Cap. 1 - Uno strappo dalla monotonia

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Parole: 2417

Un mese. Edoardo non vedeva i tetti di Siena da un mese. Ormai le scuole stavano iniziando a spalancare i cancelli e lui, non solo non si era iscritto da nessuna parte, ma non si era ancora abituato ai grigi cieli della pianura padana. Non aveva nemmeno osato parlare con i suoi coetanei che popolavano Montesiro, non che il paese dove si era trasferito con la sua famiglia. Gli pareva che avessero tutti il volto corrucciato in un'espressione imbronciata e, se a Siena tutti erano amiconi di tutti, lì si formavano dei gruppetti orribili che si sparlavano alle spalle a vicenda e deridevano gli esclusi, come lui. Non parlava con anima viva all'infuori della cerchia che comprendeva tutti quelli con cui possedeva un legame di sangue, cioè i suoi genitori. Nonostante ciò sua madre continuava ad assillarlo. Voleva che lui uscisse, voleva che lui si facesse degli amici, voleva che si integrasse nella società e voleva persino che iniziasse a dimenticare la sua città natale. La faceva stare male il fatto che lui ogni sera iniziasse un solitario monologo in stile shakespeariano basato su Siena, perché, in fondo, anche a lei il trasloco pesava non poco. Edoardo voleva urlarle in faccia che i fatti, se nascosti, non sparivano, ma peggioravano. Tuttavia non poteva. Quella donna lunatica era pur sempre sua madre e, se le avesse risposto in malo modo, due schiaffi in pieno volto non glieli avrebbe tolti nessuno. Così uscire per una passeggiata in campagna non gli dispiaceva nemmeno molto. Si portava gli auricolari alle orecchie, chiudeva gli occhi e si isolava dal resto del mondo. Tornava, seppur solo con l'animo, alle trattorie senesi, agli accalcamenti dei bar per chi si sarebbe accaparrato l'aperitivo migliore e alle litigate tra i vicoli più dispersi della città a cui assisteva quotidianamente. Le sue giornate si facevano però man mano sempre più monotone. Si svegliava alle undici, pranzava con del cibo accuratamente servito da suo padre, litigava coi i suoi genitori, usciva o veniva cacciato momentaneamente di casa, tornava per cena e si coricava. 

Finché un giorno tutto cambiò. Quel 27 Agosto fu una data a dir poco fondamentale e che segnò a pieno il corso della sua vita. Fu come una secchiata d'acqua gelida nel bel bezzo di un deserto, una luce in un tunnel di oscurità, un arcobaleno in un mondo dalle sfumature grigiastre.

Quel pomeriggio era un normalissimo giorno come gli altri. Edoardo camminava a passo lento, scortando l'ambiente circostante. Lanciando uno sguardo alle case, ai cani, ai boschi e procedendo a passo costante era giunto all'oratorio del paesino, rigorosamente cattolico. Quello era l'unico posto che non gli scaturiva quel sentimento di ribrezzo che gli comportava tutto l'ambiente circostante. Il barista, seppur calvo, era dotato di una professionalità e gentilezza fuori dal comune ed Edoardo lo apprezzava, sebbene sapesse che lo scopo dietro a quelle false moine fosse solo quello di accaparrarsi quanti più soldi possibili dalle sue tasche. 

-Cosa desidera oggi signorino? -. Chiese con tono affabile il pelato, sfoggiando un sorriso smagliante a fior di labbra.  

-Il solito, grazie infinite. -. Ricambiò la gentilezza Edoardo, accennando persino lui un sorrisino. Sul bancone non tardò a comparire un crodino analcolico. Sebbene l'alcol gli piacesse, non desiderava tramutarsi in un barbone alcolizzato e, date le sue condizioni, era possibile. Lasciò i soldi sul bancone e, con un cenno della mano, si allontanò dal locale, finendo nel cortile dell'oratorio. Ora che ci pensava, quel posto era un po' triste. Non erano presenti parco giochi o nient'altro di interessante: solo un misero campo da calcio con delle tribune laterali fatte di cemento. Fortunatamente almeno lì della vita era presente. In quel momento dei marmocchi di nove o dieci anni si stavano affrontando in una affiatante partita. Edoardo prese posto su una delle gradinate, tanto non aveva niente di meglio da fare. 

Casacche gialle erano in vantaggio. Tra di loro era presente un ragazzino che sfrecciava come un fulmine tra le magliette verdi avversarie, padroneggiando il pallone come pochi altri erano in grado di fare. Edoardo fu in grado di capire che  giocava nel ruolo di attaccante. Tuttavia, nonostante le notevoli capacità di gioco, non era in grado di tenere unite le redini della squadra. Per lui la partita era un tutti contro tutti, infatti ogni tanto spintonava anche i suoi compagni, venendo penalizzato. 

(Non) mi chiamo AchilleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora