"Jaqueline alzati e vieni giù" disse mia madre ormai senza voce da quante volte abbia ripetuto questa frase.
Io un pó controvoglia mi alzai dal letto e mi cambiai con dei jeans neri, una camicia a scacchi neri e bianchi e la mia amatissima felpa nera.
Ogni persona ha un oggetto che tiene molto, e per me è una felpa, un regalo della mia nonnina.
Lei sapeva che era ormai giunta la sua ora ma prima che potesse non respirare più mi diede questa felpa, fatta con le sue mani due anni prima, anche se voleva consegnarla ai miei diciott'anni, ma ha preferito così, voleva darmela di persona, anche se non mancavano molti giorni.
Eravamo inseparabili, gli volevo un mondo di bene, era il mio giardino, il mio paradiso dove l'unica regola era amare.
Adesso però io non sono più in grado di farlo, e ancora oggi mi vesto in lutto per la sua mancanza, alla fine è diventato il mio colore preferito.
A risvegliarmi dai ricordi ci fu mia madre ad urlare il mio nome, quando lo sentivo mi venivano i brividi come se non mi appartenesse.
Scesi le scale di legno e andai in cucina dove mi aspettava mia madre.
"Scusami, lo so che oggi è sabato ma devi fare una cosa per me" disse finché spazzava il pavimento con una scopa di paglia.
"Cioè?" Chiesi alzando un sopracciglio.
"Puoi portare tu questi fiori alla nonna" disse indicando i fiori sul tavolo.
Perché mi risvegli dai pensieri per poi farmi ritornare a pensare gli avrei voluto dire ma mi limitai a infilare la mia giacca bianca e i miei scarponcini neri per poi uscire dalla porta con i fiori in mano di un colore rosso acceso.
Finché camminavo guardavo la gente, i sorrisi che facevano, i sospiri di sollievo che emettevano, le risate con gli amici.
Perché non posso avere una vita facile come queste persone, essere felice, essere sollevata da un peso, essere in compagnia.
Si, avevo Angel, la mia migliore amica, ma non ci parlavamo mai nel weekend, non uscivamo mai insieme come vere amiche.
Io la consideravo di valore solo perché mi parlava, l'unica a parlarmi, a stare in mia compagnia.
Intanto che pensavo e guardavo ero arrivata alla cancellata del cimitero.
Entrai e cercai la tomba della nonna, ma sembrava che fosse sparita, non riuscivo a trovarla.
"Buongiorno signorina, cosa o chi sta cercando?" Chiese una persona che penso sia il custode del cimitero, anche se non riuscivo a ben vedere il volto essendo in controluce e dovetti portare una mano agli occhi per non essere accecata.
"Sto cercando la tomba di Rosy Dawkins, mia nonna" dissi specificando la mia parentela con il morto.
"La signora Dawkins è stata spostata per sotterrare altri cadaveri, mi segua, la porto dove sta adesso" mi disse l'uomo dirigendosi ad una scalinata che porta al cimitero sotterraneo, un posto che io odiavo per colpa di uno scherzo di mio fratello quando siamo andati a trovare un suo amico.
Appena davanti alla tomba lessi la data di morte così dando vita ad altri pensieri, il giorno del mio compleanno alla fine si è fatto il giorno della morte della nonna.
Dunque adesso mi stavo dedicando solo al suo ricordo, alla sua immagine e non a festeggiare la mia vita, la mia malinconia.
Misi i fiori davanti alla tomba e andai via, perché sapevo perfettamente che se restavo lì, continuavo a pensare, e pensare troppo è simile ad un coltello che si impianta nella tua carne ripetute volte fino a non rendere il corpo un poltiglia, e continuando di questo passo mi sarei suicidata, io non volevo morire in quel modo, anche se molte volte ero stata tentata per colpa delle mia disgrazie.
Uscì dal cimitero e continuai a camminare non sapendo dove andare, alla fine ho imparato a memoria tutta la pianta della città per non perdermi come in questi momenti.
