad essere viva ed energica. Angela a dire la verità era felice perché sapeva che ciò avrebbe giovato alla sua amica, ma non per la situazione in se, non le andava a genio quel ragazzo. Per Petunia invece era tutto il contrario.
Era una notizia straordinaria. Sebastian non era una persona tanto accessibile. Era sempre lui a decidere, se non si stava alla sua volontà non indugiava ad escludere dalla sua vita, se non andavano a genio le sue scelte era impossibile persuaderlo, insomma era una persona non disponibile a scendere a compromessi, o si faceva come voleva lui o non si arrivava ad una conclusione positiva. Con lui tutto era imprevedibile. Petunia la vedeva così, come uno stimolo costante, e non come un sottostare alla volontà di una persona ingiusta come in realtà la sua condizione era. Attendeva ansiosamente il momento in cui lui si faceva vivo per esprimere la sua volontà. Non aspettava altro. Quegli intervalli di tempo segnati dall'ansia di ricevere una risposta, fruttavano in momenti come questi, in cui la felicità regnava e l'attesa ne valeva la pena.
<puoi andare a casa sua venerdì sera> le rivelò. La musica si intensificò grazie alla foga che Petunia impiegò nel suonare. Venerdì era il giorno seguente, e sarebbe stato perfetto perché avrebbe giustificato la sua assenza dicendo che andava a provare in chiesa.
<era abbastanza contento mentre me lo comunicava> aggiunse per rincarare la dose di entusiasmo dell'amica. Ancora però trapelava una certa malinconia.
Petunia non rispose perché non riusciva a parlare sopra la musica visto che non era un'accompagnamento quello che stava eseguendo, perciò non era semplice e non poteva più concedersi di sbagliare.
<ma ora parliamo di cose serie> le chiese Angela. La risposta di Petunia fu sempre attraverso una comunicazione non verbale: il volto le si increspò di una smorfia confusa visto che non capiva a cosa l'amica stesse alludendo. Scosse la testa incitandola a parlare.
<stavi piangendo Petunia> disse con sconforto ma anche un pizzico di rimprovero. Petunia si perse per un attimo nei suoi pensieri, rinviandoli a poco prima, ma appena sbagliò la nota e sentì un suono stonato, riprese il controllo.
<ti tratta male Gaspare. Non puoi continuare così> affermò preoccupata.
Petunia rispose con un'alzata di spalle, facendo capire che ormai ci era abituata e faceva sempre meno male ricevere quel tipo di trattamento.
<ti stai rifugiando in delle illusioni, non si affrontano così i problemi. Quando lo capirai?> chiese. <Sebastian non ha nemmeno il coraggio di venire a parlarti di persona perché vuole farsi desiderare. Deve avere sempre lui le redini e da per scontato che tu sia sempre a sua disposizione. Ti stai affidando a lui perché hai bisogno di affetto ma lui non è capace di dartelo> disse Angela con tono drammatico. Sia il volume della voce che del pianoforte aumentarono impetuosamente. L'aria nella stanza si era fatta più tesa ma era anche ricca di sincerità: entrambe stavano esprimendo la loro antitetica opinione. Petunia non poteva rispondere e questo la fece irrigidire di rabbia. Era una persona pacata, non capitava spesso che si lasciasse trasportare dalle emozioni, ma con Angela, che era praticamente l'unica persona con cui sfogarsi, non si era mai posta limiti.
Petunia sospettava che Angela disprezzasse Sebastian. Non glielo aveva mai chiesto però perché non voleva farsi rovinare l'affascinante visione che aveva di lui, era convinta che gli avrebbe attribuito aggettivi sgradevoli e le avrebbe fatto cambiare punto di vista in modo da notare la parte negativa. La sua paura ora era divenuta reale. Sebastian non la meritava, ne era consapevole, ma comunque non riusciva ad attenuare il forte sentimento che provava nei suoi confronti. L'amore non si può controllare. Non voleva sentirsi dire quelle cattiverie perché si sarebbe sentita ulteriormente sbagliata: innamorata di una persona che non la rispettava nemmeno, imbarazzante. Infondo lo sapeva, ma aveva scelto di ignorare quel fardello per concedersi una parvenza di felicità. Gli incontri con Sebastian erano una delle poche cose che le davano la spinta per andare avanti. Gli altri due elementi importanti nella sua vita erano Angela e il pianoforte, ma il rapporto era diverso, con Sebastian tutto era forte, vero, magico.
<non andare da lui venerdì> la supplicò Angela. Aveva affievolito il tono. Non era un'ordine ma una richiesta, solo che a Petunia arrivò come una minaccia. Un'altra persona che le voleva togliere la libertà.
Fece finta di non aver sentito e si concentrò sul pianoforte. La sinfonia stava per terminare, eseguita quasi perfettamente con una dinamica estremamente accentuata grazie all'immissione delle emozioni. Angela non poteva controllarla. Petunia, per mezzo dell'amore, avrebbe compiuto sforzi immensi, azioni folli, affetto smisurato, e nel suo operato di certo non rientrava privarsi di Sebastian, perciò la richiesta dell'amica era totalmente non condivisa. Nessuno l'avrebbe distolta dai suoi intenti.
<mi hai sentito?> ripetè lei allarmata. Volse il capo verso l'amica in cerca di cogliere una qualche reazione. Stavolta Petunia annuì.
<e che intendi fare perciò?> chiese trattenendo il fiato in ansia. Davvero pensava che Petunia si sarebbe lasciata condizionare così facilmente? Aveva una dignità lei. A Gaspare non poteva disubbidire perché aveva controllo su di lei, ma Angela...poteva consigliarle, giudicare, capire, ma non imporle le cose. Si rifiutava di eseguire ciò che gli altri le chiedevano. La sua vita era già abbastanza controllata e limitata per aggiungere un'altro burattinaio che muovesse Petunia la marionetta come più preferiva. Voleva vivere la sua vita attraverso la sua volontà e la sua inclinazione, riempire quel poco di libertà che le rimaneva con le sue personali scelte, attuare ciò che la potesse portare alla felicità di cui solo lei conosceva l'essenza. Angela non sapeva cosa Sebastian era capace di farle provare, non aveva idea di che energia immettesse in Petunia, e di certo non conosceva le conseguenze di una eventuale privazione. Sarebbe stato disastroso. Petunia lo ne era certa, ed era anche certa del fatto che Angela non avrebbe potuto capire, e che se le avesse rivelato di voler fare il contrario di ciò che le era stato richiesto, avrebbe insistito affinché cambiasse idea. L'unica soluzione era mentirle. Prese un grande respiro, compì le ultime note della composizione e con le mani ancora sul pianoforte si sforzò di parlare. La voce uscì grattata e debole visto non aveva parlato per gli scorsi minuti, ma finalmente un: <non ci andrò> le uscì dalla labbra.
Non la guardò in faccia, già si vergognava per averle mentito, non voleva sentirsi ulteriormente in colpa fissando Angela che le credeva e si fidava di lei.
<grazie Petunia, fidati non te ne pentirai> disse stampandole un bacio sulla guancia e filando via dalla finestra. Si dileguò perché sapeva che se Gaspare l'avesse beccata sarebbero andate entrambe nei guai. Oltretutto era passato fin troppo tempo e avevano anche terminato la conversazione. Petunia non poté nemmeno fermarsi a riflettere che dovette ricominciare a provare. Riprese.
Le dissonanze pianistiche risuonarono nella stanza come delle minacce, la sinfonia si era fatta tormentata e tesa, la dinamica rifletteva l'animo scisso della piccola immatura Petunia.
Ancora non sapeva che quello di ignorare i consigli di Angela sarebbe stato un errore, ma presto lo avrebbe scoperto, e non in modo piacevole.

Diabolus in musicaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora