IL LABIRINTO DELL'ESISTENZA

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Nella terra in cui sorgeva la rocca di Priamo nei secoli passati, ora regnava il deserto. Sotto le rovine della città si diceva fosse nascosto il tesoro di Troia, da molti cercato ma mai ritrovato da nessuno. In questa impresa si gettò anche Febe, un giovane proveniente dalle terre del nord dei Balcani. Era un viaggiatore, con il suo cavallo era abituato a viaggiare per i territori ai confini del mondo, del suo mondo, facilitato anche dal fatto che non aveva una famiglia. Il deserto in cui poteva trovarsi il tesoro era molto vasto, e per potersi meglio avvicinare Febe ascoltò alcune descrizioni del luogo dategli dagli abitanti della città confinante con quella zona torrida. Dopo aver viaggiato, saltando la descrizione del momento dell'accurata ricerca, raggiunse una zona abbastanza diversa dal resto del deserto: il terreno era mosso, e questo stava a significare che altri avevano provato a scavare in quella zona, e questo fu l'indizio principale. Febe scese dal cavallo, afferrò una vecchia pala conficcata nel terreno e iniziò a scavare in profondità in più punti. Inizialmente scavò dove altri non avevano messo mano, dato che se nessuno aveva trovato il bottino fino a quel momento significava che non ci sarebbe stato nulla, ma dopo aver scavato per diversi metri in varie zone, dovette provare anche lui a scavare nelle zone in cui gli altri avevano già provato a cercare. Ad un certo punto, la pala colpì qualcosa di molto robusto, e così decise che avrebbe scavato in quella zona. Riportò alla luce quella che sembrava essere una tavola in marmo, un' epigrafe su cui erano incise alcune parole:"Τα πέρατα του κόσμου είναι οι περίβολοι του μεγάλου λαβύρινθου στον οποίο είμαστε εγκλωβισμένοι. Όταν τα φτάνουμε αυταπατούμε ότι είναι τείχη ιδιωτικών χώρων ή κατοικιών και δεν προσπαθούμε ποτέ να τα διασχίσουμε. I confini del mondo sono la recinzione del grande labirinto in cui siamo intrappolati. Quando li raggiungiamo ci illudiamo che siano muri di spazi privati o residenze e non tentiamo mai di attraversarli". Oltre a questa strana frase, alla fine ce n'era anche un'altra scritta in dialetto ionico, che però Febe non conosceva. Dimenticandosi dei leggendari gioielli che stava cercando si iniziò ad interrogare su quello strano significato, sul fatto che, nonostante passino inosservate, molte barriere naturali siano i confini del labirinto in cui siamo rinchiusi, quel labirinto che chiamiamo "mondo", almeno secondo la descrizione dell'epigrafe. Così decise di partire verso quei confini di cui la tavola in marmo troiana parlava, senza alcun tesoro, col suo fidato cavallo. Poco tempo dopo raggiunse il primo dei villaggi al confine col deserto. Si fermò a chiedere informazioni, e quando si rese conto di trovarsi in Ionia decise di farsi tradurre l'ultima frase incisa sull'epigrafe, che aveva portato con sé. Molte persone però si resero subito conto che si trattava di ionico antico, una lingua sconosciuta alla maggior parte delle persone che spesso conoscevano soltanto gli anziani, così gli venne detto di avvicinarsi di nuovo ai confini della Ionia, verso il deserto, nella zona in cui stavano le antiche tribù. Febe ascoltò il consiglio e riprese il viaggio sui suoi passi. Passò per molte tribù ma nessuna era più in grado di tradurre quella lingua antica, finché non arrivò all'ultima, quella che segnava il confine col deserto. Era ormai l'ora del tramonto, per cui chiese di poter passare lì la notte. Dopo cena Febe si sedette di fronte al fuoco con l'anziano più vecchio e saggio della Ionia. Si misero a parlare di viaggi, poi, al momento opportuno, Febe tirò fuori l'epigrafe e gli raccontò di ciò che aveva scoperto, e il vecchio allora rispose: <<Nella mia vita sono stato guidato dalle stelle innumerevoli volte nei grandi viaggi, ma non avevo mai sentito parlare prima di questo "labirinto" dentro a cui siamo chiusi. Tutto ciò mi fa pensare che viviamo in una scena teatrale, che forse ci siamo costruiti da soli in una realtà ben diversa da quella che vediamo. Questa epigrafe è la prima e forse l'unica che vedrò, è unica nel suo genere>>. A quel punto Febe arrivò al nocciolo della questione, domandandogli cosa ci fosse scritto nelle ultime due righe, e l'uomo: <<C'è scritto:"Οι ίδιοι οι θεοί είναι παγιδευμένοι, όπως οι άνθρωποι, στον λαβύρινθο. Έξω από εδώ η μοίρα βασιλεύει. Gli dèi stessi sono intrappolati, come gli uomini, nel labirinto. Fuori di qui regna il destino">>. Così Febe gli spiegò che aveva intenzione di partire alla scoperta di ciò che stava fuori, e