Colgo fiori scuri su una spiaggia senza mare, il cielo si deforma sotto il mio sguardo d'affetto. Le nubi si spostano in questa serata in maniera libera, come libellule sul limite delle acque; leggere, pure, pallide, semitrasprenti, le nubi mi fanno da televisione per l'universo. I fiorellini stretti tra le dita mal usate cominciano a far piovere i loro petali fra esse. Potrei lasciarli cadere su questa spiaggia che di spiaggia non ha niente, é un limite scosceso tra la terra e i sogni. Forse, se camminassi fino al limite di questa foto, cadrei nell'abisso del vuoto. Verrei custudita dal segreto del tempo e nel cassetto dei pianeti. In questo armadio chiamato universo, nel quale i pianeti sono abiti polverosi, le stelle sono dolci palline di naftalina e noi umani siamo tarme del legno. Chiederó al saggio Giove di buttare la chiave di quel malmesso cassetto, voglio addormentarmi per sempre, avvolta nel agrodolce odore del profumo di fiori che m'é rimasto addosso dalla spiaggia-non-spiaggia e delle stelle, nate per creare lesioni alle mie carni. Forse mi sveglieró con qualche livido qua e là sull'ampiezza delle mie molli braccia, ma non riuscirò a vederli, stando chiusa dentro a una immaginaria stanzetta. Eppure, sto ancora su questa sabbia grigia, con parole che sanno di lucciole in bocca e nello stomaco. I capelli calpestati da venti simili a brevi respiri, con i fiori che sanguinano acrilici sulle mani. Osservo il colore vivo scendere lentamente dal polso alla terra asciutta, sia di acqua che di vita. Devo decidere se diventare terriccio secco per una falsa spiaggia o un insetto fastidioso per un armadio cosmico. In entrambi i casi saprò di fiori intensi, parole luccicanti e animo disperso; per ora rimango qui, con le ginocchia nodose che reggono la mia minuta persona che continua a osservare il cielo dalle nuvole e rubare essenze a boccioli brutalmente estirpati e strangolati.