PROLOGO

70 6 2
                                    

LIVERPOOL
MAGGIO 2005


Sdraiato sul letto, nudo, appagato e con gli occhi chiusi, mi godevo quella che sapevo essere solo una tregua. Ma intanto era tutto perfetto. La stanza di Julia era calda nonostante gli spifferi che filtravano attraverso i vecchi infissi di legno, mentre sui vetri sottili batteva forte la pioggia. Si stava scatenando l'ennesimo temporale del mese. Quando sarebbe arrivata la primavera?

Odiavo il solito fottuto cielo grigio di Liverpool, una di quelle cose che mi ricordavano di essere nato nella città sbagliata. Avevo pensato di scappare un'infinità di volte, ma poi non avevo mai concluso niente. Dove cazzo potevo andare con sette sterline e dodici centesimi in tasca? Mi avrebbero trovato subito e avrei dovuto affrontarne le conseguenze.

Basta, dovevo smettere di pensare, dovevo semplicemente respirare e lasciare che l'erba fumata poco prima continuasse a tramortirmi i neuroni.

Ero assopito, relativamente sereno, quando Julia fece cadere quel suo carillon pieno di braccialetti.

«Non riesci proprio a fare silenzio per qualche minuto, vero?»

«Fanculo, Jaxon!»

Aprii gli occhi e la guardai intenta a mettere in ordine quel casino.

«Si può sapere che ti prende?»

«Lo sai benissimo cosa mi prende!»

Sbuffai scocciato: ogni volta che finivamo di scopare diventava insopportabile.

Il momento di pace era finito troppo presto.

Mi alzai, afferrai la bottiglia di gin sulla scrivania e ne tracannai giusto un paio di sorsi. Non era il caso di esagerare, erano pur sempre le dieci di mattina e sarei dovuto tornare alla St Martin prima della quarta ora.

«Ti avevo avvisato che il tuo atteggiamento mi fa sentire una troia. Fai quello che devi fare e ti giri dall'altra parte! Perché sei così gelido con me, Jaxon?» piagnucolò Julia.

Cazzo, non eravamo sposati, non stavamo insieme, eravamo solo amici con benefici, eppure ogni volta andava in scena lo stesso teatrino.

«Rispondimi!» urlò isterica.

«Sono gelido con tutti, non solo con te. Fattene una ragione.»

«Perché? É un periodo che nemmeno sorridi più.»

Okay, ne avevo già abbastanza. Raccolsi da terra la camicia bianca e la indossai.

«Jaxon, ti prego, parlami. Perché fai così?»

Eravamo alle suppliche. Cristo, sembrava mia madre!

«Dove hai messo la cravatta?»

«Tutto qui? Dove ho messo la tua cravatta?»

La guardai di sfuggita: stava per scoppiare a piangere. Voleva qualcosa che io non avrei potuto darle, che non avrei potuto dare a nessuna, in verità. Vivevo in una specie di incubo che non meritavo, avevo due genitori che mi stavano col fiato sul collo, avevo dovuto rinunciare alla mia vecchia squadra di calcio per lo studio, quindi proprio non avevo bisogno di una ragazza che iniziava a piagnucolare subito dopo essermi sfilato il preservativo.

«Dobbiamo smettere di scopare Julia. Questa cosa fa male a entrambi.»

«No, non voglio smettere, e non sminuire quello che facciamo...» si lamentò mentre si avvicinava.

«Io non sminuisco niente, definisco semplicemente la nostra situazione. Sono stato chiaro dall'inizio e non voglio passare del tempo con qualcuna che piange ogni volta che me ne vado, o che pretende rose rosse e abbracci. Cazzo, Julia, cosa non hai capito di noi?»

Petali e Spine di Naike RorDove le storie prendono vita. Scoprilo ora