allora il vecchio gli consegnò una pergamena in cui il giovane avrebbe dovuto scrivere tutto ciò che gli sarebbe accaduto e tutto ciò che avrebbe visto, e riportargliela alla fine del suo viaggio. All'alba del giorno seguente Febe partì col suo cavallo, uscì dalla Ionia e si diresse ai confini del mondo. Mentre viaggiava, pensava cosa volesse dire la frase tradotta la sera precedente, quella che diceva che gli dèi erano intrappolati lì, non erano stati loro a creare tutto? Forse il potere divino non usciva dai confini del labirinto, forse tutto ciò che si può immaginare esiste soltanto dentro al labirinto. Nei giorni seguenti attraversò mari e monti, oltrepassò muri di case, siepi, confini, inseguì gli animali sacri, ma nulla sembrava condurlo ai confini del labirinto. Col tempo e l'esperienza imparò anche a distinguere i "falsi confini" come le colonne d'Ercole, da quelli che stava veramente cercando. Una mattina, mentre attraversava un bosco a passo lento sul cavallo, quest'ultimo fece qualcosa di strano: improvvisamente invertì la rotta, e nonostante Febe gli di desse continuamente l'ordine di proseguire diritto, l'animale non ne voleva sentir ragione, e ogni volta cambiava direzione. Allora il giovane, che non capiva il comportamento del suo fidato amico, scese dalla sella e si guardò intorno per capire cosa non andasse. L'occhio gli cadde su un albero vicino, in cui un gruppo di formiche si stava dirigendo nella stessa direzione in cui il suo cavallo voleva andare. Anche gli uccellini, le farfalle, una lepre, tutti gli animali, evitavano di dirigersi verso una determinata zona, compreso il suo cavallo, e tutto ciò non sembrava avere una precisa ragione. Effettivamente però, anche il suo istinto umano gli diceva di andare ovunque meno che là, in quella direzione, ma nel suo caso, essendo un uomo, prevalse la ragione, per cui si avviò da solo da quella parte. Poco più tardi si trovò di fronte ad un'altra siepe che gli sbarrava la strada. Era una normalissima siepe, una come tutte le altre che aveva visto nel suo viaggio. Decise comunque di abbatterla, ricordando la ragione per cui si trovava lì. Una volta abbattuto il muro di foglie, si trovò di fronte ad un paesaggio mai visto prima: quasi come se fosse stato tagliato da una spada, la siepe divideva il bosco da un'infinita pianura di colore del deserto, senza dune e colline, in cui era notte e giorno allo stesso tempo, in cui regnava un caos cosmico. I pianeti sorgevano e tramontavano continuamente, e c'erano due soli tra le stelle. In un paesaggio così caotico e turbolento, Febe non provava alcun tipo di emozione, né felicità né turbamento, né gioia né angoscia. A quel punto capì cosa significava il fatto che gli dèi fossero rinchiusi nel labirinto. Ogni dio è un sentimento, e lì fuori, fuori dal labirinto di tutta l'esistenza, non c'erano emozioni perché gli dèi, come tutti, erano intrappolati all'interno del labirinto perché invenzioni umane. Là fuori tutto era governato dal destino, l'avvenire degli eventi. Allora Febe si affrettò a scrivere tutto sulla pergamena, poi bendò gli occhi del cavallo e, senza timore o curiosità o altre emozioni, partì verso quel mondo basato sul caso. Camminò per tanto tempo, anche se non era possibile stabilirlo dato che il tempo stesso è invenzione umana, e tutto ciò che è invenzione umana non esiste fuori dal labirinto. Alla fine raggiunse di nuovo la siepe, forse dall'altra parte del mondo, e rientrò nel labirinto, in cui potè di nuovo percepire i suoi sentimenti. La prima emozione che provò per quel luogo fu l'angoscia, quindi tornò a Troia, e ripose l'epigrafe per paura che altri la potessero trovare e vivere quell'esperienza, ci fa tutto così paura fuori dal nostro finto mondo. Dopodiché tornò al villaggio per riportare la pergamena all'anziano, ma questo nel frattempo era morto, probabilmente Febe aveva trascorso anni fuori dal labirinto senza accorgersene, visto che fuori il tempo non esisteva. Così decise di lasciare la pergamena alla sua tribù, dicendo di non aprirla mai. Tempo dopo gli comparve in sogno proprio l'anziano con cui aveva parlato con lui. Questo potè finalmente rivelargli che tutto era stato costruito dai bisogni umani di vivere in un mondo finto, ma ormai nessuno poteva più rendersene conto, per questo veniva trattato come il mondo reale, e tutte le umane invenzioni, come il tempo, gli dèi, e tutto il resto, esistevano soltanto all'interno del labirinto. Quell'epigrafe da molti rifiutata era il vero tesoro di Troia, il lume della verità, la nostra finta realtà.

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