Il silenzio della notte donava a Yokohama un qualcosa di nostalgico, tale che era possibile percepire il peso dell'aria nei polmoni, che schiacciava il corpo di Dazai ad ogni respiro. Ma era anche stupendo, come una camelia che appassiva: morente, ma bellissima.
Quella sera si rigirava nel letto già da ore, cercando di addormentarsi con l'aiuto di alcohol e oppio*. Era un rito che si ripeteva da circa quattro mesi nella sua vita.
Nonostante questo, c'era qualcosa che non gli permetteva di dormire quella sera, troppi pensieri, o troppi fantasmi del passato.
Rinunciò all'idea di dormire e si sedette sul letto: i capelli scompigliati e la fronte imperlata di sudore: ormai era mattina e la luce sommessa filtrava dalle tende, e si fermava sul suo volto stanco.
Le borse degli occhi avevano raggiunto un colore violaceo, il viso era scavato, e lui era dimagrito spaventosamente, le costole e le anche erano ben evidenti, così come le sue clavicole, la spina dorsale, il polso, le dita, facendolo sembrare un cadavere: si dimenticava di mangiare, del lavoro, di lavarsi, di uscire di casa. La sua stanza puzzava di oppiacei e di alcohol.
Passò mezz'ora in quella posizione, seduto sul materasso, guardando Yokohama dalla finestra chiusa.
Sentì il materasso sprofondare accanto a lui e la figura del rosso infranse la monotonia di quel mattino.
Mise a fuoco la vista e sorrise. Era un sorriso flebile, nostalgico, amaro.
Rise e gli abbassò il cappello sul volto, infastidendolo. Si alzò e si diresse alla cucina, avvertendo un dolore allo stomaco: non ingeriva nulla, se non alcohol, da almeno tre giorni.
Si dimenticò della presenza di Chuuya, e non si rese nemmeno conto che pochi secondi dopo lui già non c'era più, come un'illusione temporanea e per lui era normale, andava bene così, bastava vederlo; in fondo era solo un'allucinazione, un po' dovuta agli alcolici, un po' a causa dell'oppio fumato le sere precendenti.
Dopo l'avvenimento, per il moro non era strano avvistare una chioma rossa per casa, e la cosa non lo disturbava, se non di notte, quando fumava da solo. Quella era probabilmente l'unica cosa che davvero gli mancava della sua quotidianità. Le notti spese a scrivere poesie e giocare a trovare sinonimi e contrari** di parole stupide, nell'opacità causata dal fumo, così tanto che faticavano a vedersi i volti; era un po' come se non fosse mai sparito dal volto del rosso, poiché ogni volta che cercava di ricordarlo, una nebbiolina prodotta unicamente dal suo cervello gli oscurava la vista.
Eppure ancora, ogni qualvolta Dazai si sentisse solo l'immagine di Chuuya gli appariva, lo prendeva in giro e spariva di nuovo.
La sera scendeva lenta, un'altra giornata senza presentarsi all'agenzia, nessuno faceva domande, sapevano già la risposta, sebbene lui non l'avrebbe mai data.
Si trovava supino sul materasso, che osservava le grandi finestre dell'appartamento, guardando la città illuminata dai lampioni della strada.
Tutta la città aveva ricominciato a vivere, tutti, eccetto lui. Perché con tutti gli aggettivi con la quale si poteva descrivere il suddetto, "vivo" non rientrava certo tra quelli. Non perché fosse davvero morto, non del tutto almeno, era come se l'unica cosa ad essere collassata fosse la parte relativa alla percezione della realtà del suo cervello, e, se vogliamo dirlo poeticamente -e anche romanticizzandolo un poco- anche il suo cuore.
E come avvolto da un rovo di more il suo corpo si contorceva sotto i dolori della fame, ma la forza fisica per alzarsi e mangiare gli mancava.Si mosse più volte sotto al misero lenzuolo che lo copriva, scosso da spasmi dovuti alla mancanza di cibo, riusciva nonostante questo a vedere flebilmente la stanza.
Vedendo i fiori sul tavolo una lacrima gli rigó nuovamente il volto, riportandolo alla realtà che Chuuya non sarebbe tornato e la colpa era sua. Realtà che venne subito distorta dal suo cervello, che in un vano tentativo di proteggerlo dai suoi stessi ricordi, creò l'immagine del rosso, davanti a lui, in piedi, che osservava in un religioso silenzio le camelie rosse.
La morsa del rovo si allentò "ribelandolo" dal dolore allo stomaco, permettendogli di addormentarsi.
Era buffo: l'unica cosa che sembrava viva in quella stanza erano le camelie rosse.
*: l'elemento dell'oppio era molto presente tra gli scrittori e i musicisti dei tempi di Dazai (lo scrittore)
**: "il gioco dei sinonimi e contrari" è un gioco nominato nel libro -lo squalificato-
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camelie rosse [soukoku]
Fanfictionangsty just read it TW: - death - self harm -hallucinations - suic1de attemps -depression boyxboy