La lapide del colpevole

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Il bosco intorno a Victor era strano.

Una spessa nebbiolina all'altezza delle caviglie inghiottiva il suolo, arbusti spinosi spuntavano da quel mare grigiastro come isolotti sperduti. Gli alberi, spogli e senza vita, erano cadaveri abbandonati alla voracità delle piante rampicanti, uniti in un'unica muraglia tenebrosa.

Una lunga strada tagliava la foresta in due, una via incidentata e difficile da praticare, tanto che le piastrelle che la pavimentavano erano in più punti mancanti o divelte, mentre ai lati del sentiero crescevano erbacce e cespugli che ne assediavano in confini in pietra.

Come fosse arrivato in quel luogo, Victor non lo sapeva proprio, ma in ogni caso poco gli importava.
L'unica emozione a cui poteva dare adito in quel momento era una sola: si sentiva braccato.

Non ricordava esattamente ciò che aveva fatto fino a quel momento di quel giorno assurdo. Purtroppo, la monotonia della vita di un dipendente di una grande catena di montaggio non aiuta certo a farti assaporare il tempo.

Proseguendo più rapido che poteva per l'accidentata strada, senza mai guardarsi indietro, Victor lottava contro la fatica, incespicando e ansimando. Non solo aveva perso la cognizione del tempo, ma gli riusciva impossibile capire persino che ora fosse.
Il cielo plumbeo nascondeva ogni traccia del Sole e soltanto una penombra macabra alleggiava sulla selva.

La sua memoria sembrava non evocare altro che un lungo buio, che separava la sua normale e mediocre vita e l'inizio di quella corsa sconclusionata nella foresta.
Quando le prime gocce di pioggia bagnarono il suo viso, si distrasse per un'istante. L'ennesima piastrella lo fece precipitare a terra. Si rialzò prima che poté, dolorante e si voltò in cerca del mistero da cui fuggiva.

Dietro di lui, non c'era che la lunga strada pavimentata, che si perdeva fino all'orizzonte, svanendo nella macchia scura che era la foresta.

Da quanto tempo stava camminando?

Apparentemente, quel sentiero si estendeva quasi all'infinito. In lontananza non vedeva grattacieli o palazzi e questo era davvero strano.

Ricordava che era entrato a Central Park, deciso ad accorciare la strada dato il tempo minaccioso. Eppure, la città che con le sue svettanti guglie di vetro e acciaio circondava il grande giardino, sembrava svanita.

La pioggia iniziò a cadere più fitta. L'immobilità non avrebbe giovato e Victor fu costretto a ridestarsi dai suoi pensieri.

Fece un solo passo, bloccandosi nuovamente. Non ricordava affatto in che direzione stava correndo fino a quel momento! Stava tornando indietro o stava continuando per la strada già intrapresa?

La nebbia si faceva più fitta e l'oscurità cominciava ad avvolgerlo, l'isteria de suoi pensieri si aggiungeva all'angoscia che a fatica riusciva a contenere.

Gli dolevano i piedi, doveva aver camminato da almeno... fece per guardare l'ora, ma con grande dispiacere, fissò un polso vuoto. Il suo orologio non c'era più! Guardò intorno a sé, certo che fosse caduto proprio dove era inciampato, ma la nebbia rendeva difficile ogni ricerca.

Poteva averlo perso proprio lì o forse lo aveva lasciato... dove era stato prima.

Chiuse gli occhi, cercando di ricordare, ma soltanto il vuoto apparve nella sua mente.

Frustrato, bagnato e spaventato, si rimise in marcia. Ad ogni passo, la nebbia sembrava alzarsi e farsi sempre più fitta. Ben presto, Victor nuotava in una coltre di fumo.

Dopo chissà quanto tempo, a lato del sentiero comparve un muro di mattoni di colore scuro, talmente alto che si perdeva in quella bruma inquietante, non permettendo di intuire quanto in alto svettasse.

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