"Io voglio essere una giornalista" dissi con voce sicura davanti a tutta la classe. "Una reporter, per essere precisi".
A quel punto molte mani, e molte voci scatteranno, e fui sommersa di domande. "Qual è la differenza?" Chiese il buffone della classe. "Ma lo sai che è un lavoro che esiste solo nei film?!?" Commentò acida la pettegola senza nemmeno girarsi verso di me e continuando a limarsi le unghie. Tutte le altre domande erano molto simili. Alzai gli occhi al cielo: <Non sono neanche in grado di formulare domande diverse fra loro, mentalità chiusa e ristretta è un eufemismo...> pensai esasperata.
Cercai con lo sguardo la mia migliore amica Laura, seduta nel nostro solito banco in fondo all'aula, nell'angolo. Si era persa nei suoi pensieri, e faceva degli scarabocchi sul banco, ma avvertì il mio sguardo e mi guardò, gli occhi un po' assonnati per la noia. Alzò la mano verso la testa, facendo segno con le dita di puntarsi una pistola alla tempia, un gesto che indicava, oltre che il "mi sparo" anche un "lascia perdere non vale la pena". Sollevati anch'io due dita, per dirle di non preoccuparsi, per poi ricordarmi di essere ancora di fronte a tutti i miei compagni e che loro non avrebbero capito. Mi scosta il ciuffo dalla fronte, fingendo che quello fosse stato esattamente il mio obiettivo.
Risposi ad un altro paio di domande, aiutata dal professore di classe, che chiuse la situazione relativamente in fretta. Mi ringraziò, mandandomi a sedere e chiamando il prossimo compagno.
Mi sedetti scompostamente sulla sedia, sbuffando. Accanto a me, Laura fece una risatina, tappandosi la bocca per non farsi sentire dal professore, e poi mi passò una caramella da sotto il banco. Me la infilai in bocca, e poi risi, perché quel gesto era ormai diventato un'abitudine da quando avevamo legato.La lezione finì poco dopo, e io e lei ci avviamo verso casa a piedi, nonostante il freddo. "Oi Lauu tu invece cosa vuoi fare?" Le chiesi, utilizzando il soprannome abituale. "Soo, prometti di non ridere?" Chiese, guardandomi seria. Io la rassicurai, così lei disse che voleva fare la pilota. Cercai di interpretare il suo sguardo, ma non capii perché mi avesse fatto quella richiesta. "Mi sembra una bella idea" le dissi "non vedo perché dovrebbe far ridere". "Non lo so" rispose "ma mio padre mi ha presa in giro, mi ha detto che non sarei mai in grado di diventarlo."
"Ave Maria" commenta seccata, sapendo che lei, anche se non lo mostrava, ci soffriva "nè lui, non nessun altro può dirti cosa devi fare del tuo futuro. Vuoi essere una pilota? Bene! Vuoi far parte della C.I.A? Ottimo! Vuoi diventare una giardiniera? Anche meglio! Ma tu sei perfettamente in grado di farlo come chiunque altro, perché, come hai detto tu quella volta a latino, alla fine veniamo tutti da due fottute scimmie."
Lei rise. "Sai una cosa? Hai ragione, ma stai urlando come un cazzo di megafono". Risi anch'io, e mi cacciai le mani nelle tasche del cappotto beige e ripresi a camminare al suo fianco.~
Mi scuoto dal flashback che indossare quello stesso cappotto ha causato. C'è lo stesso freddo di quel giorno di dicembre di dieci anni fa, accentuato però dalla pioggia. <Chissà se è poi riuscita a diventare una pilota> mi chiedo. Non vedo Laura da anni ma lei è ancora importante per me. <Spero che anche lei mi pensi ancora ogni tanto>.
