𝑯𝒐𝒑𝒆

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"a 20 anni lasciai il mio villaggio, aggrappandomi a un remoto sogno che, chiunque ne aveva sentito i basamenti, riteneva una follia"

Chel POV

Sono nato in una famiglia di poco conto, i Locke, che godeva di un minimo di rilievo date le gesta di mio padre durante la guerra di spartizione che portò alla frammentazione del nostro mondo.

Sono il medio tra i fratelli, dietro un giovane uomo promettente, quale mio fratello maggiore Cysan e una ragazza dai capelli colore della brina, Conda, il primo destinato ad ereditare quei pochi ma proficui possedimenti in mano nostra e la seconda destinata a sposare un giovane abbiente, figlio di un caro amico di mio padre.

Subito dopo di me era nato il più piccolo della stirpe, Chrisgunth, il cui destino non era ancora stato scritto.

Dal canto mio, la mia predestinazione era quella militare come da desiderio del nostro patriarca che, fin da quando ne ho ricordo, ci teneva a rendermi un soldato modello, nonostante il mio animo non fosse propenso a quel genere di carriera.

Io sognavo di essere un artista, sognavo di decorare le sale di re e nobili con le mie opere e essere ricordato dai posteri, immortalare il mio spirito nei fogli in cui riversavo le emozioni.

Vissi i primi anni nella completa immersione in quei campi sconfinati che erano i territori del sud della Telesian, dove imparai a cavalcare e tirare con l'arco bene quanto le guardie poste davanti al piccolo palazzo dove abitavo, ignaro che il tempo stesse inevitabilmente avvicinando la mia vita a un cambiamento drastico.

Appena compiuto circa 8 anni festeggiammo l'unione di mia sorella al giovane erede della famiglia Hel, decisamente più ricca di nostra e composta da sei membri che raggiunsero la nostra casa una sera di inverno.

Il patriarca era un omone dall'aria cupa il cui aspetto si scontrava duramente con il carattere decisamente più morbido e quasi dolce, per lo meno nei nostri confronti;

al seguito la matriarca, una donna meravigliosa dai lunghi capelli corvini e la figura smilza.

Per ultimi i tre figli maschi: prima il maggiore, Dradan e il medio, Fastra, a cui non prestai troppa attenzione, più concentrato a studiare le loro imponenti cavalcature, quando però il mio sguardo venne catturato dal fratello minore che chiudeva la fila a cavallo di una maestosa giumenta grigia...

Arne, il suo nome, che era abbastanza sviluppato per i suoi 10 anni;

era coperto da una mantella verde scuro da cui sotto si intravedeva il viso pallido, scontornato da capelli medio-lunghi colore del carbone, in netto contrasto con lo smeraldo incastonato nei suoi occhi, le labbra e le gote rosse dovute al freddo pungente a cui erano stati esposti in quel lungo viaggio risaltavano nell'armonia perfetta del suo volto.

Restai sbalordito da quella proporzione talmente in accordo con ogni singolo dettaglio che sembrava fossero stati gli Dei stessi a sistemare in tale maniera gli elementi che componevano la fisionomia facciale del mio coetaneo... dovevo disegnarlo.

Non mi accorsi neanche di essere rimasto a fissarlo finché non fui richiamato alla realtà dalla voce di mia madre, trovandomi davanti il moro.

Diventammo buoni amici durante la loro permanenza presso il nostro modesto palazzo, durata approssimativamente 3-4 mesi, in cui festeggiammo i nostri compleanni (avendo uno scarto di appena tre giorni tra di noi) e costruii ricordi che ancora oggi conservo con gelosia e nostalgia

Ricordo ancora quando ci presentammo per come mi prese leggermente in giro, con fare superiore, per il significato del mio nome -che si traduce con "fiocco di neve"-, che effettivamente calza perfettamente con il mio aspetto:

i miei capelli corti avevano il colore dell'argento e nelle pupille risplendeva il colore intenso del mare aperto; o per lo meno a detta dei mercanti che usavano passare dal podere durante i loro lunghi viaggi verso le terre di Adatirina e il suo fiorente commercio di lusso.

Noi due eravamo come il sole e la luna, uno cupo e riservato, l'altro estroverso e solare, Arne aveva portato la freddezza del suo amato Nord e io lo avevo riscaldato con un po' del tipico calore dei territori del Sud, ma stranamente due animi così diversi condividevano una cosa, l'amore per l'arte seppur in due forme diverse.

Durante i brevi pomeriggi di inverno ci ritrovavamo nella torre più alta del casolare, ove la luce del sole penetrava attraverso i finestroni chela contornavano, dove prendevo spesso posto sul davanzale, per immortalare su carta i paesaggi mozzafiato e le torri della capitale in lontananza, mentre il moro si accomodava a terra, appoggiando la schiena sul basso muretto prima dell'apertura dove mi trovavo io, componendo meravigliose sinfonie con il piccolo mandolino decorato che custodiva come un figlio.

Fino all'arrivo della primavera preservammo questa nostra piccola usanza, lasciandoci andare l'uno all'arte dell'altro.

Il giorno della loro partenza il sole inondava l'ampio spiazzo tra l'ingresso delle mura e quello del palazzo dove erano stati legati e bardati i cavalli dei nostri ospiti e uno per mia sorella, tutti dei magnifici esemplari dal manto scuro tranne quello del mio amico, il cui manto grigio quasi risplendeva appena arrivava a contatto con i raggi di sole.

Nonostante questa visione, ricordo quel dì come uno dei peggiori ,forse, nella mia intera vita.

Abbracciai talmente forte il ragazzo dagli occhi verdi che lasciai impresso l'odore di erba bagnata anche sulle mie vesti e lui fece lo stesso.

Se ne andò com'era arrivato, stravolgendo nuovamente la mia esistenza.

Chiuse nuovamente la fila in sella alla fattrice dal pelo d'argento ma prima che partisse al galoppo presi coraggio e lo raggiunsi aggrappandomi al mantello che pendeva leggermente lungo il lato della cavalcatura.

Gli porsi un disegno, un mio abbozzato disegno storto di noi due, un opera degna di un bambino di appena 9 anni al tempo, ma carico di significato.

Arne lo prese, rigirandolo un paio di volte tra le dita bianche, giurerei di aver visto un piccola lacrima scorrere sulla sua guancia.

Ripiegò il foglio giallognolo, afferrò un coltello dalla bisaccia e squarciò il suo stesso mantello in modo da riporre la pagina all'interno della morbida stoffa, per custodirlo con cura all'interno delle borse incuoio.

L'ultima cosa che vidi prima di correre nella nostra torre fu un sorriso sincero che mi rivolse.

Arrivato alla vetta della costruzione guardai i cavalli della famiglia Hel correre lungo la stradina sterrata che li avrebbe ricondotti a casa, seguii con lo sguardo il cavallo celestiale che si discostava dalla massa nera e informe che si creava più la distanza aumentava, finché anche lui non si dileguò tra le chiome degli alberi; solo in quel momento scoppiai a piangere.


Sono passati 11 anni e da allora non l'ho più rivisto, nonostante non sia passato un giorno senza che io lo pensassi o che canticchiassi qualcuna delle sue melodie per i corridoi vuoti del castello.


Ho 20 anni e mi trovo su un cavallo, sto percorrendo la strada pietrosa che loro prima di me hanno battuto con gli zoccoli dei loro equidi, la mia meta è la capitale della teocrazia di Telesian, la grossa Disutub, di cui ho disegnato fin troppe volte le sagome dei campanile dei palazzi che si intravedevano dalla mia dimora.


Da domani farò parte del glorioso esercito dei Resyes e se gli dei mi assisteranno, riuscirò a re-incontrare quel ragazzo dai capelli color inchiostro, anche lui, al tempo, destinato a imbracciare la spada e indossare l'armatura.


!!spazio autrice!!

dopo 10mila problemi finalmente ecco il primo capitolo, non so perché ma alla fine ho pianto ma va bhe dettagli.

sono abbastanza soddisfatta del risultato finale. perdonate qualche errore grammaticale, ho riletto più volte ma ho probabilmente tralasciato qualche dettaglio o non l'ho notato

per favore fatemi sapere cosa ne pensate con un commento

al prossimo capitolo!

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 02, 2022 ⏰

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