c'ha le labbra che sanno di fragola e la lingua di primitivo di manduria.
il primitivo che mette a tavola zio, dove ficca le percoche per mangiarle a fine pasto, zuppe di vino.
le percoche zuppe che mangiavo pure io da bambino, fino alle guance rosse e gli occhi sbavati.
labbra spente ma gonfie, troppo. labbra da perderci la testa, da lanciarsi dal balcone. da distruggerle perché sono troppo, troppo per chiunque, perché nessuno dovrebbe averle e nessuno dovrebbe vederle. perché nessuno potrebbe reggere di averle.delle spalle, c'ha lei. fini, piccole, scheletriche. il profilo delle ossa ci vedi. sono spigolose. sembrano gli angoli d'un libro con la copertina rigida, c'hanno il colore della copertina de il giovane holden della einaudi, quel libro che tutti amano ma cazzo, io proprio non sopporto.
c'ha anche quel modo di fare, un modo di fare in stile de il giovane holden. e il giovane holden mi ha sempre fatto cagare. cos'ha quel libro, cosa? non c'ha uno stile da invidia, non c'ha 'na storia da batticuore, non c'ha un'atmosfera da perdercisi dentro.
non c'ha un davvero un cazzo da adulare, proprio come quella là, che se ne sta sempre seduta su quella stupida altalena.mi fa salire blasfemie alla bocca. lei e il suo non avere nulla, essere spenta, vuota, a dir poco inutile.
da calci negli stinchi.
lei, i suoi stupidi chupa chups, i suoi dannati collant rovinati dalle arrampicate sugli alberi e le sue mani scorticate.
c'ha quella cosa c'hanno le donne. che ti fanno uscire di testa senza manco guardarti. che sono belle, ma belle, che non dovrebbero avere il permesso d'essere così.
una venere che cammina. con fianchi accomodanti e gambe di cera.
mette le gonne, ama le gonne. gonne chiare, leggere, corte. le ginocchia sempre scoperte, sempre ammaccate, sempre una chiazza di chianti su una tovaglia di seta. le guance due aloni di primitivo, gli occhi due gocce di storica verde.
è alcool. lei, le sue gambe, i suoi movimenti.
sa di vino. le sue labbra sono percoche intrise di primitivo; scoppiano tra i denti e invadono la bocca, violentano il palato con il gusto alcolico di un rosso troppo invecchiato.
la sua vista ti violenta. si aggrappa al tuo fegato e lo fa appassire come un fiore tra le pagine d'un libro, ti spacca la testa in due e strappa i nervi con le unghie laccate di bianco, s'avvinghia alle tue membra fino a lacerare la carne.
non ti ama. ti divora.
caschetto nero, orecchini in oro rubati alla nonna. l'anello di fidanzamento della madre, la fede nuziale della zia deceduta a maggio. la bacia, la fede, ogni volta che crede di aver bisogno di aiuto. l'aiuta sempre, la zia. o così dice.
se ti invita a casa si stende sul letto, con la gonna che accarezza le cosce chiare e i piedi piccoli in calzini di pizzo, con ricambi bianchi sulle caviglie strette. la destra c'ha l'osso storto, se l'è rotta a nove anni arrampicandosi su un melo per dimostrare a un compagno di classe di essere più forte.
è testarda, insopportabile e non rispecchia l'idea che ti fai di lei guardandola. sembra la protagonista odiosa del libro fantasy di turno, sfrontata e finta coraggiosa. si crede meglio di quel che è, gli altri la credono meglio di quel che è.
non è manco poi così bella, c'ha il naso troppo grande e gli occhi asimmetrici, le narici sono spaziose e la fronte troppo stretta. è mediocre, un po' stonata. la guardi e sembra di ascoltare chopin suonato da uno studente incompetente.
però la voglio, nonostante la sua mediocrità, ma lei non vuole me. oppure mi vuole, ma solo quando dice lei. poi arriva a casa mia con le calze rotte da qualcun'altra, le bocca che non sa di primitivo ma caramelle e gomma alla fragola. e non voglio perdonarla, non se lo merita. il primitivo, quel primitivo è mio.
come si permette di andare in giro a sperperare i miei averi, i miei desideri? non sono la seconda scelta, devo essere l'unica.
seni piccoli nascosti come fragole acerbe in magliette da poco di buono, se la becchi nei bagni dell'università si solleva la gonna tra le squallide mura del cesso. le ci ficcheresti la testa nel cesso, se lo merita per il modo in cui cammina, il modo in cui si piega. il modo in cui dice irene come le importasse di me. come la sua voce sia marmellata di fichi sul pane che è il mio collo. parla, ansima, sussurra come non lo facesse con tutti.
è l'unico modo che ho per non piangere quando le mie dita le tirano le mutande, illudermi di essere l'unica.
come fai a perdonarla, se ti seduce con lingua alcolica e pugnala con gambe d'angelo?
perché ti guarda con le iridi d'erba e ti incanta, ti perdi tra le sue parole pretenziose, ecco perché la perdoni sempre. ma non ti toccherà più, non toccherà più nemmeno a me. né perdonarla, né ascoltare i suoi paroloni. ha letto dio di illusioni ed è il suo libro preferito, è sempre che se ne vanta.
se ne vantava anche due ore fa, nella vasca di casa mia. ora non parla, ha chiuso la bocca finalmente. le intreccio i capelli fini, come a lei non piace ma a me sì. sta zitta, non rovina più tutto con le sue parole inutili.
c'ha i polmoni pieni d'acqua, posso finalmente andare a trovarla a ogni ora di ogni giorno. rimarrà con gli occhi d'erba che mi guardano, immersa nella vasca. le sue labbra stanno perdendo il colore del primitivo ma ce lo metterò sopra io, con dedizione, ogni giorno. un bicchierino che scende lungo la gola dovrebbe essere abbastanza per profumare anche le gengive.
non l'abbandonerei mai, soprattutto ora che sta zitta.
spero solo non cominci putrefarsi e puzzare di merda troppo presto.
non chiedete non lo so
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fragole e vino
General Fictionappassisce tra le mie braccia, non sopporto che sia d'altri. os ; 10012022