Qualcuno mi mette un braccio sulle spalle da dietro. Mi giro ed è Riccardo, con il suo solito sorriso malizioso. "Allora, dove vai di bello vestita così elegante?" Mi chiede. Ripenso al mio abbigliamento, ai pantaloni beige e alle scarpe nere in tinta con il maglione. "A me sembra di essere vestita normalmente..." "Ma chi vuoi ingannare Sofi?" Mi domanda scherzoso. Sa che quel soprannome mi da molto fastidio, anche se non gli ho mai spiegato il perché.
Ci avviamo assieme verso la redazione, quando il mio telefono comincia a squillare. Rispondo, e sento la voce del mio capo: "Avresti il tempo di fare un salto in quel negozio in cui si ritrovano tutti i giovani ultimamente? Avrei bisogno di un articolo tranquillo, magari puoi intervistare il proprietario." Accetto, anche perché non ho voglia di tornare a casa, e spero che Riccardo mi accompagni, la sua presenza è piacevole. Per fortuna lui si offre di venire con me, e i suoi racconti riempiono il silenzio, senza essere troppo invasivi.
Ad un tratto si blocca davanti alla pista in cui si sono allenati tutti i nostri campioni automobilistici. Mi guarda implorante: "Possiamo entrare?" Mi chiede, quasi supplichevole. Penso che in effetti può essere interessante intervistare uno dei piloti, per fare un articolo un po' ad effetto da affiancare a quello del negozio. Entriamo, non abbiamo bisogno di pagare, avendo il Pass da reporter. Riccardo è esaltato, e devo ammettere che anche io sono felice.
Sto per scattare qualche foto, ma nell'estate momento in cui alzo la macchina fotografica, sentiamo un orribile schianto. Il direttore della pista scatta verso l'origine del rumore e anche noi lo seguiamo, senza mollare le nostre cose. Ci fermiamo davanti ad un'auto distrutta; gli operai alzano quello che ne rimane, rivelando una figura femminile fin troppo familiare. La mia macchina fotografica si schianta a terra, la pioggia che penetra nei suoi meccanismi, e anch'io cado in ginocchio, senza curarmi dei miei vestiti, che si inzuppato con l'acqua mescolata al sangue. Mi abbasso verso di lei le lacrime che scorrono copiose. Intorno a me sento le persone urlare e chiedere aiuto ma a me non importa, l'unica cosa che riesco a fare è sussurrare "Lauu" più volte, la voce strozzata. La abbraccio, nonostante so che a lei non piace, ma ora non fa più differenza. Accanto a me, Riccardo le afferra il polso, e poi urla "Non ha battito!" A quel punto perdo la ragione. Comincio a urlare, e quando qualcuno cerca di allontanarmi da lei mi scanso. Cado per terra probabilmente mi sono rotta la caviglia ma non potrebbe importarmene di meno, io devo stare qui. Un altro operaio tenta di affermarsi, ma così facendo urta la grossa ferita sul fianco di Laura. Il suo corpo ha un sussulto, e vedo il suo petto alzarsi leggermente, respira ma non apre gli occhi. Urlo per chiamare un medico, qualcuno che possa fare qualcosa. Si sentono le sirene in lontananza, ma io sono concentrata solo su di lei. "Stai calma" le dico a voce alta, per tranquillizzare anche me stessa "adesso vengono ad aiutarti." Lo dico molte volte, finché... un sussurro: "Soo, stai urlando come un cazzo di megafono"~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
Angolo autrice
Questa storia è in parte creata da una "discussione" con la mia migliore amica, che mi ha dato l'ispirazione. Prima di scriverla qui l'avevo scritta su un quaderno, molto spesso a scuola, e specialmente durante le ore infinite di Latino✌🏻
Eeee sì, so che non è proprio allegra, ma sinceramente mi piace come è venuta fuori questa storia.
Spero che non sia un completo disastro.
Baci e abbracci, River
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One-Shots
Short StoryStorie ambientate in dicembre (non per forza a Natale) che spero possano venire apprezzate🎄 Alcune sono parzialmente prese da cose successe davvero, altre da scene di film o da canzoni (comunque specificherò meglio a ogni storia) Se siete omofobi a...