- Nightmare, cigarette and eyes -

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Alhena era stanca degli incubi.

Quasi ogni notte rivede quegli occhi rossi, ed era come avere Freddie Kruger ogni notte tra i piedi. Probabilmente aver lui tra i piedi sarebbe stato anche meno brutto, d'altronde, a differenza di quello, lui era solo un'invenzione cinematografica. Voleva avere solo le capacità per spegnere il cervello la notte. Voleva smettere di scappare dai suoi incubi, e dimenticare tutto. Non voleva più sentire sentire il vuoto nello stomaco, e le budella che si contorcevano.

Sotto di lei invece, sempre il solito tunnel scuro e infinito. Lo strapiombo ai suoi piedi è solo la bocca dell'inferno pronta ad inghiottirla se solo decidesse di varcarla. Se chiude gli occhi e trattiene il respiro abbastanza a lungo, finirebbe con lo stordirsi abbastanza, tanto dal dimenticare quello che è successo. Il sangue, il fumo, il buio e il suo corpo esanime e gli occhi rossi.

Sarebbe solo un lontano ricordo, assieme a quelle due pozze rosse. Che non vanno via e non lasciano scelta, non come dicono di fare, quantomeno.

Poi però la svegli inizia a suonare, costringendola a svegliarsi e abbandonare la dolce sensazione del sonno, per quanto odiasse dormire e sognsre, non lasciandole continuare la sua poetica, o patetica, dipende sempre dai punti di vista, autocommiserazione. Stronzate, non è la suoneria ad averla fermata dallo schianto, ma il suo essere così codarda.

Ma non può, glielo deve. E glielo ricorda l'odore, ne annusa la morte ogni giorno.

L'inferno la guarda dal basso, ormai. promettendomi il paradiso, finalmente. Ma adesso tutto è sbiadito e i suoi occhi si stanno per aprire.

Ma questo, ella crede dipenda dai punti di vista. E se in quel caso fosse, che morte patetica.

Si, Alhena era stanca degli incubi.

Non entrava in quell'istituto da poco più di un anno, e non trovava più nulla di familiare in quel posto. La facciata era stata ridipinta, e al posto del giallo scolorito e trasandato, adesso vi era un grigio che sembrava staticizzare tutto. Le bandiere erano ancora presenti, ma più che un high school sembrava un carcere minorile a sè. Come con un flash, pensò che I suoi vecchi compagni si erano tutti diplomati, e l'ultima volta che li vide fu ai funerali. Era arrivata presto, d'altronde svegliandosi all'alba aveva il tempo materiale per fare tutto con la calma. 

Il sole ormai era alto nel cielo, stranamente limpido, ed era sicura che le lenti dei suoi occhiali si erano tinte di nero. Poi guardò velocemente l'orario nel telefono, aveva ancora il tempo di una sigaretta. Cacciò le mani dentro la tasca della tracolla e ne tirò fuori un accendino e il pacchetto rosso di sigarette, estraendone una e mettendola fra le labbra. Poi, con un movimento veloce, strofinò il dito sull'accendino, facendone fuoriuscire la fiamma, accese la sigaretta. Il cortile iniziò ad affollarsi di ragazzini e ragazzi di ogni età, ed era impossibile per gli altri notarla, nascosta dove era. Poco dopo la sigaretta si spense, e finalmente decise di incamminarsi verso l'ingresso. Mancavano pochi minuti al suono della campana, e si diresse velocemente verso l'ingresso, anche se una volta entrata si maledì mentalmente per non essere rimasta al suo posto. Si sentì bruciare dagli sguardi incessanti, concentrati su di lei. Si guardò attorno con la coda dell'occhio, camminando più lentamente, senza accorgersene, e se prima le urla e le risate sguaiate riempivano l'atmosfera, ora il silenzio era calato come un macigno su di esso. Non guardò nessuno in faccia, ma il clima che si era creato le dava a pensare, o immaginare, fosse stato per quello.

