UNO

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C'è poca luce, l'aria è pesante, le guance arrossate e bollenti al tatto sembrano emanare vapore denso che mi appanna gli occhi: forse ho la febbre? Penso guardandomi intorno cercando il termometro.
Forse ho l'influenza, ho preso molto freddo ieri, c'era vento, non esistono più le mezze stagioni di una volta è appena Ottobre ma sembra che sia inverno inoltrato e sicuramente ciò risulterà in un fastidiosissimo mal di gola, o un raffreddore, è proprio vero che superati i 18 si iniziano a sentire tutti i dolori..
Quando avevo sedici anni uscivo di casa in piena notte con un misero top estivo senza spalline e lasciavo addirittura il giubbotto -rigorosamente di pelle per qualsiasi stagione- in navetta per risparmiare quei 5 euro di guardaroba, impensabile a quanto pare oggi, pur di mettermi quel corsetto ieri ho rischiato di prendere una polmonite!
Non sopporto neanche più l'alcol economico e mi ritrovo a sopportare hungover pazzeschi, poi finisco di domenica sera a fissare il soffitto che gira e gira, la sensazione di malessere, la fronte calda e-

«Elisa, hai il riscaldamento a 21 gradi e sei sotto le coperte» mi informa Silvia, la mia coinquilina notando il mio evidente disagio, senza neanche alzare lo sguardo dal pc su cui scrive freneticamente.

Non sai mai cosa sta combinando Silvia, lei è una delle poche persone che ho conosciuto all'università, una donna alta, dai capelli castani e riccissimi, dal sorriso dolce ma dagli occhi duri. A prendere coraggio e presentarsi per prima fu proprio lei, il primo giorno del terzo anno durante una lezione di letteratura in cui ero seduta al primo banco -adoravo la professoressa che teneva quel corso- lei che era seduta dietro di me mi toccò delicatamente la spalla con il suo indice ossuto e si presentò, ma io mi ricordavo già di lei, avevo fatto da testimone ad un suo esame il primo anno che superò con un incredibile 30 e lode, dopo però ci eravamo perse di vista ma quel primo incontro ci ha portato a passare infiniti pomeriggi a studiare insieme, altrettanti caffè, risate, cuori rotti, pianti, sbronze, fino alla decisione di condividere un appartamento solo noi due dalla scrittura della tesi della triennale fino alla laurea magistrale, che è arrivata ma da cui io sono rimasta folgorata e non in senso positivo.

Erano mesi che cercavo un lavoro ormai, dopo tutte le notti insonni passate sui siti di annunci, tutti i curriculum mandati alla voce "lavora con noi", tutti quelli consegnati a mano -che finivano prontamente nella spazzatura- l'indomani avrei ricominciato il circolo vizioso senza fine di rifiuti, un pendolo che oscilla tra "le faremo sapere" e "in questo momento non cerchiamo nessuno".

Vivevamo sempre nello stesso piccolo umile appartamento e condividevamo una stanza doppia, dopo la laurea Silvia aveva subito trovato lavoro come social media manager di un ristorante di sushi all you can eat non lontano da casa nostra, 'non molto pertinente a ciò che ha studiato' starete pensando ma, in realtà è una storia buffa: al primo anno nonostante la sua prima lingua fosse l'inglese scelse come seconda proprio il Cinese che aveva già studiato al liceo e che le era piaciuto tanto e siccome Silvia sembra vivere tra una splendida casualità e un'altra, durante la triennale le capitava spesso di fermarsi e passare del tempo in un ristorante cinese sulla strada del ritorno, e siccome l'affitto non si pagava da solo, tra una chiacchiera e l'altra riuscì ad organizzarsi con il proprietario per aiutare suo figlio undicenne con i compiti, tornava a casa sempre con casse -sì, casse, non piatti!- di gyoza che accompagnavano le nostre serate vino, ma soprattutto con soffici, bianchissimi bao a forma di cuore, perché Marco, il cuoco, vedendola tanto spesso e incantato dalla sua personalità sorridente non aveva potuto fare altro se non cadere ai suoi piedi e tentare di conquistarla con ciò che gli veniva meglio: la cucina.
È fu così che il figlio più piccolo era ormai cresciuto e al liceo, ma Silvia non si allontanò mai da lì, né fisicamente, né con il cuore.

Ecco, non posso dire di aver avuto la stessa fortuna, la mia vita non sembra uscita da un romanzo rosa di Felicia Kingsley ma più da uno Stephen King, orrore, sangue, lacrime e disperazione.

Fidati del pane frescoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora