L'aria era secca e fredda, i pesanti passi dei soldati azzeravano le melodie della natura in quella mattina priva di vento. Garrett marciava con lentezza davanti a tutti, l'animo appesantito dall'incertezza, ma non solo: l'armatura di cuoio che un tempo era stata come una seconda pelle ora gli pareva un macigno, la rosa incisa all'altezza del cuore gli stringeva l'organo con impalpabili rami spinosi.
Il comandante camminava dietro di lui accaldandogli la nuca col suo sguardo indagatore, mentre una mezza dozzina d'incantatori apriva la strada a intervalli, distruggendo gli alberi chi in frammenti, chi facendoli crollare.
La tempesta era finita da un paio di giorni, eppure gli scoppi e i crolli cadenzati parevano volerla rievocare. Negli attimi di cupo silenzio, l'avanzata dei soldati in armatura rendeva l'atmosfera ancora più lugubre, forse perché gli scricchiolii degli stivali sui rametti del sottobosco alle orecchie del mezz'elfo parevano troppo simili a ossa che andavano in frantumi: un bruttissimo presagio.
Stavano seguendo la stessa strada di qualche giorno prima perché, ora che era tanto vicino, l'albero che ospitava l'ultima ninfa ancora non nata sprigionava un quantitativo di magia tale da sembrare un faro nella nebbia. Senza dubbio i maghi sarebbero stati in grado di raggiungere quel luogo anche senza la sua guida, dato che ne avevano percepito l'aura molto prima di lui, eppure Garrett stava lì, retto avanti a tutti. Con una mano stringeva il manico della borsa a tracolla e l'altra era poggiata alla cintura, vicina alla tasca interna del mantello dove aveva nascosto l'ampolla che credeva sarebbe stata più utile all'inizio dello scontro.
Aveva passato una giornata intera a procurarsi le erbe e miscelare quante più pozioni era riuscito e nella borsa c'era anche una pergamena che aveva scritto e illustrato di suo pugno: sperava non dovesse servire, ma lui l'aveva preparata comunque.
«Ehi, alchimista, perché le tue amichette non si sono ancora fatte vedere?»
Il comandante lo apostrofò rude e Garrett voltò appena la testa giusto per poterlo guardare con la coda dell'occhio. Avrebbe tanto voluto sputargli in faccia prima che potesse abbassare la visiera del suo elmo, ma non sarebbe stato troppo intelligente.
«Ci staranno aspettando in un punto strategico, forse lo stesso dove hanno vinto l'altra volta.»
L'uomo grugnì e allungò il passo per affiancarsi a lui.
«Quella puttana e i suoi mostri non riusciranno mai ad accerchiarci!»
Rise, gutturale, e a lui si unirono anche i soldati più vicini che avevano udito il breve scambio.
Garrett strinse le labbra e proseguì senza staccare gli occhi dalla foresta davanti a lui. Sebbene la druida che l'aveva imprigionato lo avesse trattato di merda, il mezz'elfo sentiva di poterla comprendere, in un certo modo.
Rodnick e altri messi avevano indagato ed erano riusciti a scoprire che quella donna veniva proprio da Beofild: in passato era stata un'erborista e il suo nome era Prudence. Il giorno della caduta era fuggita dalla città, sparendo nel nulla; nessuno l'aveva cercata poiché non aveva legami e, anzi, le persone si erano dette contente poiché più di una volta lei aveva creato disordini e litigi tra la gente. Si era rifiutata di maritarsi e un paio di uomini di mezz'età si erano toccati le parti intime in gesti scaramantici sentendo il suo nome, ricordando di come intorno a Prudence pareva esserci sempre un'aura di odio e sconforto percepibile persino da chi non possedeva il dono della magia.
Garrett ancora tentennava all'idea, ma ormai era giunto alla conclusione che, se si fossero scontrati, l'unico modo per salvare le ninfe era uccidere la loro madre. Il mezz'elfo aveva una spada alla cintura e un piccolo pugnale nello stivale, ma mai avrebbe voluto usarli.

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Cinque
FantasyA Prudence la società umana non era mai andata a genio. Sentiva di avere un legame incomprensibile con la natura e fu proprio in essa che trovò il suo rifugio. Prudence non era una donna come le altre e lo capì fino in fondo quando sentì il bisogno...