Si sentiva in profondo imbarazzo e in soggezione, così cercò in ogni modo di distaccarsi da quella situazione, iniziando a camminare sempre più velocemente, per poi rifugiarsi nel all'interno di quelle mura.
Sapeva perché la stavano fissando così insistentemente tutti, e la cosa peggiore era quella.
Chiuse la porta e lasciò andare la maniglia fredda e grigia, guardando con la fronte corrucciata, ancora dai vetri verso l'esterno. Non avevano smesso, l'avevano seguita con lo sguardo fin dentro la scuola.
Dopo aver lasciato andare la maniglia fece qualche passo indietro e facendo sfrecciare lo sguardo da una parte all'altra, cercando la segreteria.

Si era sentita un fenomeno da baraccone.

"Scusi, è lei la signorina O'Manor?" Una donna completamente vestita di azzurro, sbucò fuori dall'entrata di un gabbiotto di metallo richiamandola, attirando la sua attenzione.
I capelli rossi e raccolti creavano uno strano effetto visivo e un contrasto piuttosto singolare, alternato al colore dei suoi stessi vestiti. <<Rose C.>> vi era scritto nel cartellino attaccato al suo tallieur.

"Si, salve" disse piano, avvicinandosi alla piccola struttura. Piccola, in confronto alla grandezza dell'istituto.

"Bene, l'aria stralunata dei nuovi alunni non mente mai. In ogni caso, ha fatto bene ad entrare prima, si avvicini pure" disse severa, varcando la porta, seguita da lei, che restò all'entrata, per non essere o sembrate invadente.

"Oh... beh, si" rispose annuendo, mentre la donna metteva le mani fra scartoffie e fogli impilati una sugli altri. Poi, prese un fascicolo della copertina blu e semplice, estraendone due fogli, che uní con una spillatrice tascabile nera.
Tutto lì dentro era familiare, ma era completamente cambiato tutto, e non ricordava neanche che in quel gabbiotto fosse stato collocato sempre lì.

"Prego, tenga" le porse l'oggetto, per poi puntare il dito su di esso.

"Quí ci sono i suoi orari, definitivi, con le aule. Dietro trova la piantina della scuola, so che l lei era già una nostra studentessa, ma con il restauro è cambiato tutto. Infondo, c'è il numero della nostra segreteria e della scuola. Ecco tutto, non si può sbagliare" continuò spostandosi.
"Buona giornata" la congedò con un formale sorriso.

Si rigirò i fogli fra le mani.

<<1° ora: Piano 1, aula E7>> lesse.

"Caccia al tesoro, fantastico" disse sussurrando e sospirando. Non aveva la più pallida idea di dove si trovasse, e voleva rifugiarsi in aula prima che la scena di poco prima in giardino si ripetesse, e stavolta all'interno della scuola.

Le prime due ore fu un fantasma, nessuno la notò nel suo posto infondo alla classe. O quasi, fatta eccezione per le presentazioni che dovette fare ai suoi nuovi professori. E adesso era finalmente sola, chiusa in un posto squallido come il bagno, ma sola. Doveva abituarsi di nuovo a quella routine,  sperava anche di non doversi abituare agli sguardi incessanti e indagatori dei ragazzi in quella scuola. Solo quando tirò lo sciacquone e uscì dal piccolo bagno si rese conto che nessuno le avesse detto quale armadietto avrebbe  occupato da quel giorno in poi. 

Il suo cellulare ben nascosto in una delle tasche laterali della sua felpa iniziò a vibrare, avvertendola dell'arrivo di un messaggio. Alhene si appoggiò al muro del corridoio deserto e che profumava di candeggina, rimettendosi su una spalla la tracolla nera e tirando fuori il cellulare. Il nome di Francis si era illuminato nel blocco schermo del telefono, e preoccupata fosse successo qualcosa, lo sbloccò in un secondo, lasciando che il contenuto del messaggi potesse esser letto dalle anteprime. 

<<Caso archiviato>> due parole, quattordici sillabe, una frase di senso compiuto che le procurava rabbia. Sapeva sarebbe finita così, era stata avvertita più volte di non sperarci troppo, e aveva fatto di tutto affinché non venisse completamente cestinato. Ma era stata presa di sprovvista, tutto troppo velocemente. Anche l'ultimo pezzo di speranza acceso in lei adesso era completamente spento. Adesso non c'era più nulla che avesse potuto fare.

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