"Guarda, guarda chi abbiamo qui, Jaquline, cosa fai piccina?" Mi voltai di scatto e vidi Martin, un'amica di mia madre.
Presi un colpo quando la sentii, erano passati molti anni da quando mi aveva visto, anche se continuava a darmi fastidio quando mi chiama piccina.
"Stavo camminando" risposi tenendo sempre la mia espressione da morto.
"Oggi sei più pallida, cosa ti è successo?" Vedevo la sua preoccupazione, una cosa che io non avevo perché affrontavo sempre i problemi a costo di morire o uccidere.
"Come fai a sapere che di solito sono pallida?" Chiesi calma.
"Tua madre mi parla molto di te, dice che se molto solitaria e cupa" perché mia madre racconta di me agli altri, non può una persona vivere così, il passato di un vivente resta all'oscuro fino a quando non è costretto a dirlo.
"Cosa ci fai in giro?" Gli avrei fatto la stessa domanda ma non potevo perché neanche mi ero accorta quanto ero starà fuori casa.
"Sono andata al cimitero" dissi girando i tacchi e iniziando a camminare.
"A fare cosa?" Quella frase potevo sentirla anche se ero ormai troppo lontana per rispondere.
Camminavo in quelle strade fantasma, le persone da quanto parlavano sembrava che neanche lo facessero, io camminavo da sola e guardavo.
Nessuno si accorgeva di me, ero davvero un fantasma?
Credo che nessuno importi di me se non ti fai popolarità con un mestiere, come i calciatori, quello che però io pensavo era solo malinconia, e che lavoro puoi fare se sei malinconica e non parli se non vieni interpellata?
Andai verso la direzione della mia abitazione, ormai stava calando il sole e io trovai di mia fortuna un posto dove guardarlo, non sapevo dove fossi, non avevo mai messo piede in questo quartiere, ma devo dire che adesso sarà uno dei miei preferiti, appena lo spettacolo finì andai a casa di corsa per non far preoccupare la mamma.
Appena varcai la soglia di casa era già buio, non sapevo che ora fosse, nella mia abitazione regnava il silenzio, solo il ticchettio dell'orologio si poteva udire.
Ormai mia madre mi conosceva, e sapeva che io restavo fuori fino a tardi, dunque mi preparava da mangiare sperando che potessi ritornare e non fare pazzie.
Andai in cucina e mi sedetti al mio posto cominciando a masticare la carne e le patate che erano sul piatto e mandando giù con un bicchiere d'acqua.
Appena finito misi i piatti dentro il lavandino e guardi l'orologio che segnava le 10.30.
Devo dire che è un'ora giusta quella di oggi, di solito, quando guardavo l'orologio segnava verso le 11.45, devo preoccuparmi?
Salii le scale e andai in camera di mia madre, aprii la porta e vidi che era a letto.
Rivolse lo sguardo alla finestra, era aperta.
Mi avvicinai al letto e alzai le coperte, stava ancora respirando per mia fortuna.
Anche se non sembra dal mio comportamento gli voglio un mondo di bene, e a quel pensiero feci un sorriso.
"Vedi che provi ancora amore, perché non vuoi capire che il tuo cuore è fermo solo perché lo hai voluto tu, pensi che il tuo cuore sia stato portato via insieme al cuore di tua nonna, la vita è fatta sembra di ferite aperte che alcune solo noi possiamo curare".
"Perché tu mi tormenti ancora, non ti è bastato quello che ti ho fatto?"
"Ricordati quello che ti ho detto...".
Non posso credere che sia ancora vivo dopo quello che gli ho provocato.
Senza fiatare mi rifugiai in camera mia, mi misi il mio pigiama con i pantaloni a gamba di elefante neri e la maglietta a righe nere e bianche.
Mi misi sotto le coperte e riflettei per la giornata.
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Il killer col sorriso
HorrorJaquline Darkeneden è un ragazza di 18'anni con una vita complicata, con solo un'amica che non conosce niente di lei e ancora attaccata alla vita della famiglia anche senza mostrarlo. Dopo una serie di avvenimenti si ritroverà a investigare su un ki...